C’è un filo conduttore che lega due delle mie tre sortite in terra emiliana quest’anno: la pioggia. Fitta, fina, a vento, a carattere temporalesco. Ce n’è per tutti i gusti, anche in questa occasione. Eppure i presagi erano stati ben diversi, con un timido sole che faceva capolino spavaldo tra gli Appennini, in autostrada.
Carpi è uno di quegli stadi che avrei visitato volentieri durante una partita. Mi dovrò accontentare di un tour “fai da te”, molto utile però a capire la realtà dei fatti e il clima che si respira in città. È ovvio, disputare il primo anno di Serie A, dopo una storica promozione, lontano dal proprio stadio e, per giunta, in quello dei rivali, è uno smacco difficile da digerire. Lo hanno detto sin da subito i ragazzi della gradinata, supportati da diversi tifosi normali: “Il Carpi solo a Carpi, altrimenti boicottiamo”. E così è stato. Francamente non mi sento di dargli torto. Il calcio è identità, senso di appartenenza e sana rivalità. Dal momento in cui una di queste componenti viene a mancare parliamo di un altro sport. Forse più consono al politicamente corretto e a quelle manie di grandezza globalizzata che da qualche anno a questa parte pervadono diabolicamente i padroni del vapore nostrani.
Sta di fatto che il Braglia sarà il teatro di questo anticipo al venerdi sera dettato dagli impegni in Champions League della Roma. E a dirla tutta anche qua mi viene una domanda spontanea. Mi chiedo se ci sia addirittura bisogno di anticipare le partite al venerdi, costume ormai sviluppatosi da qualche anno, per venire incontro ai club impegnati nella competizione più importante del continente. Nel progetto di macro calcio, in cui un certo target di tifosi è sempre meno protagonista sia chiaro, è evidentemente una necessità. Perché tutto deve ruotare attorno a quella Champions League che fattura milioni di Euro l’anno e permette a decine di club di pianificare il proprio budget in base all’approdo o meno in uno dei suoi gironi. Tutto normale, tutto sulla stessa linea d’onda che costringe il Carpi a giocare a Modena o suggerisce allo Squinzi di turno di non migliorare lo stadio Ricci per emigrare, e addirittura comprare il Giglio di Reggio Emilia.
Attorno a queste scellerate politiche di gestione calcistica potremmo sviluppare un intero copione dicendoci quanto disgustose ed estenuanti siano. Ma forse non ce n’è bisogno.
Modena, per i tifosi della Roma, vuol dire tornare indietro di qualche stagione. Erano gli anni dei “gialli” in Serie A e delle sfide in cui i capitolini uscivano sempre col fiatone, contro un’avversaria arcigna e mai semplice da fronteggiare. Era l’inizio degli anni 2000, neanche c’è bisogno di dire che il modo di approcciarsi allo stadio era molto differente. La città della Ghirlandina non è poi così distante dalla Capitale e in tutte le sfide disputate in Emilia si registrò sempre il sold out nel settore ospiti. Oggi non sarà così, sicuramente i circa 2.000 giallorossi sono una presenza più che notevole, considerati orario e giorno del match. A tutto questo va inoltre aggiunto il maltempo, che di ora in ora si farà sempre più critico.
Arrivo attorno allo stadio una mezz’ora prima del fischio d’inizio e ovviamente vento e pioggia torrenziale sono le assolute protagoniste. Una volta ritirato il mio accredito entro, in maniera alquanto trafelata, nella pancia dello stadio. Ci tengo a precisare come anche a Modena i controlli e la gestione dell’ordine pubblico avvengano in maniera tutto sommato tranquilla, senza esagerazioni alla “Indipendenced day” afferibili ai sommi personaggi che capeggiano il governo poliziesco romano.
Pochi minuti prima del fischio d’inizio, nel settore ospiti la parte centrale è praticamente piena, mentre ai lati si raggruppa qualche altro supporter giallorosso. Alla mia destra la Curva Montagnani, solitamente occupata dagli ultras modenesi, presenta tutti i vessilli degli Irriducibili, unico gruppo carpigiano (comunque staccato dalle tradizionali insegne del tifo biancorosso) ad aver scelto di seguire la squadra al Braglia. A dispetto della lunghezza dello striscione e del numero elevato di stendardi e pezze, saranno davvero in pochi a cimentarsi nel tifo. Dopo la coreografia iniziale, composta da bandierone e torce flash, gli Irriducibili sostengono l’undici di Castori a intermittenza, sventolando i propri bandieroni e riuscendo difficilmente a trascinare dietro il resto del settore. Chiaro segno della mancanza dei gruppi di gradinata.
Su fronte capitolino gli ultras salutano l’ingresso delle squadre con un paio di torce e il classico “Quando l’inno s’alzerà”. In uno stadio parzialmente ricostruito nel 2003 e senza dubbio molto bello e funzionale, l’unica pecca è il settore ospiti senza copertura. O meglio: per come la vedo io gli stadi dovrebbero essere tutti scoperti e con meno comodità possibili, se però si vuol fare un discorso di modernità sicuramente il fatto che manchi la copertura in uno dei quattro angoli va a rappresentare un difetto. Ciò per dire che, per gli ospiti, essendo colpiti da una costante pioggia non risulta neanche facilissimo tifare. Va detto però, con mia sorpresa, che di ombrelli aperti se ne vedranno davvero pochi e il tifo si manterrà comunque su livelli più che sufficienti.
Tante le manate e un paio di bei cori a rispondere sono il marchio di fabbrica dei romani. Il match si accende nella ripresa, quando Lucas Digne trova il vantaggio con uno “straccio bagnato” lanciato da distanza siderale, su cui l’estremo difensore carpigiano è tutt’altro che impeccabile. Qualche minuto più tardi è però Kevin Lasagna (assoluto protagonista delle ultime partite del Carpi) a siglare il pari su assist della stella dello scorso campionato: Mbakogu.
Tutto da rifare per i ragazzi di Spalletti e a questo punto la Sud prova a prender per mano la squadra. Il tifo aumenta nei decibel e nella qualità e quando negli ultimi dieci minuti il redivivo Dzeko e Salah trovano il definitivo 1-3, il settore esplode letteralmente per buona pace di Gabrielli e D’Angelo che, impegnati nel frenetico zapping per vedere il calcio internazionale, già prospettavano ulteriori sanzioni per Mario Rossi e Paolo Verdi intenti a esultare in maniera troppo sguaiata, lanciando addirittura epiteti blasfemi nei confronti del direttore di gara.
Il finale è tutto per Luciano Spalletti, che richiama i giocatori già avviati verso le calde docce per spedirli di fronte al settore ospiti. Di fronte a chi li ha sostenuti per 90′, malgrado una pioggia che non ha smesso un istante di cadere. Ogni tanto è giusto che qualcuno intervenga per riportare sulla terra menti troppo poco connesse alla realtà dei fatti. Nella buona e nella cattiva sorte, le responsabilità vanno sempre prese nella vita. Una volta gli uomini di calcio lo sapevano, ormai la maggior parte di essi è perduta nell’apparire, nel farsi vedere ben acconciato e persino educato di fronte alle telecamere. Senza dimenticare di denunciare, additare e incolpare se si subisce una minima critica o persino una contestazione. Bella la vita della maggior parte degli appartenenti al mondo del calcio. Oltre a soldi e fama possono anche fuggire dai propri errori. Ed avere persino ragione.
Simone Meloni.