Una signora sta spazzando via le foglie che si sono accumulate di fronte l’uscio della sua casa. La giornata primaverile cozza tremendamente con tutti quei triangolini secchi poggiati sull’asfalto, che segnano l’ultima resa da parte di un’estate ormai sconfitta e trapassata. “Che ha fatto il Frosinone?”, mi chiede curiosa. “Ha vinto signora”, le rispondo. “Meno male!”, mi saluta con un sorriso raggiante. Dalla sua casetta sporge un vessillo giallazzurro, proprio a pochi metri dove l’ennesimo battaglione formato da carabinieri, polizia e vigili urbani chiude gli incroci con Via Marittima, in attesa del passaggio dei tifosi baresi, di ritorno verso casa. Ragazzi e signori attempati fanno capolino dai bar di zona, dopo aver aspettato il fischio finale della partita per tornare a svolgere le proprie mansioni.

Se dovessi scattare un’istantanea a mio piacimento, probabilmente apporrei questa sulla copertina di Frosinone-Bari. Lontano dallo stadio. Sì. Ma come se ancora vi fossi dentro. Lontano dai cori. Sì. Ma ancora cosciente di quanto il cuore della città palpiti per la propria squadra. La Serie B ha restituito un aspetto più genuino e battagliero anche al settore ospiti, dove ora le tifoserie non arrivano con la puzza sotto al naso, esprimendo quasi sempre tutta la loro mediocrità. E questo mix offre ancora la possibilità remota di assaporare il pallone nella sua versione più buona. È ovvio, dobbiamo sempre riportare il tutto al netto di come viene concepito questo spettacolo nel 2016. Raffronti con un passato tanto vicino ma così diverso da sembrare lontano anni luce, potrebbero essere impietosi sempre e comunque.

Una partita di domenica alle 15 è di suo un evento più unico che raro. Figuriamoci poi se la categoria in questione è la B, ormai spostata da anni al sabato. Non che uno voglia fare il romantico a tutti i costi, ma questo orario indubbiamente ha il potere di richiamare più pubblico allo stadio. Non è un caso se il settore ospiti fa registrare praticamente soldout ancor prima che i terminali cessino definitivamente di rilasciare tagliandi, il sabato sera. Il Matusa si colora nuovamente in maniera importante, essendo per 90′ il centro nevralgico della città, dove oltre 7.000 cuori tifano, inveiscono e sperano per i propri colori. Un elicottero sorveglia pressante il cielo sopra lo stadio, mentre attorno al settore ospiti il dispiegamento di forza pubblica è impressionante. Forse qualcuno non ha dimenticato alcune scaramucce avvenute un paio di anni fa, che portarono al tristemente celebre Daspo di gruppo (il primo in Italia) per 52 tifosi pugliesi. Un provvedimento tanto strampalato quanto teso a colpire nel mucchio, che finirà per essere sospeso dal Tar del Lazio. Ma ci sarà modo per raccontare alcune vicissitudini che anche oggi non hanno mancato di colpire i tifosi ospiti.

Ritirato l’accredito posso varcare i tornelli. Lo stadio si sta riempiendo e una mezz’ora prima del fischio d’inizio, nella Curva Sud mancano praticamente soltanto i gruppi organizzati biancorossi. Arriveranno a ridosso del match, venendo accolti dalla prime invettive del pubblico ciociaro. Tra le due tifoserie non corre buon sangue, inutile nasconderlo. Del resto tra il pubblico frusinate e l’asse Reggio/Salerno/Bari i rapporti non sono mai stati idilliaci. Seppure con i galletti non si possa parlare di rivalità principale, l’antipatia è presto tangibile attraverso alcuni cori di scherno che vengono rimpallati al mittente per qualche minuto. Poi è tempo di serrare i ranghi e disporsi nelle rispettive curve per dare il via allo spettacolo del tifo. I primi minuti sarebbero davvero da incorniciare. Bandieroni, mani levate al cielo, colore e cori. Ripenso nuovamente alla Serie A, in generale, e mi dico: “Quella è una categoria per le squadre, questa ancora minimamente per i tifosi”. Il pubblico si alza a ogni decisione contraria dell’arbitro, con Distinti e Tribune Laterali che partecipano attivamente al tifo della Nord.

Una Nord che oggi si produce in una buona prestazione, sempre bello l’incessante sventolio di bandieroni nella parte bassa, le sentite esultanze ai gol e la buona sincronia con cui partono manate e cori a rispondere. Oggi non può passare inosservata una presenza, quella di Roberto Stellone. Un signore che da queste parti ha contribuito a scrivere una storia unica nel suo genere: il Frosinone in Serie A, con il tecnico romano condottiero dalla Serie C. Non è stato certo dimenticato, e in tre fasi della partita viene invocato dai sostenitori giallazzurri con cori e striscioni, ai quali risponde applaudendo. Restando sulla scia di questo, apprezzabile l’esultanza del portiere di casa Bardi, che alla rete del 3-0 sfoga tutta la sua gioia abbracciando un raccattapalle e festeggiando a tu per tu con la curva. Una doppietta di Dionisi e un gol di Sammarco, restituiscono infatti al Matusa l’anima battagliera di una squadra che a inizio stagione sembra essersi un po’ persa. Nel pallone e nella società dell’anonimato, del folklore vietato e delle manifestazioni di giubilo da sopire sempre e comunque, sono questi i gesti che avvicinano la gente alle gradinate. Stiamone pur certi. Con buona pace di chi vorrebbe stadi sempre più silenziosi e grigi, con un pubblico dedito a cibarie americane e tifo da baseball. Fatevene una ragione: quando il calcio diverrà uno sport per educande, non lo seguirà più nessuno.

