Settima giornata di Serie C girone C – allo stadio Viviani di Potenza va in scena il match tra i lucani rossoblù e la cosiddetta squadra B dell’Atalanta. Insolito anche l’orario (si gioca alle 12:30), che ha costretto molti tifosi a rinunciare allo “strascinato” domenicale (piatto tipico locale), ma una volta tanto se ne può anche fare a meno, soprattutto per Potenza e il Potenza.

Partita fondamentale per la squadra di casa dopo la brutta sconfitta di mercoledì in terra siciliana, in quel di Siracusa. È d’obbligo ripartire con il piede giusto, perciò lo stadio si presenta con un buon colpo d’occhio e, all’ingresso in campo, la Ovest mette momentaneamente da parte sciarpe e bandiere per far posto a uno striscione con la scritta: “No alle squadre B”, ormai diventato uno slogan comune a tutte le curve italiane in questa stagione in cui, con l’arrivo della rappresentativa giovanile dell’Inter, siamo a quota quattro seconde squadre. Il Milan Futuro è nel frattempo retrocesso in D e la grande riforma della nostra politica calcistica non sembra aver portato a così grandi frutti, se non togliere posti a squadre vere e con tifosi veri.

Dopo dieci minuti di silenzio la curva si anima con lunghi battimani e gran voce. Alla mezz’ora viene alzato un secondo striscione: “Da 30 anni sempre al nostro fianco – J&B vive”, per ricordare Giovanni, ultras dei Leoni scomparso, figura iconica della storia ultras potentina nonché protagonista di vecchissimi scontri con i rivali materani immortalati anche in una bandiera che sventola sopra lo stesso striscione.

Anche il Potenza in campo vince meritatamente l’incontro in campo, quasi a voler omaggiare a sua volta il ricordo di Giovanni, sperando che dal simbolico secondo anello possa continuare a seguire la sua squadra, la sua curva e la sua città.

Sul fronte ospite ovviamente nessun tifoso al seguito. Ma d’altronde, a cos’altro servono le squadre B se non a generare plusvalenze? Questo purtroppo è il modello verso cui si sta dirigendo il nostro calcio, sempre più una sorta di prodotto di laboratorio, svuotato della passione dei tifosi, che nemmeno più si preoccupa delle connessioni con il territorio, delle identità storiche che rappresenta, della tradizione, ma spinge unicamente verso il più alto ritorno economico possibile. Sembra fantascienza ma da qui alle franchigie come negli sport americani, che si spostano di città in città, il passo non è poi così tanto lungo e in certi versi s’è già realizzato nei tanti spostamenti di titoli e in fusioni quanto meno discutibili.

Pier Paolo Sacco