Discusso, accolto come una liberazione, visto come una vittoria di Pirro e, ancora, descritto come l’ennesimo atto di mera propaganda con l’obiettivo unico di cambiare tutto e non cambiare nulla. Stiamo parlando del Protocollo d’Intesa siglato qualche settimana fa da Istituzioni e “governo” calcistico per migliorare la fruibilità degli stadi italiani. Un documento che ha come principale “mission” quella di eliminare la tessera del tifoso.

A dirla così (e così l’hanno detta e promulgata) è una notiziona. Una retromarcia incredibile che sembra assolvere a tutte le richieste di cui, sin da principio, si è fatto carico l’intero mondo del tifo. “Una vittoria” hanno esclamato in molti. Tuttavia sappiamo che nel nostro Paese questo genere di documenti vanno innanzitutto letti dettagliatamente e, in secondo luogo, interpretati. Da noi ciò che è scritto non sempre è riportato fedelmente nella realtà. Anzi, capita sovente di vedere applicata in maniera diversa, in base ai più disparati criteri interpretativi, questa o quell’altra norma in base alla latitudine geografica.

Ora, che il sistema tessera del tifoso abbia fallito è lapalissiano. E che bisognasse operare per mandarlo in soffitta ancor più palese. Del resto i dati sulla diaspora dagli stadi italiani negli ultimi dieci anni sono evidenti. E soltanto metodi repressivi, limitativi, oppressivi e senza logica come quelli adottati nella gestione delle manifestazioni sportive potevano riuscire in una simile impresa. In due decadi si è lavorato come matti per eliminare gli ultras dagli stadi. Risultato? Il pubblico “normale” ha abbondantemente abbandonato le gradinate, gli unici a rimanere sono stati proprio i gruppi organizzati. Evidentemente non avevano bisogno di programmi per la fidelizzazione o altre corbellerie simili. Evidentemente le celeberrime “famiglie allo stadio” non le riporti con discriminazioni su base geografica, sistemi macchinosi per comprare un tagliando, prezzi alle stelle, impianti vetusti e  campagne di vero e proprio terrorismo psicologico nei confronti di chiunque indossi una sciarpa o porti uno striscione.

Comunque, siccome non è tutto oro ciò che luccica, andiamo ad analizzare il nuovo protocollo, che prende il posto di quello emanato nel giugno 2011  e modifica in parte la circolare redatta dall’Osservatorio Nazionale sulla Manifestazioni Sportive nel marzo del 2007 (quella incentrata sulla regolamentazione per l’ingresso degli striscioni e il divieto per gli strumenti di diffusione sonora come tamburi e megafoni).

Nelle “premesse” si prende chiaramente distanza dai metodi – poco ortodossi – utilizzati finora per gestire il pubblico e vendere i biglietti. Si dice: “Il sistema di ticketing, in particolare, ha subìto le maggiori conseguenze di tali interventi, ritrovandosi gravato da una disciplina, anche pattizia di non sempre agevole interpretazione” oppure “le risoluzioni sullo stewarding e sull’impiantistica, sulla scia del contesto ambientale di quel momento storico (il post omicidio Raciti, ndr), hanno assunto una connotazione consequenziale sbilanciata verso il “controllo” ed il “contenimento” delle condotte degli utenti” e ancora “inevitabilmente, tale sistema ha comportato una serie di effetti collaterali quali un’oggettiva complessità della disciplina del ticketing, la difficoltà di accesso agli impianti, la suggestione dell’utente circa il reale pericolo di andare allo stadio, alcune situazioni di manifesta disparità di trattamento”.

Insomma, una vera e propria ammissione di colpevolezza nella gestione scellerata dei tifosi in questi anni. Rafforzata dal compito dato dal Ministero dell’Interno all’Osservatorio – di concerto con la Federazione Italiana Giuoco Calcio, con le Leghe e le Componenti calcistiche – “di verificare se sussistano le condizioni per realizzare un rinnovato modello di gestione degli eventi calcistici, in grado di realizzare la finalità Calcio = Passione, Divertimento, Partecipazione”. Obiettivi ai quali, evidentemente, ad oggi non si era mai mirato.

