Qualche tempo fa mi venne in mente di proporre agli Ultrapaz Taranto, in occasione dei loro quarant’anni di vita, un’intervista, una chiacchierata; conoscendo la loro avversione alle tecnologie moderne e la metodologia con la quale diffondono il loro pensiero, qualche dubbio mi venne immediato. Ma, chiamato Giovanni, fatta la mia proposta e dopo aver specificato che sarebbe uscita sulla nostra rivista, la sua risposta fu prontamente “Sì”.

Così in un caldissimo pomeriggio di metà luglio, ci diamo appuntamento nella loro sede storica al quartiere Paolo VI. La prima cosa che noto una volta entrato, sono i preparativi per la coreografia in programma per tale ricorrenza. Sui muri oltre alle tantissime storiche fotografie, sciarpe, adesivi e tantissimo altro materiale, fa bella mostra la bozza di quello che il gruppo sta realizzando per festeggiare mentre, in una zona a parte, è accumulato il materiale occorrente. Tra una battuta e l’altra aspettiamo di poter iniziare, in attesa dell’arrivo di alcuni dei fondatori del gruppo; così, appena arrivati Peppe e Franco Orlando, seduti ad un tavolo, con qualche birra ghiacciata in mano e circondati dai colori rosso-blù, iniziamo questo bel pomeriggio insieme.

1978, questa data da un po’ di tempo affianca con sempre maggiore frequenza il nome degli ULTRAPAZ, a voler rimarcare la propria storia. Quando e come nascono precisamente gli ULTRAPAZ TARANTO e come mai questo nome?

A Pescara 1980/81

Noi, da ragazzi, abitavamo non molto lontano dallo stadio e nostro padre era davvero “malato” per il Taranto. Tutte le domeniche ci portava a vedere le partite e spesso anche in trasferta. Erano anni di serie B, e vedere in alcuni stadi come si viveva la partita, per noi ragazzi era veramente molto bello. La mia prima partita risale al 1972, ero un bambino, avevo 10 anni. Difficilmente vedevo tifoserie avversarie a Taranto. In quegli anni ricordo una volta i catanzaresi, e quelle rare volte, in tribuna, i dirigenti della Società passavano dicendo a tutti di evitare liti e tifare solo per il bene del Taranto; invece ogni volta era una storia, botte, gente che correva da un settore all’altro, anche fuori dallo stadio si andava alla ricerca del contatto con i tifosi avversari. Secondo me quella gente era Ultrà e non lo sapeva; ma ti ripeto questi anche se sono ricordi nitidi nella mia mente, restano comunque quelli di un bambino di dieci anni colpito da quelle situazioni, situazioni che entrate nella mente non sono più uscite.

Ricordo invece perfettamente la mia prima trasferta nel dicembre del 1977 ad Avellino. Finì  0-0, era l’anno in cui l’Avellino venne promosso in serie A, noi avevamo appena acquistato  Iacovone e  volevamo vederlo giocare ovunque; era davvero un giocatore straordinario, tant’è che quell’anno stesso divenne anche il nostro capocannoniere. La tifoseria dell’Avellino aveva già dei gruppi, il tifo era organizzato, noi invece eravamo più improvvisati, sventolavamo qualche bandiera rossoblù ed appendemmo uno striscione su cui c’era scritto “Dio perdona, il Taranto no”. Quella partita mi segnò; iniziai a coinvolgere alcuni amici, volevo anche io organizzare il tifo la domenica. L’anno dopo andammo a vivere nel quartiere Paolo VI. Qui feci amicizia con altri ragazzi con i quali passavamo le intere giornate giocando per strada a calcio e la domenica andavamo tutti insieme allo stadio. Eravamo molto amici e decidemmo di creare un gruppo per riconoscerci dietro un unico nome; come nacque il nome Ultrapaz? Te lo dico subito. Ultrà perché anche in noi, come oramai ovunque in Italia in quel periodo, si stava diffondendo questa voglia di vivere lo stadio e la curva in particolare, in maniera diversa dagli altri settori. Volevamo chiamarci semplicemente Ultrà Taranto. Poi, un giorno in un autobus lessi la parola TAPA∑, nome greco di Taranto che si legge “Tapaz”; mi piacque tanto, mi colpì in maniera particolare e così decidemmo di utilizzare la parte finale della parola, ma poiché non ci piaceva scrivere sullo striscione il simbolo “∑”, decidemmo di scriverlo proprio come si legge… paz. Da qui nascono gli ULTRAPAZ. Benché presenti sin dal 1978 con bandierine e sciarpe, fatte rigorosamente a mano, su cui facevamo scrivere il nome del nostro gruppo, il primo striscione lo esponemmo in Curva Nord durante la partita Taranto-Varese del campionato 1979-80. Era lungo una decina di metri e noi ci posizionammo tutti dietro, fieri ed orgogliosi di quello striscione.

