Sono passati 180 giorni dal quel 4 agosto in cui si annunciava, a gran voce, l’avvio delle procedure per la lenta messa al bando della tessera del tifoso. Dopo 8 anni dalla sua istituzione, sembrava ormai che la tessera avesse ormai i giorni contati: nell’arco di tre anni, così promisero quest’estate, la controversa carta avrebbe dovuto perdere sempre più di significato. Il tutto con l’intento, sbandierato da più versanti, di portare le famiglie allo stadio.

Ma non si era già detto che l’introduzione della tessera sarebbe servita per, fra gli altri intenti, portare le famiglie allo stadio e ora si vuole far credere che l’eliminazione sempre della stessa tessera servirebbe per riportare le famiglie allo stadio? Sembra palese che sia la mancanza di idee il filo conduttore di chi prende le decisioni in tal senso.

Inutile dire che le analogie non si fermano al riempimento degli stadi. Anche la questione dell’ammodernamento e/o rifacimento degli stessi è una tiritera che si ripete con le medesime parole. Insomma cambiando l’ordine degli addendi, in questo caso di chi si avvicenda ai vertici delle varie federazioni, il risultato non cambia.

Anzi, a dire il vero un cambiamento in corso lo si è avuto. La vendita dei biglietti il giorno della partita. Se il match in programma non è considerato a rischio, se le varie questure, prefetture ed enti preposti hanno valutato che non ci sono fattori di rischio, se le società sono giunte alla medesima conclusione e se un asteroide non si è abbattuto sul pianeta terra, il giorno della partita, forse, è possibile acquistare il tagliando direttamente allo stadio. Ma solo per la tifoseria di casa ovviamente.

Sono passati ben 26 sabati ed altrettante domeniche da quel venerdì estivo e l’unico vero cambiamento è proprio questo. L’apertura della vendita di biglietti il giorno stesso dello svolgimento della partita.

Nel frattempo siamo passati da tutto a niente e a tutto il contrario. È vero che l’Italia è un paese disposto in lunghezza per oltre 1.300 km e che le differenze negli usi e costumi popolari son ben marcate da paese a paese (a volte anche a pochi km di distanza fra loro), ma non è possibile che in alcuni stadi si vendano bevande alcoliche all’interno degli impianti, mentre in altri la vendita viene vietata addirittura all’esterno e nelle sue immediate vicinanze. Oppure la vendita all’esterno è consentita, ma non lo sono le bevande alcoliche in bottiglie di vetro. Perché una bottiglia di birra in vetro, notoriamente, non ha la stessa pericolosità di una bottiglia in vetro di aranciata.

E quello degli alcolici è l’esempio che fa più sorridere. Perché per quanto riguarda la possibilità di andare in trasferta, le cose sono ancora meno chiare.

Trasferte aperte solo ai possessori di tessera sono all’ordine del giorno, in alternativa alle molto più rare trasferte veramente libere e aperte a tutti. Non è nemmeno in questo caso tutto così semplice, perché in mezzo ci sono anche trasferte completamente vietate con settori ospiti ovviamente chiusi e deserti. In questo elenco confusionario non possiamo dimenticarci delle trasferte aperte ma non ai residenti della città, della provincia o della regione di provenienza. Insomma, siamo come sempre all’assurdo e sembra proprio che di uniformare il giudizio non se ne parli proprio, almeno non per ora.

L’unica certezza in questo polverone di decisioni è che a farne le spese risulta come sempre essere il tifoso, considerato l’ultima ruota del carro. Un carro trascinato oramai dai soli interessi economici e gestito sempre più diffusamente da cordate di imprenditori, stranieri e non, che poco hanno a cuore la passione popolare.

Luigi Cantini