Così come risulta importante il passaggio che invoca “il recupero della dimensione sociale del calcio, il ritorno delle famiglie allo stadio, il contenimento dei costi sociali, il conseguimento di una sostenibilità economica – gestionale del sistema”. L’abbattimento dei costi, che nel frattempo sono lievitati in maniera spasmodica soprattutto in alcune città, è certamente tra i punti cardine per riavvicinare le persone allo stadio. Ma già a tal merito sorge la prima domanda: con quale modalità si perseguirà questo “contenimento dei costi sociali”? Società come la Juventus e la Roma hanno ormai scavato un solco – ad esempio – nel prezzario dei biglietti. Aumentandoli con cifre da capogiro e producendo un vero e proprio effetto domino. Esempio? “Io” Fiorentina con le “big” (e quindi anche con la Roma) ho sempre messo il settore ospiti a 25 Euro. Da un giorno all’altro la Roma, non rispettando un rapporto di reciprocità, fa pagare ai miei tifosi 45 Euro all’Olimpico. Come posso reagire se non con lo stesso trattamento?

Questo ha prodotto biglietti inaccessibili anche in stadi storicamente costruiti alla “buona”. Nonché l’allontanamento di molti nuclei familiari, i quali hanno preferito “depauperare” 75/100 Euro in una giornata fuori città o al parco divertimenti, invece che in dei veri e propri lager, dove il “cliente” oltre a pagare profumatamente per uno spettacolo non all’altezza viene sovente trattato come l’ultima ruota del carro.

Una soluzione potrebbe essere quella di stabilire un tetto massimo per i settori popolari (e quindi anche per quelli ospiti). Esiste già un rapporto di reciprocità regolamentato dalla Lega di A da rispettare, ma con i prezzi applicati in alcuni stadi d’Italia (ormai in quasi tutti quelli della Serie A) attualmente risulta difficile pensare che senza una presa di posizione istituzionale le cose possano cambiare soltanto dietro “suggerimenti”.

Nel protocollo si parla quindi di un sistema che in tre anni dovrà radicalmente cambiare il modus operandi, lavorando per “l’inclusione e non l’esclusione” dei tifosi e per far sì che al centro delle decisioni ci sia sempre “l’ammissione con eccezioni” anziché, come fatto finora, il “divieto con eccezioni”. Questo dovrà appunto avvenire tramite “la revisione della disciplina sulla tessera del tifoso e la responsabilizzazione delle società sportive” e “l’impiantistica che, sulla scia del percorso già intrapreso dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, viene ridisegnata anche con la revisione dei regolamenti finalizzata alla riduzione delle barriere ed alla responsabilizzazione degli utenti”. Un ultimo passaggio che va evidenziato in grassetto, perché riprende quanto già contenuto nel precedente documento di Task Force risalente alla stagione 2014/2015 e scredita per l’ennesima volta quanto accaduto a Roma, con l’apposizione delle barriere nei settori popolari dell’Olimpico, fino alla scorsa primavera.

Anche la revisione dei “servizi di accoglienza (stewarding) con logiche improntate ad una maggiore fruibilità degli stadi” assume un aspetto fondamentale. Finora, infatti, tutti i frequentatori degli stadi hanno imparato a conoscere la figura degli steward e spesso ad evitarla. Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di ragazzotti che ricevono un misero pagamento e spesso sono formati in maniera grossolana. Questo comporta una vera e propria incapacità nei compiti svolti, cosa che spesso si trasforma addirittura in un intralcio per la fruizione serena e duttile degli impianti sportivi. L’avergli conferito il titolo di “pubblico ufficiale” non accompagnando ciò a una pedissequa formazione, rischia a volte di produrre un abuso delle proprie mansioni, forse anche dovuto al timore di compiere errori. Insomma, forse sarebbe meglio impiegare meno personale ma più remunerato e meglio istruito.

Si arriva così ai cambiamenti che entreranno in vigore già dalla presente stagione:

  • la trasformazione della tessera del tifoso in una carta di fidelizzazione emessa dalla società (cosa che, a memoria, si era chiesta sin dalle prime riunioni tra gruppi organizzate l’indomani dell’imposizione della tessera, ndr)
  • l’acquisto libero dell’abbonamento, non più collegato a una carta di fidelizzione
  • la cancellazione dei voucher
  • l’abrogazione dell’iniziativa di fidelizzazione “invita un amico (ovvero due amici) allo stadio”, prevista alla Task 2– T 1.2 del documento della Task Force

Un cambiamento importante riguarda anche la vendita dei biglietti il giorno delle partite. Cosa che teoricamente era stata inibita nel 2007. Il “teoricamente” si riferisce alla diverse situazioni che poi si sono verificate lungo lo Stivale in questi anni. Ci sono infatti diverse società che hanno continuato a vendere i tagliando presso i botteghini dello stadio. Tuttavia anche il ripristino di questa “normalità” prevede delle eccezioni non da poco, come si legge sul protocollo:

  • Come già previsto dalle normative di riferimento, i biglietti per lo stadio, al di fuori che per il settore ospiti [e/o altre zone dello stadio individuate in sede di Gruppo Operativo Sicurezza (di seguito GOS), solo per le partite con profili di criticità] potranno essere acquistati anche il giorno della gara.