…qualche ricordo di quelle prime esperienze da Ultrapaz e mi riferisco non tanto alle trasferte o ad episodi particolari, dei quali parleremo più tardi, ma vorrei sapere come ci si organizzava in quegli anni per tifare la domenica.

Trasferta a Pisa ’86/87

Allora non era come oggi, noi ci dovevamo inventare gli strumenti del tifo, i soldi mancavano e non potevamo acquistare niente. La domenica entravamo allo stadio con quanta più carta possibile, facevamo il giro delle ricevitorie a prendere schedine, le stracciavamo e creavamo coriandoli da lanciare in aria per colorare il nostro settore. I nostri primi fumogeni erano artigianali; durante la settimana riempivamo i rotoli vuoti di carta igienica con la parte infiammabile di centinaia e centinaia di fiammiferi, alla fine mettevamo un po’ di carta, una volta acceso lo zolfo, si sprigionava il fumo, ma dovevamo fare attenzione perché capitava anche che ogni tanto qualcuno si ustionasse le mani. Capitava, ma non spesso, purtroppo, di riuscire a “recuperare” qualche pon-pon in carta. In questo ci aiutava l’amico Arnaldo Bellanova degli Angeli della Sud, lui lavorava in una tipografia e da lì ogni tanto faceva uscire del materiale di scarto che noi, così come i GADS, utilizzavamo per le coreografie.

Io – prosegue Peppe – ero uno di quelli che, in trasferta, non voleva mai che succedessero “casini”, almeno nel viaggio di andata, perché ci tenevo ad arrivare a vedere la partita. Per me, e per tutti gli Ultrapaz, ma non per tutti quelli che seguivano la squadra, arrivare era fondamentale. Dovevo vedere la partita, dovevo vedere giocare il Taranto, i giocatori dovevano vederci e sapere che noi c’eravamo. Ti posso anche dire che nel campionato 1980-1981, in una delle ultime trasferte della stagione, andammo a Terni. La partita finì 1 a 0 per noi; in quell’occasione per la troppa euforia, mi feci prendere dalla voglia di ben figurare ed avendo portato poco materiale per colorare il nostro settore, iniziai a fare razzia nel treno, presi tantissimi rotoli di carta igienica, ma quando scesi la polizia mi fermò e mi arrestò. Per fortuna, tramite il mio carissimo amico “Taluccio”, riuscii a divincolarmi e scappare dalla stazione riuscendo a raggiungere lo stadio. Lì poi successe il finimondo. 

40 anni, un traguardo molto importante sicuramente vissuto tra alti e bassi. Qual è stato il periodo più buio del gruppo e perché e quale, invece, quello che ha visto gli ULTRAPAZ esprimersi ai massimi livelli. Raccontate qualche aneddoto, episodio, trasferta che ha lasciato un ricordo particolare.

