Ci sono appuntamenti che, nel bene o nel male, sei destinato a non mancare neanche volendolo. Italia massacrata dal maltempo e da almeno 50 anni di speculazioni edilizie capaci di produrre solo danni ambientali. A pochi chilometri da casa mia, Como-Cremonese è stata una delle tante partite rinviate di questo fine settimana. Anche in Svizzera, a Bellinzona, il maltempo ha allagato il “Comunale”, ed il mio Bellinzona-Giubiasco è destinato a giocarsi in altra data. È, almeno oggi, una bella giornata. Di accrediti all’ultimo minuto, però, non se ne parla. “Chissà che fa oggi il Como Hockey…”; neanche a farlo apposta, il destino mi dà una mano e, tra poche ore, c’è un Como-Pergine da gustare completamente. Peccato che l’orario di inizio non mi consenta di rimanere tutta la partita, ma un’ora di presenza può già bastare. Così, 5 ore prima del match, so già la mia destinazione sicura.

L’anno scorso, sempre durante Como-Pergine, fu il tifo degli ospiti ad attirarmi verso il palaghiaccio di Casate, proprio mentre passavo lì per caso. Stavolta mi ha dato una mano una partita rinviata. Faccio un excursus mentale e penso, tra me e me, che i Perginesi rientrano nella top ten dei gruppi che più mi sono piaciuti la scorsa stagione. L’idea di andare a vedere la partita di hockey basta da sola a mettermi di buon umore.

Aria professionale, sorriso stampato alle due addette alla biglietteria (se così si può chiamare), una frase secca (“fotografo”) e sono già dentro senza problema alcuno. Ricordo ancora l’ultima burrascosa volta che venni qui a Casate contro Chiavenna. Oggi, per fortuna, è un’altra storia.

I ragazzi di Pergine arrivano qualche minuto prima del primo ingaggio. La loro entrata, come sempre, è di quelle epiche: tutti in processione ordinata, col primo della fila che tiene in mano un cero votivo. Le prime risate strappate. Sono contento che, ad un anno di distanza dalla mia scoperta di questo gruppo, allegria e goliardia siano ancora di casa. Il contingente ospite si compatta, mette gli striscioni ed un altro siparietto inizia, quello delle offese ai tre arbitri appena entrati sul ghiaccio. In un ambiente piccolo come questo ogni insulto si amplifica e nessuno vorrebbe essere nei panni dei poveri arbitri.

Inizia la partita, e si va di bene in meglio. La coreografia con un bandierone, bandiere, torce e fumogeni è di grande impatto, specie in un impianto poco illuminato come Casate. Uno spettacolo improponibile nel calcio, una situazione tranquillissima in un contesto hockeistico di medio livello. Più ci penso e più sono convinto che questi ragazzi hanno fatto bene a non seguire, magari, il calcio. Certo, la Serie B di hockey fa oggettivamente schifo, ha solo 12 squadre delle quali, ogni tanto, alcune neanche arrivano al campo di gioco; il campionato dura 4 mesi se sei sfigato e qualcosa in più se sei fortunato; di promozioni neanche a parlarne, vista la situazione dell’hockey su ghiaccio italiano. Però, ciò nonostante, è un’occasione per evadere un po’, viaggiare di tanto in tanto, sperimentare, divertirsi.

A bordo pista non si vede nulla. Nonostante l’impianto sia al coperto ma di fatto all’aperto, tra la condensa delle torce e quella del ghiaccio raschiato, faccio fatica a fare foto decenti. Ma gli ultras si sentono e cantano continuamente, compatti. I cori vengono tenuti a lungo. Ho la vagamente l’idea che le strofe del “Finché vedrai”, in alcuni passaggi ripresi dalla canzone strettamente originale, vengano cantate con una certa enfasi. “sai/quelli che non si voglion bene/ è perché non si ricordano/ di esser stati ragazzi giovani/e di aver avuto già/la nostra età”; quanta verità in questi versi, quanta verità se cantati dentro ad una curva. Le parole mi sono entrate in testa, e ora la canzone di Gianni Pettenati (l’unica, per dire un luogo comune ma non troppo) scorre mentre scrivo questo articolo.

I ragazzi arrivati dal Trentino non smettono mai di cantare, neanche per un attimo. La loro squadra passa sotto, ma pareggia dopo un minuto. In campo si lotta, non ci si risparmia, e il bello di questo sport è proprio questo. Una partita dell’hockey su ghiaccio non me la riesco assolutamente a figurare combinata.

Secondo periodo. Al copione di un tifo incessante si aggiunge uno striscione alzato dal gruppo, “Hanno ucciso Stefano Cucchi, chi sia Stato non si sa”, accompagnato da cori contro chi permette che in uno Stato apparentemente democratico ci siano ancora situazioni da califfato. Intanto un’altra torcia va. La pirotecnica accompagna costantemente le gesta degli ultras ospiti, e non sembra disturbare nessuno. Del resto, lo spettacolo sono loro.

È già l’ora di andare, se n’è andata metà della partita. Esco da un ingresso secondario e, risalendo verso la mia macchina, vedo un altro fumogeno acceso, mentre la voce dei Perginesi mi accompagna finché non chiudo la portiera della mia auto. Al prossimo appuntamento.

Stefano Severi.