Non è dunque vera la notizia circolata sulla possibilità di acquistare i biglietti per il settore ospiti anche il giorno della partita.

Altra mezza verità è quella sull’eliminazione della “discriminazione territoriale” riguardante la vendita dei tagliandi. Il documento così recita:

  • l’utente residente nella regione di provenienza della squadra ospite non necessita di carta di fidelizzazione per l’acquisto del titolo di accesso in qualsiasi settore. Solo in caso di partite a rischio, l’Osservatorio potrà disporre la limitazione ai soli possessori di carte di fidelizzazione per l’acquisto del titolo.
  • l’utente residente in regioni diverse da quella di provenienza della squadra ospite non necessita più della carta di fidelizzazione per accedere al settore ospiti, salvo specifiche limitazioni disposte dall’Osservatorio in caso di partite a rischio.

Se dunque è vero che in generale decade la vendita legata alla provenienza geografica della squadra ospite è altrettanto vero che il tutto rimane connesso alle scelte dell’Osservatorio. Questo vuol dire che, per esempio, una tifoseria che per scelta non ha aderito alla tessera del tifoso ma, contestualmente, non si è fatta mai protagonista di gesta “bellicose”, può tornare a viaggiare integralmente, soprattutto nelle categorie inferiori. Viene però da chiedersi, per esempio, se a tifoserie come quelle dell’Atalanta, del Napoli o della Sampdoria (per rimanere in A) verranno concesse solo scampagnate come Verona col Chievo e Reggio Emilia col Sassuolo? Perché potenzialmente la maggior parte delle partite per loro vengono considerate a rischio. Se così fosse sarebbe un po’ uno specchietto per le allodole. Magari una piccola conquista, ma di certo si resterebbe sempre nel limbo incostituzionale e retrogrado del divieto basato sulla discriminazione territoriale.

Del resto il seguente passaggio questo lascia intendere:

Per le partite a rischio, potranno essere valutate le ulteriori seguenti
misure:

  • l’incedibilità dei titoli;
  • il collocamento dei tifosi ospiti esclusivamente all’interno del settore loro dedicato;
  • l’adozione di restrizioni anche per i soli tifosi locali, necessari per graduare il rigore dei provvedimenti.

Certo che se il buongiorno si vede dal mattino, a breve giro di quadrante abbiamo visto le autorità italiane premere per il divieto di trasferta dei supporter nizzardi a Napoli e imporre la tessera del tifoso persino in un’amichevole tra Avellino e Frosinone, con le due tifoserie gemellate. Certo, contestualmente stiamo assistendo all’apertura a tutti di alcuni settori ospiti (vedasi per i frusinati a Vercelli, i leccesi a Brindisi col Francavilla e gli spallini a Roma con la Lazio). Ma il risultato finale deve comunque essere quello di far fruire tutti liberamente del calcio. A prescindere da quale sia il rischio inerente alla partita. Questo avviene nella maggior parte dei Paesi evoluti del Vecchio Continente ed è sintomo di saper gestire alla perfezione gli eventi. Magari senza creare scalpore per qualsivoglia episodi possano accadere ma lavorando, semmai, per prevenirli e, al limite, punirli. Senza però ricorrere a punizioni di massa (es. Daspo di gruppo o divieti-castigo).

Forse il passaggio più complesso è comunque quello che riguarda la responsabilizzazione delle società:

  • Le società sportive organizzeranno le proprie Ticketing policies riservandosi l’opzione di condizionare l’acquisto del titolo di ammissione alla competizione (biglietti, abbonamenti) e/o la sottoscrizione di carte di fidelizzazione da parte dell’utente ad un’accettazione tacita di “condizioni generali di contratto”, consistenti in un codice etico predeterminato. La violazione di questo deve comportare, quale meccanismo di autotutela, la
    sospensione o il ritiro del gradimento della persona da parte della medesima società per una o più partite successive.