Sciarpata a San Benedetto ’86/87

Continuano a parlare Peppe e Franco. Nel frattempo la sede continua a riempirsi di diversi componenti del gruppo ed i più giovani restano in assoluto silenzio ascoltando le loro parole. Io resto davvero colpito dalla dovizia di particolari con cui i due fratelli raccontano episodi di 35-40 anni fa, ogni tanto “punzecchiandosi”, ovviamente in maniera scherzosa, sui particolari di alcuni episodi.

Il periodo nostro non è paragonabile al mondo Ultras di oggi, noi non possiamo parlare di alti e bassi; per noi era tutto un evolversi di situazioni, per noi è sempre stato tutto bello, in quegli anni, noi nella Nord e Gli Angeli della Sud nell’altra curva ci inventavamo il modo di tifare. Poi te li racconteranno gli altri del gruppo i vari periodi.

Noi ed i GADS, siamo nati, più o meno nello stesso periodo. Il motivo per cui non siamo diventati un unico gruppo è stata la diversa provenienza dai quartieri di Taranto. Noi eravamo tutti “ragazzi di strada” ed abitavamo nello stesso quartiere, gli Angeli erano tutti della città – a Taranto i ragazzi dei quartieri periferici, come Paolo VI appunto, benché di forti, fortissime radici tarantine indicavano quelli che abitavano nelle zone centrali come “quelli della città”, magari anche per l’estrazione sociale diversa rispetto alla loro -. Il gruppo per noi era anche riconoscersi come entità di quella zona di Taranto che in quegli anni si stava espandendo. Per questo motivo ci sistemammo in Curva Nord, da dove non ci siamo mai spostati. Avevamo un unico interesse, tifare per il Taranto e nello stesso tempo distinguerci rimanendo autonomi.

Un derby col Bari del 1988/89

Ti racconto qualche bella trasferta di quegli anni, – mi dice Franco – inizio da Rimini nella stagione 1980-81. Due domeniche prima che andassimo noi, a Rimini giocò il Bari e venimmo a sapere che persero uno striscione. Pertanto quando arrivammo, prestammo una maggiore attenzione; ci misero in curva, ma quel settore non riusciva a contenerci tutti. Così iniziammo a scavalcare nella gradinata adiacente. Ovviamente i tifosi che occupavano quei posti non erano affatto d’accordo, ma con le buone o con le cattive riuscimmo ad entrare e sistemarci rimanendo in quel settore fino alla fine della partita. Prima di uscire riuscii a staccare uno striscione, non Ultras ma di qualche club di tifosi di quel settore. Così, nonostante fosse molto pesante, riuscimmo a nasconderlo e portarcelo a casa. Non lo usammo come trofeo o come bottino di guerra ma lo sfruttammo per creare un nuovo striscione che poi è stato quello che abbiamo portato con noi per parecchio tempo negli anni ottanta. Era rosso con la scritta bianca “Sandokan”. Noi cancellammo quella scritta e, sfruttando il colore rosso di base, scrivemmo, con il blu, sul retro, ULTRAPAZ.

Ovviamente non posso non raccontarti dei derby, i veri derby, quelli contro il Bari, i ricordi sono tanti. Da un punto di vista calcistico ricordo perfettamente e con gioia immensa il derby del pallonetto di Iacovone: era il campionato 1977-78, ricordo come fosse adesso quel lancio, lo stop perfetto in piena area di rigore ed il pallonetto. Lo stadio, come sempre d’altro canto, era stracolmo, il boato fu davvero assordante, una gioia immensa. Tornando a parlare di ultras, il derby più duro che ricordi fu a Bari nel 1981. Io – dice Peppe – facevo il militare a Barletta e raggiunsi Bari da solo, arrivando alla stazione dopo il treno proveniente da Taranto. Arrivato alla stazione capii immediatamente che erano già successi degli scontri, i segni erano fin troppo evidenti. Raggiunsi in fretta e furia il “Delle Vittorie” e quando entrai nel settore vidi tantissimi tarantini. Tifammo, ci sfottemmo con i baresi per tutta la partita, poi le cose iniziarono a degenerare, i baresi arrivarono vicino a noi e lì successe il finimondo: feriti, arrestati da una parte e l’altra, gente che scappava e noi e loro che ci affrontavamo, polizia che non sapeva come uscire da quella situazione. Credo sia stato, e ne ho visti davvero parecchi, il derby in assoluto più tosto e pericoloso che ricordi.

