A quindici anni ero un ragazzo piuttosto impacciato, sovrappeso, incline all’innamoramento precoce e non corrisposto.

Parlavo con un sacco di ragazze e con molte di queste fantasticavo futuri fatti fatti di cene al lume di candela e passeggiate in centro il sabato pomeriggio dopo la scuola.

Loro però avevano puntualmente altre idee.

Ho sempre sofferto questo mio non essere mai punto di approdo ma solo luogo di passaggio.

E ho sempre dato la colpa alla mia profondità. Nessuno si fermava perché nessuno aveva la pazienza di capirmi fino in fondo.

La Spezia in fondo è un po’ così.

Il mare qui è vita e Cultura. E lo senti. Nell’aria, nei colori delle case, nelle gru del porto. Ma non lo vedi quasi mai. Specie se come me arrivi in treno dalla Lunigiana.

Devi dribblare palazzi altissimi e vie strette prima di trovarlo.

La solita battaglia tutta ligure fra moderno e antico. Fra terra e cemento.

Devi volerlo, il mare.

La stazione è un vociare infinito in tutte le lingue del mondo. Colonne alle biglietterie, zaini e scarponi. Annunci metallici di città, binari, ritardi. Sembrano prometterti le porte del paradiso.

Poi fai due passi più in là e c’è il silenzio.

Una città che non vuole vendersi.

La capisco io. A diciott’anni non mi fregava già più nulla di essere luogo di passaggio.

Coltivavo la mia solitudine e avevo ormai imparato ad aspettare che arrivasse qualcuno con la voglia e la pazienza di ascoltarmi.

Senza che glielo chiedessi io.

E forse per questo ho amato come hanno fatto in pochi, alla mia età.

Basta fermarsi un po’ sul lungomare, fare due chiacchiere con la signora seduta lì. Mangiare qualcosa di fritto qualche passo più lontano.

Basta salire un po’ più in alto, verso la montagna.

Basta poco per capire che La Spezia ha la sua storia da raccontare.

Basta volerla ascoltare.

Basta andare al “Picco”, che più che uno stadio è un monumento.

Novantasette anni portati benissimo.

Dentro l’ambiente è variegato. Ognuno ha il proprio modo di vivere la partita e si vede, in ogni settore.

La Ferrovia offre un tifo costante. Pochi picchi ma pochissimi silenzi, subito tappati dai cori del Gruppo Bullone nei Distinti.

Dall’altra parte i trapanesi sono solo 19 ed è un peccato perché sarebbe stato un bel confronto considerato anche che gli spezzini li punzecchiano spesso.

Nulla di organizzato però sul lato ospite, vista la temporanea sospensione della Curva Nord a causa delle sempre più stringente repressione.

Alla fine sono proprio i siciliani ad avere la meglio sul campo.

Il deflusso è lento ma rumoroso.

A nessuno sembra importare troppo della sconfitta.

Ed è sempre affascinante quand’è così, perché significa che il tuo esserci è stato solo per te stesso e per i tuoi amici. Per la tua città e per i tuoi colori.

A me spetta un viaggio di ritorno infinito.

Quattro ore e mezza di Regionali, due cambi.

Il sole scende fuori dal finestrino e si butta nel mare delle Cinque Terre.

Io pago la condanna di non saper dormire quando ci sono paesaggi sconosciuti e mi trovo a pensare a quanto tempo fa mi sono innamorato l’ultima volta.

In realtà credo ancora non mi sia passata. Pensavo sarebbe stata la svolta e invece, come al solito, avevamo pensieri diversi.

A Chiavari si siede di fronte a me una ragazza bellissima. Non poteva essere altrimenti.

Io sorrido, lei sorride.

Fino a Milano mi basterà.

Per il resto, l’avrete capito, ci vuol pazienza.

Gianluca Pirovano.