In che senso? Verrebbe da chiedere facendo il verso al miglior Carlo Verdone. Di base è un qualcosa che ci può anche stare ma, di contro, le nostre società sono pronte a prendersi una simile responsabilità senza abusarne? E, inoltre, come si chiedeva giustamente l’avvocato leccese Pino Milli, in caso di revoca degli abbonamenti o situazioni di criticità tra società e tifosi, chi regolerebbe queste controversie?

Volendo fare gli avvocati del diavolo non si può non ipotizzare una presidenza dittatoriale (e in Italia ne esistono eccome) in cui alla prima contestazione, anche civile, la dirigenza opta per la revoca del titolo d’accesso ai “dissidenti”. Si parla inoltre di codice etico: può sembrare demagogico, ma come possiamo accettare che a propinarci un documento “etico” siano presidenti plurinquisiti e pluricondannati, rei spesso di aver rovinato e messo nei guai il calcio italiano?

Rischia sicuramente di essere un’arma a doppio taglio. A cui – non dimentichiamocelo mai – va aggiunto anche un provvedimento discusso e controverso come il Daspo, che nelle ultime stagioni è stato ampiamente irrobustito e arricchito, peraltro, dell’articolo 9.

Per chi fosse poco avvezzo, cosa è l’articolo 9? Inizialmente era un vero e proprio Daspo a vita e impediva l’acquisto di qualsiasi tipo ti titolo d’accesso a chiunque avesse avuto una diffida nella propria vita. Ciò voleva dire, quindi, che se Mario Rossi era stato daspato nel 1992 per aver tirato una torcia in campo oggi non avrebbe potuto più accedere allo stadio. Ciò è stato parzialmente modificato dopo l’intervento congiunto degli avvocati Contucci e Adami, il che non è sicuramente ancora sufficiente ma ha quanto meno eliminato il Daspo a vita. Come? Oggi chi ha avuto una condanna per reati da stadio non può acquistare titoli d’accesso per i cinque anni successivi. Questo significa che se io accendo una torcia e vengo diffidato per un anno, ovviamente per questo asso di tempo non posso frequentare le gradinate. Dopodiché ricomincio ad andare allo stadio e dopo 2/3 anni per lo stesso fatto vengo processato e condannato per cinque anni (a cui va detratto l’anno che ho già scontato) non posso fare biglietti.

Tuttavia perché questo continua ad essere un qualcosa di assurdo? Un soggetto ritenuto non più pericoloso dalla stessa Questura che ha emesso il Daspo non può comunque acquistare biglietti per quattro anni in virtù di questa norma. Il paradosso ulteriore è che, in questo modo, viene privilegiato chi è più violento: se io accoltello a morte un tifoso avversario mi danno ovviamente cinque anni di diffida, scontati quei cinque anni posso tornare allo stadio. Mettiamo che venga processato e ritenuto colpevole entro in blacklist per altri cinque anni, ai quali però vanno sottratti proprio quelli che ho già scontato. Quindi, de facto, chi assume il comportamento più pericoloso e lesivo può non entrare proprio in blacklist, a differenza di chi invece viene condannato per aver festeggiato il gol della propria squadra con un fumone.

Di questo aspetto il protocollo non si fa carico. Ed è senza dubbio uno dei punti fondamentali di tutto l’impianto repressivo messo in piedi in questi ultimi anni. Tanto è vero che la “battaglia” delle tifoserie organizzate in questi ultimi anni si è spostata – più che sulla tessera del tifoso – proprio sull’articolo 9. Presente anche sul biglietto. È quindi necessario ricordare come la tessera del tifoso, ad oggi, altro non sia che un doppione del biglietto nominativo e la sua eliminazione si rendeva quanto meno doverosa.

Per quanto riguarda i compiti delle società si sollecita (finalmente) il corretto utilizzo della figura dello SLO:

  • In tale contesto, le stesse società cureranno in modo particolare il rilancio del servizio del Supporter Liaison Officer (di seguito SLO), in quanto attività di mediazione strategica per l’applicazione della nuova disciplina privatistica.

Sperando che questo non resti solo un appello scritto su un foglio bianco. Sarebbe ora che i club italiani istruissero e dessero a queste figure i compiti che loro spettano. Lo SLO – infatti – è una figura resa obbligatoria dalla Uefa e, attualmente, in Italia è presente solo per “dove di organigramma”.