Derby a Lecce ’86/87

A questo punto riprende la parola Franco che inizia ricordando un derby a Lecce: Non ricordo l’anno, probabilmente era il 1979, arrivammo fuori dallo stadio e qualcuno dei nostri ci fece notare che dentro il settore era scritto su un muro “10, 100, 1000 Iacovone”. Noi scavalcammo e con delle pietre iniziammo a cancellare quella scritta. Nel frattempo io e mio cugino “Strofino” – altro ultras tarantino – riuscimmo a prendere un bandierone del Lecce e gli demmo fuoco. Immediatamente scoppiarono degli scontri con i leccesi ed avemmo delle animatissime discussioni, tutt’altro che amichevoli; anche con diversi tarantini, perché proprio in quegli anni stava nascendo con i leccesi un gemellaggio, a cui noi però siamo sempre stati contrari. Le nostre idee erano quelle, non volevamo avere rapporti con nessuna tifoseria, a noi piaceva scontrarci con chiunque ci trovassimo di fronte la domenica; gli Ultrapaz erano orgogliosi di poter dire di non essere gemellati con nessuno. 

Interviene, nel racconto di questi lunghi quarant’anni di vita Giovanni Orlando, fratello minore di Peppe e Franco, colui che da trent’anni viene riconosciuto dagli esponenti del gruppo come la figura rappresentativa degli Ultrapaz. I suoi racconti sono riferiti a centinaia di trasferte: Racconto anche io qualche episodio che mi viene in mente tra le tante trasferte e viaggi fatti e mi riferisco soprattutto agli anni ‘80. Vedi quella foto lì – indicandomi la foto dei tarantini a Bari nella stagione 87-88 – quell’anno lì, a Bari facemmo un corteo per le vie della città ed andammo dalla stazione allo stadio quando ancora neanche sapevamo cosa volesse dire girare con la scorta. La gente ci vedeva passare incredula, noi camminavamo per le vie della città uniti e compatti sventolando bandiere e sciarpe fin sotto il nostro settore, esplodendo bombe e petardi lungo tutto il tragitto. Fummo davvero orgogliosi di aver fatto una cosa del genere senza paura e senza, tra l’altro, che nessuno si “fece vedere”. Altro bel ricordo fu la trasferta di Arezzo, dove a fine partita noi ed i ragazzi del Kollettivo Alkooliko, quando oramai eravamo pronti per uscire ed andare alla stazione per il ritorno, ci accorgemmo che era rimasto appeso nella loro curva un enorme striscione, era lunghissimo, però non ricordo quale fosse. Non ci pensammo due volte ed in sette entrammo sul terreno di gioco e lo andammo a prendere. Era davvero enorme, riuscimmo a portarlo fuori dallo stadio e cercammo di correre alla stazione. Per fare prima “prendemmo in prestito” – risata generale – un motorino ad un ragazzo. La voce si sparse e gli aretini ci vennero a cercare in giro per la città; quando arrivammo nascondemmo lo striscione pronti a riprenderlo prima che il treno partisse, ma loro erano davvero tanti, quattro di noi vennero arrestati e trattenuti dalla Polizia alla stazione, ovviamente ci furono diversi tafferugli. Il treno partì e noi, dopo esser riusciti a riprenderci i quattro, eravamo pronti a fermarci dopo poco e tornare a prenderci il “trofeo”. Ma purtroppo non riuscimmo, quindi fummo costretti a lasciarlo lì perché l’interesse principale era tornare tutti a casa e dopo un pomeriggio molto movimentato, per fortuna ci riuscimmo.