E sì che d’impegno per renderlo tale ce ne stanno mettendo. Prendete i baresi. La loro prestazione odierna. E prendete alcune sanzioni in cui sono incappati. Ma andiamo con ordine, pur premettendo che sotto il profilo dell’ordine pubblico tutto è filato liscio, riducendo la contesa a semplici invettive verbali, che tutto sommato rientrano nella cultura media di ogni tifoso del globo terracqueo e che dovrebbero essere presi per ciò che sono. Ma si sa, nel nostro Paese ci si scandalizza più per uno striscione che per stipendi tagliati o pensioni negate.

Non sono un amante delle trasferte di massa, soprattutto negli ultimi anni. Spesso coincidono con prestazioni mediocri. Fortunatamente ogni tanto arriva qualcuno a smentirmi, o almeno a confermarsi come eccezione di un regola consolidata. In questo caso sono i supporter biancorossi. Tanti, colorati, compatti e continui. Davvero una spanna sopra a quasi tutte le grandi tifoserie che lo scorso anno si sono presentate da queste parti. Una volta sistemato lo striscione dei Seguaci, i baresi hanno il merito (per nulla scontato) di non assecondare la prova, a tratti orripilante, della propria squadra, marciando su un binario parallelo dove costruiscono una prestazione di grande livello. Si intuisce che anche il tifoso medio ha nel sangue un modo curvaiolo di vivere lo stadio, segno tangibile che in riva all’Adriatico si cresca ancora a pane e tradizioni in fatto di calcio. Se i cori a rispondere e le manate eseguite da tutti sono meritevoli di elogio, i pugliesi raggiungono l’apice con la bellissima sciarpata nella ripresa. Quando gli uomini di Stellone hanno già virtualmente perso. Tanti lembi di stoffa biancorossa tesi in maniera fitta, come si usava un tempo.

Ma si sa, ciò che è bello in questa società si paga a caro prezzo. Nell’era delle multe e della repressione cieca, non può mancare la sanzione per aver introdotto un megafono senza autorizzazione e una probabile diffida per aver usato lo stesso coinvolgendo il tifo. “…Un altro sostenitore ospite che, a fine gara, sempre con l’uso di un megafono non autorizzato, incitava alla violenza”, si legge sul sito della Questura del capoluogo ciociaro. “Incitare alla violenza”, lo traduco in soldoni, significa foraggiare quei classici attriti verbali di fine partita descritti prima. Qualcosa che esiste in ogni stadio del mondo e che appare alquanto pretestuosa, e tesa più che altro a trovare forzatamente una motivazione per punire i sostenitori del Bari. Un clima da caccia alle streghe che prosegue imperterrito la sua opera di criminalizzazione del tifo organizzato. Si può punire per un megafono? Ha davvero senso? Non mi si risponda “è il regolamento”. Perché sappiamo tutti che una regola non è giusta in quanto tale, ma è giusta se veramente normalizza una situazione critica. Mi chiedo: dov’è il pericolo nell’utilizzo del megafono da parte dei tifosi in generale? È il discorso che facciamo sempre quando analizziamo il ridicolo divieto per tutti gli strumenti di tifo. Non è forse questo un atto subdolo volto soltanto a disgregare il tifo organizzato, togliendogli voce e facendo leva sulla parte che anche i nostri sommi burocrati di calcio e Istituzioni dovrebbero tutelare, ciò quella aggregativa e folkloristica? Sarà una baggianata qualunquista, ma se in Italia venisse usata altrove la stessa meticolosità posta in essere per individuare il possessore di un “pericolosissimo” megafono, o il lanciatore di un coro, forse vivremmo in un Paese florido e perfetto in tutte le sue sfaccettature.

Punire un megafono è zittire una voce. Si dicesse chiaramente questo. Punire un megafono è come distruggere uno spazio sociale o tentare di randellare una volta per tutte chi attraverso lo stesso, in fondo, permette a qualche migliaia di persone di passare una domenica tra amici. Cantando e tifando per la propria squadra. Dovremmo autorizzare ciò? Purtroppo ci siamo inconsciamente abituati a questo grado di burocrazia, ma ogni tanto bisogna ribadire quanto non sia affatto parte integrante della normalità. Oltre ad essere un chiaro indizio su come il lavoro svolto in seno al mondo del tifo, non sia tanto per arginarne gli aspetti estremi e violenti, quanto per distruggerne quelli ludici e apprezzati da tutti.

Due anni dopo, sempre in occasione di Frosinone-Bari, ci troviamo costretti a commentare delle sanzioni tanto aspre quanto “cumulative” e sproporzionate. Dovrebbe essere questo il punto da cui ripartire, per tutti. Con logica e buon senso. Magari cercando di preservare quel poco di positivo che resta. I tifosi non sono delinquenti per partito preso.

Simone Meloni.