Con il campo squalificato per tre giornate, la trasferta di Priverno rappresenta, per gli ultras veliterni, un appuntamento senza dubbio intrigante. Sia per la possibilità di “sfogare” la passione rimasta bloccata dietro ai cancelli chiusi dello “Scavo”, sia per la presenza di una delle poche tifoserie organizzate del girone. Tra i due centri ci sono esattamente cinquanta chilometri. Una distanza che, per quanto breve, vede mutare il territorio in breve tempo, passando dall’appendice meridionale dei Castelli Romani alle prime terre della Piana Pontina, che fungono da porta d’ingresso ai Monti Lepini e alla provincia di Frosinone. Quando si percorrono strade e mulattiere di questa zona, capita spesso di imbattersi in pietre miliari dell’Appia Antica e dei suoi diverticoli o in tempietti e strutture risalenti all’epoca romana. Non a caso l’antica Privernum per diverso tempo ha rappresentato un vero e proprio crocevia negli scambi commerciali, permettendole di sviluppare una fiorente economia e godere di un particolare stato di diritto. Benessere che ha conosciuto il suo declino con il progressivo abbandono della manutenzione della Regina Viarum – e al conseguente allagamento della stessa in una zona storicamente palustre -, in favore delle strade pedemontane che congiungevano Roma al meridione, cosa fondamentale per proseguire i commerci con l’Oriente e la Magna Grecia. Oggi la città è conosciuta senza dubbio per la bella Abbazia di Fossanova (uno dei primi esempi italiani di gotico-cistercense) e per il patrimonio storico che ne pervade, per l’appunto, centro cittadino e dintorni. Importante il ruolo ricoperto in ambito ferroviario: la stazione è posta sulla direttissima Roma-Napoli, nonché sulla storica – ma purtroppo dismessa – linea che univa Velletri a Terracina.

Come molte altre realtà laziali, anche la storia calcistica privernate è costellata da una miriade di fallimenti, ripartenze, difficoltà e momenti bui. Per una cittadina di appena 13.000 abitanti non è facile barcamenarsi in una regione dove il calcio troppo spesso diventa oggetto di magheggi e giochi di potere, finendo per annientare piazze piccole e periferiche (cambiando nome e addirittura sede con una certa disinvoltura) e dove sovente anche i problemi relativi alle strutture impediscono lo sviluppo dei club. A tal proposito la città dispone addirittura di due impianti: il “Palluzzi”, più nuovo, posto a pochi metri dalla strada a scorrimento veloce comunemente conosciuta come dei Monti Lepini, attualmente non utilizzato e in evidente stato di abbandono. L’altro, il Comunale – popolarmente chiamato “San Lorenzo” -, posto proprio nel cuore cittadino e casa attuale del Priverno. Un campo alla vecchia maniera: dotato di una bella tribuna coperta, con il manto in terra battuta (ma dove di tanto in tanto spuntano delle erbacce), gli spogliatoi a dir poco retrò e una bella visuale sulla vallata. Cosa dire? Solo questo vale il viaggio. Lontanissimo dagli stadi ultramoderni ma anche da quelle strutture in ultima generazione che spesso si vedono in giro e che trasformano normalissime società di provincia in sedicenti Real Madrid dei poveri. Non manca la mitologica figura del magazziniere burbero ma alla fine disponibile, così come è bello scambiare due chiacchiere sull’imminente derby capitolino e sul calcio in generale con il commissario di campo. Insomma, ritornare per un paio d’ore nell’alveo tanto semplice quanto accogliente del pallone con cui siamo cresciuti, fa sempre un certo piacere.

Quando manca una manciata di minuti al fischio d’inizio il meteo sembra non aver ancora preso una decisione sul da farsi, alternando pioggia a sprazzi di sole, che durante il match prenderanno spesso il sopravvento facendo alzare la colonnina di mercurio e ricordando a tutti il recente avvento della primavera. Sulla porzione di tribuna alla mia destra si sistemano gli ultras di casa, dietro lo striscione Sempre Giovani. Iniziata la gara cominciano subito a farsi sentire con battimani e cori tenuti a lungo, repertorio che sarà il leitmotiv per tutta la partita. Novanta minuti in cui i privernati fanno davvero un’ottima impressione, non smettendo mai di tifare, fregandosene ampiamente di una squadra che in classifica, prima del fischio d’inizio, ha soltanto sei punti ed è retrocessa da tempo. Aggiungo che non amo celebrare a scatola chiusa niente e nessuno, ma do atto a questi ragazzi di aver seguito la loro compagine in casa e fuori, senza farsi troppa pubblicità e con il chiaro intento di supportare solo e soltanto il nome della città e del gruppo. Non so se riusciranno a mantenere una continuità nel tempo, ma questo è sempre un terno al lotto quando si parla di realtà così piccole e problematiche anche nel mero mantenimento in vita dell’attività sportiva.

Su fronte ospite, a ridosso del fischio d’inizio la Banda Volsca fa la sua apparizione, sistemandosi dietro lo striscione da casa e alle classiche pezze che da anni contraddistinguono i supporter rossoneri. Giunti in buon numero, i veliterni cominciano subito a macinare tifo, sciorinando il loro repertorio canoro e mantenendo un’ottima intensità per tutta la partita. Nel momento più delicato della stagione, con la squadra che verrà clamorosamente sconfitta anche quest’oggi, gli ultras castellani hanno voluto dare un segnale di attaccamento, prima di tutto per i propri colori e per il loro credo. Volontà suggellata dal coro finale “Siamo sempre con voi”, volto a far comprendere quanto sia importante il mantenimento della categoria e quanto, attualmente, beghe e contestazioni vadano accantonate. Quando entrambe le tifoserie cominciano a ritirare i propri drappi e il terreno di gioco si è definitivamente svuotato di calciatori e staff, la giornata può dirsi conclusa. Un ultimo sguardo alla vetusta struttura privernate e a tutto il suo fascino ed è poi tempo di lasciarsi alle spalle questa bella mattinata nel Basso Lazio. Lontani dal grande calcio, dalle metropoli e dalle curve di Serie A, batte ancora forte il cuore di una sottocultura messa alle corde in varie sfaccettature, ma apparentemente in grado di rigenerarsi con vigore e continuità, neanche fosse la celebre Idra di Lerna. I “campetti” si trasformano in palcoscenici pieni di contenuti e lo zoccolo duro dei gruppi rappresenta una gemma con cui compagnie, comitive ma anche perfetti sconosciuti riescono ad avvicinarsi e compattarsi in nome di un senso d’appartenenza che ormai sembra esser diventato quasi una vergogna al cospetto della società dell’omologazione e dell’appiattimento.

Marco Meloni