Lo striscione della “Vecchia Fossa” esposto contro il Lamezia nel 2005/06

Per raccontarti la trasferta di Bergamo della stagione 1987-88 ti devo prima raccontare che nella partita di andata 4 bergamaschi, di ritorno da una trasferta in Grecia di Coppa Uefa, vollero presenziare alla partita a Taranto. Ricordo – dice Peppe – che ci accorgemmo di loro 4 che si aggiravano nei pressi della Curva Nord. Ci avvicinammo e li invitammo ad allontanarsi, indicandogli ed accompagnandoli in un settore più tranquillo. Al ritorno ci presentammo a Bergamo in oltre 250, tutti “buoni”, la polizia ci fece arrivare a piedi dalla stazione e noi ci accorgemmo che comunque c’erano ultras bergamaschi che ci giravano intorno, ma andammo dritti per la nostra strada, pronti a tutto, Bergamo era ed è una gran piazza Ultras. Giunti allo stadio trovammo davanti a noi gli ultras della Nord bergamasca, tutti schierati, che ci aspettavano; noi ci iniziammo ad organizzare. Quattro di loro si staccarono dal gruppo e ci vennero incontro, ci ringraziarono per come avevamo trattato i loro ragazzi all’andata, ci dissero che non ci avrebbero attaccato, non per paura, anzi gli sarebbe piaciuto scontrarsi con noi, ma per il rispetto che avevano per noi (e noi per loro). Così si girarono, tornarono nel gruppo e ci salutammo tutti con cori e battiti di mani.

L’anno dopo – dice Giovanni – giocammo, in una bella giornata di sole, con lo stadio, come sempre strapieno, contro il Genoa. Vincemmo 1 a 0 e segnò Franco Lerda, ma quella domenica viene ricordata da noi perché tre dei nostri, quando videro esporre dai genoani lo storico striscione “Vecchia Fossa”, decisero di provare a prenderlo, e così facemmo. Scavalcammo in gradinata e piano piano ci avvicinammo sotto di loro, ci aggrappammo e lo prendemmo. Lo arrotolai e corsi verso la Curva Nord. Lo stadio esplose come se avessimo segnato, sia quando la gente si accorse di quanto stava accadendo che quando lo esponemmo per qualche minuto in Curva. La domenica dopo portammo quello striscione ad Empoli e lo appendemmo come se fosse uno nostro, ma nel viaggio di andata, alla stazione di Firenze, ci incontrammo con i Viola che andavano, se ricordo bene, a Bergamo. Ci fermammo a parlare e ci chiesero, se avevamo con noi quello storico pezzo di stoffa rubato la settimana prima. Ovviamente dicemmo di no, sarebbe successo un putiferio se lo avessimo tirato fuori e così, tra una parola e l’altra, ognuno prese la propria direzione.

 

Taranto-Rutigliano ’99/2000

In questo momento, gli Ultrapaz, sono un fiume in piena. In sede ognuno inizia a raccontare qualche esperienza di trasferta o episodio particolare, ma Franco e Peppe ci salutano, devono andare a lavoro. Ed allora, dopo aver ascoltato episodi degli spareggi di Napoli contro Lazio e Campobasso, altri derby a Bari e tanti, ma davvero tanti altri aneddoti, come le diffide a tutta la famiglia Orlando a seguito della partita Taranto-Lanciano del 2002 per incidenti all’interno della Curva Nord, si decide di spostare l’attenzione su periodi più recenti.

Prima di andare via, i fondatori ci tengono a rimarcare che se oggi, si è arrivati ad un traguardo così longevo del gruppo, gran parte del merito è del fratello Giovanni, il “Professore”, come già detto figura carismatica, che in tutti questi anni, tra mille vicissitudini, è riuscito a mantenere e far crescere gli ULTRAPAZ.