Controverso invece il passaggio sulla reintroduzione di tamburi e megafoni:

Sono ammessi soltanto tamburi e megafoni quali strumenti sonori ed acustici. L’introduzione segue la medesima disciplina prevista per gli striscioni. Il GOS, valutato il contesto ambientale, rilascerà l’autorizzazione a condizione che:

  • il numero sia proporzionato alla grandezza del rispettivo settore;
  • i tamburi siano ad una sola battuta;
  • sia in caso di introduzione di tamburi che di megafoni, il referente deve essere preventivamente identificato già in sede di GOS. Conseguenzialmente, il GOS provvederà a far modificare i regolamenti d’uso degli stadi secondo tali indicazioni.

Diciamocelo pure, più che per ragioni di sicurezza la loro proibizione venne perorata in un periodo dove si voleva zittire in ogni modo la cassa di risonanza degli ultras. Pertanto togliendo due strumenti che hanno sempre fatto da collante con il resto dello stadio si è fatto un passo importante per il loro isolamento. Credendo forse che ciò fosse sufficiente a renderli un corpo estraneo allo stadio e al calcio italiano con il passare degli anni. Abbiamo visto che invece si è ottenuto l’effetto contrario. Così, come inspiegabile, ingiustificata ed ottusa fu l’eliminazione di questi strumenti dagli stadi italiani, articolata e machiavellica ne è la reintroduzione.

Ad esempio, quando si parla di “tamburi a una sola battuta”, cosa si intende di preciso? Inoltre si continua sulla strada della burocratizzazione del tifo proseguendo quella malsana usanza secondo cui gli striscioni debbono essere preventivamente autorizzati per entrare allo stadio, raffigurando una censura a priori bella e buona. Perché? Ovvio che messaggi cruenti o inneggianti alla discriminazione razziale non debbano essere esposti, altrettanto ovvio che però gli stessi – ormai – sono facilmente controllabili agli ingressi dei nostri stadi. Sicuramente molto più ordinati e tranquilli di un tempo.

Se poi parliamo di tamburi e megafoni la cosa è ancor più semplice. Ogni Questura conosce alla perfezione i responsabili dei gruppi e le loro mansioni all’interno della curva. Tanto è vero che – sempre per dircela tutta – da qualche anno, ormai, in molte città si è tornato già a reintrodurre striscioni, tamburi e megafoni alla vecchia maniera. E il messaggio anti violenza promulgato negli stadi prima del fischio d’inizio (“…è vietato qualsiasi tipo di strumento per la diffusione sonora: tamburi, megafoni e quant’altro”) appariva ormai sempre più privo di significato in questo passaggio. 

Pertanto, tornano tamburi e megafoni? Sì, ma bisogna vedere come. A seconda del punto di vista potremmo dire che non sono mai scomparsi (previa autorizzazione) oppure non sono realmente tornati (proprio perché si necessita ancora il passaggio istituzionale” per portarli dentro). Ci si auspica a un ritorno al buon senso, almeno in questo campo. Del resto nessuno è mai morto con un tamburo o un megafono. È tifo, non un tentato omicidio.

Considerazioni finali:

Al cospetto di tante belle parole, come ogni cosa nella vita, bisognerà misurare il corrispettivo in fatti. Per far sì che ci sia un vero e proprio cambiamento culturale c’è bisogno di un grande cambio nella mentalità di chi è incaricato di gestire i tifosi e l’ordine pubblico durante le manifestazioni sportive. Come fatto cenno precedentemente, già in questo inizio stagione abbiamo assistito a comportamenti volti in direzione opposta a questo protocollo, con divieti alquanto insensati o, peggio ancora, rifiuti agli ingressi per striscioni di sprono alla squadra (lo sanno bene doriani e laziali).

È sicuramente un passaggio fondamentale per semplificare la vita dei tifosi, soprattutto di quelli cosiddetti “occasionali”, che ora potranno acquistare un biglietto anche all’ultimo minuto o effettuare una trasferta ogni tanto senza l’odioso obbligo di sottoscrivere la tessera del tifoso. Cambia poco per gli ultras, se non per quei gruppi – come detto – che hanno coerentemente sempre rifiutato la tessera e che quanto meno d’ora in poi si troveranno a poter viaggiare di tanto in tanto.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Simone Meloni