 

Nonostante siano passati 25 anni dall’ultimo campionato di serie B disputato dal Taranto, tranne qualche piccola parentesi, Taranto continua a portare allo Iacovone migliaia di persone. Come si riesce a mantenere fedele questo amore per la squadra e soprattutto la presenza di tanti bambini e ragazzi?

Taranto-Napoli, Coppa Italia ’86/87

Non tutti possono comprendere. Qui da noi, sai benissimo, andare “al campo” è sempre stata una “malattia”. Seguire il Taranto è una cosa dovuta, non si può spiegare. Nelle famiglie, la domenica, quando si riesce a pranzare, lo si fa presto e velocemente, perché poi bisogna andare allo Iacovone. È difficile da spiegare, è così; è un modo di fare che si tramanda nelle famiglie. Ora onestamente dopo tanti, troppi anni c’è gente che inizia a pensare sempre di più alle squadre più blasonate. Non che prima la gente non tifasse per le solite tre squadre di serie A, ma la domenica era dedicata esclusivamente al Taranto, poi si ascoltavano i risultati delle altre. – Intervengono nella discussione gli esponenti più giovani – Nonostante noi trentenni, per non parlare dei più giovani, non abbiamo mai visto la serie B, siamo stati capaci di portare avanti a Taranto il nostro ideale ultras, grazie a quello che ci è stato insegnato da chi ancora oggi porta avanti queste idee. Il nostro ideale è riuscito a crescere e consolidarsi nonostante abbiamo vissuto solo stagioni dilettantistiche ed in qualche rara eccezione qualche campionato di serie C. L’ultima generazione è cresciuta nel periodo calcistico peggiore del Taranto e, nonostante questo, ancora oggi abbiamo ragazzi che chiedono di entrare nel gruppo e cercano di apprendere cosa voglia dire appartenere agli Ultrapaz. Non è affatto facile con la TV che manda in onda partite di grandi campioni praticamente 7 giorni su 7, riuscire a far avvicinare ragazzi giovani per seguire il Taranto; eppure, forse si fa fatica a crederlo, i ragazzi ci sono e sono fieri ed orgogliosi di affiancarsi. Considera che oggi noi siamo un centinaio a Taranto ed abbiamo alcuni ragazzi che per studio o lavoro vivono fuori; abbiamo una storica sezione a Bologna che aggrega diversi ragazzi tarantini che studiano nella città emiliana e, nonostante le nostre trasferte, quelle che ci fanno fare, non siano proprio vicine all’Emilia Romagna, loro riescono comunque a seguire il Taranto anche nelle partite qui al sud.

Chi conosce questa zona di Taranto, sa benissimo che qui la gente vive ULTRAPAZ, si veste ULTRAPAZ, che qui essere ULTRAPAZ vuol dire amare e seguire il Taranto. Girando per il “quartiere” anche chi non frequenta lo stadio sa chi sono gli ULTRAPAZ. Come si è arrivati a questo?

A Piacenza 1987/88

Negli anni ’80, tutti qui al quartiere avevano un parente o un amico che seguiva gli Ultrapaz. Stampavamo tanto materiale e lo davamo a tutti. Hai ragione, era ed è vita quotidiana vedere in giro in queste strade gente con maglie o felpe del gruppo, per noi è normalissimo. Per questo motivo, vedendo in noi l’amore per la squadra del Taranto e soprattutto lo spirito di appartenenza al gruppo, i ragazzi, ancora oggi, si avvicinavano a noi. Da oltre un decennio gli appartenenti al gruppo non sono più esclusivamente del quartiere: oramai nelle nostre fila, e di questo siamo davvero contenti, ci sono ragazzi di ogni parte della città, ma qui c’è il cuore del gruppo, manteniamo la sede e ci incontriamo.

Quando mi sono avvicinato al gruppo – dice un giovanissimo – avevo timore, vedendo gente molto più grande di me che ho sempre visto allo stadio, ad esprimere quello che avevo in mente, ma qui ho trovato una vera famiglia. Noi ci vediamo praticamente tutti i giorni a prescindere dalle partite del Taranto e questo ti permette di sentirti davvero parte del gruppo ed essere pronto a tutto, in caso di bisogno, per stare affianco a quelli che io sento davvero come fratelli.

Catania, playoff 2001/02

Tutti iniziano a parlare raccontando aneddoti personali e ricordi, ma per non dimenticare qualcuno, preferisco non citare i presenti o chi prendeva la parola. Ma di Emanuele, della storica sezione di Bologna degli Ultrapaz, mi ha colpito l’atteggiamento di chi ha davvero una storia alle spalle. Personalmente lo ricordo con lunghi capelli neri e ricci e due enormi baffoni; oggi “qualche capello in meno” e baffi sempre presenti, con immenso orgoglio e con la commozione di chi esce da un periodo di salute non proprio felicissimo, dice: Vivo a Bologna da quando avevo 10 anni, oggi ne ho 58, ho sempre avuto il Taranto nel cuore, cresciuto con la passione per quei colori. Riuscii a portare un po’ di tarantinità nella città emiliana. Oggi nonostante le difficoltà di vivere così lontano, le vicissitudini societarie che ci costringono, purtroppo a fare viaggi sempre molto lunghi, continuiamo a mantenere la nostra sezione, composta da una trentina di persone e dagli universitari che vengono a Bologna a studiare. Sono davvero molto felice di essere riuscito a mantenere in tutti questi anni sempre viva ed attiva la sezione – applauso generale.

La politica e lo stadio, qual è il vostro pensiero sulla diffusione di ideologie politiche nel mondo delle curve?

Siamo stati sempre contrari alla politica allo stadio. Talvolta esprimiamo, con quello che secondo noi è l’unico vero modo di far conoscere le proprie idee, l’esposizione di striscioni, il nostro pensiero relativo a tematiche sociali, sia legate al nostro territorio, ma anche al di fuori. Abbiamo sempre cercato all’interno del gruppo di rispettare le idee di ognuno di noi, crediamo fermamente che il Taranto deve essere il vero collante. Secondo noi l’unica forma di politica da poter applicare allo stadio è quella di riuscire a portare avanti il nostro ideale, la nostra mentalità, il nostro modo di fare.

Amicizie gemellaggi, rapporti per i quali gli ultras del Taranto non sono mai stati particolarmente propensi. Nel corso della vita del gruppo, quali sono stati i rapporti con le altre tifoserie?

Saarbrucken, sola e recente amicizia degli Ultrapaz

Dopo tanti anni, dopo aver conosciuto realtà diverse dalla nostra, dopo essersi scontrati con tanti, tantissimi gruppi ed aver conosciuto ultras di tutt’Italia, anche durante qualche raduno od incontro a cui abbiamo partecipato, per forza di cose qualche amicizia personale è nata; ma di questo si tratta, solo di rapporti personali. Recentemente è nata e davvero per caso un’amicizia con i ragazzi del Saarbrücken, squadra della quarta divisione tedesca. Qualcuno di loro era a Taranto per fotografare e riportare in un libro le periferie della nostra città. Ci contattarono perché in qualche capitolo volevano parlare anche della realtà calcistica cittadina. Per loro infatti era inspiegabile che una piazza come Taranto, relegata in serie D, riuscisse a portare tanta gente allo stadio. Così ci incontrammo e nacque il nostro rapporto che manteniamo sempre vivo e di cui siamo molto contenti.

È fisiologico, in un periodo così lungo; sicuramente gli ULTRAPAZ, hanno vissuto dei periodi meno brillanti: quali sono stati?

Oggi siamo tanti ed anche quando le diffide, o qualsiasi altro problema, fermano qualche componente, il resto del gruppo riesce a far andare avanti le situazioni, ma non è stato sempre così. Ci sono stati periodi in cui, vuoi per mancanza di lavoro, vuoi perché alcuni membri di allora si fecero prendere dallo sconforto a seguito delle tante delusioni avute, onestamente, non eravamo in tanti come oggi ed abbiamo avuto un calo, anche vistoso. Mi riferisco in particolare alla metà degli anni ’90: lì c’eravamo, ma non avevamo l’impatto di oggi; ed è stato proprio quello il momento in cui ci siamo rimboccati le maniche e piano piano, facendo aderire nuove leve e coinvolgendo qualche “vecchio”, siamo tornati e non siamo più mancati.

Nell’era del digitale, di internet sempre e dovunque, dei social network, non esiste una pagina ufficiale di nessun gruppo della Nord tarantina, né tantomeno degli Ultrapaz, come mai?

Noi siamo fatti così, ci incontriamo tutti i giovedì in una riunione in cui parliamo di quello che vorremmo fare la domenica successiva, di quanto accaduto quella precedente; quello che decidiamo, lo teniamo per noi o viene divulgato, solo qualora si tratta davvero di informazioni che devono sapere un po’ tutti, come ad esempio l’organizzazione di qualche coreografia o di qualche trasferta particolare. Siamo fatti così, ci piace definirci ultras alla vecchia maniera ed effettivamente è proprio quello il nostro modo di fare.

Tessera del Tifoso…

Taranto-Catania 2016/17

Eravamo, siamo e saremo sempre contrari alla sottoscrizione della Tessera. Ci viene detto che manteniamo questa linea perché navighiamo sempre in Serie D, dove non è richiesta, ma questo non è affatto vero. Due anni fa, in serie C, abbiamo rifiutato di fare trasferte davvero molto importanti per noi, pur di non sottoscriverla. Quella stagione nel nostro girone erano presenti gruppi importanti e rivali storici, ma la coerenza è coerenza. Ci siamo sempre esposti con striscioni e manifestando la nostra contrarietà, partecipando anche alla manifestazione nazionale a Roma dove erano presenti quasi tutte le curve d’Italia. Oggi è fin troppo evidente che la sottoscrizione di questa modalità di fidelizzazione è davvero inutile. Vengono vietate senza discriminazione alcuna le partite che lo Stato reputa essere pericolose, a prescindere dalla tessera; il problema lo si elimina alla radice. Per rimarcare un solo esempio e rimanere a quanto accaduto a Taranto proprio due anni fa, venne vietata la trasferta dei catanesi, nonostante fossero tesserati; allora, ci chiediamo, qual è il motivo che ha spinto tante tifoserie a sottoscriverla? Perché continuare a sottomettersi a restrizioni che ogni singola Questura può inventare per ogni occasione? In Serie D, ci viene imposto, sempre più spesso, anche negli stadi dove non è previsto, perché omologati per un numero ridotto di spettatori, di fare il biglietto muniti di documenti e con restrizioni particolari a seconda di decisioni che cambiano da città a città. Anche in questo caso, non ci stiamo ed a malincuore decidiamo di disertare queste cosiddette “gare campione”. Abbiamo intrapreso questa linea di pensiero e la porteremo avanti, sarà quel che sarà.

Al termine della chiacchierata, restiamo in sede dove la serata termina arrostendo salsicce e “bombette” (involtini di carne ripieni, ndr), bevendo della birra ghiacciata, continuando a parlare di episodi ed esperienze ultras. E con il pensiero che va a due Ultrapaz scomparsi che hanno lasciato uno splendido ricordo in chiunque li abbia conosciuti: Bombolo ed Emanuele “u’ Torines”, a cui tutto il gruppo dedica un affettuosissimo pensiero.

Intervista raccolta da Fabio Mitidieri