Roberto Pruzzo e Giuliano Fiorini.  Non sono due nomi buttati là a caso. Mi si perdoni la voglia di ripercorrere a ritroso un qualcosa che, per mia sfortuna, non ho potuto vivere, per una mera faccenda anagrafica. Genoa-Roma è la partita dei nostri padri. Quella che ci hanno raccontato fino allo sfinimento. Quella del secondo scudetto romanista, della salvezza genoana, dell’invasione di campo con l’abbraccio commovente al Barone Liedholm, delle interviste di Galeazzi e di quello stadio Marassi colmo ben oltre i propri limiti di capienza.

Per quante cose possano cambiare, per me Genoa-Roma rimarrà innanzitutto questo. Quelle immagini che da bambino ho visto e rivisto mille volte, sognando di riviverle, perché i racconti dei più grandi spesso finiscono col tormentarti e nei panni dell’infante non immagini che quasi mai riusciranno a essere realtà. E che la realtà è comunque differente da come l’hai immaginata.

Il colpo di testa del Bomber, che si insacca e fa esplodere non solo la curva ospiti e i tanti tifosi romani appaiati in ogni zona dello stadio, ma una buona fetta della città. Il pareggio di Giuliano Fiorini, quello della permanenza in A. Quel Fiorini che a Roma, sull’altra sponda del Tevere, ha scritto una delle pagine più commoventi della storia calcistica capitolina, andandosene prematuramente qualche anno fa. Mai dimenticato dall’intera Urbe, a prescindere dai colori. Perché la gloria non ha colore né rivalità, la gloria di chi sa scrivere una favola col pallone al piede deve sempre pervadere la mente e l’anima del tifoso. È la base di una buona convivenza con se stessi. Almeno credo.

Genoa-Roma è sfida che tante generazioni non hanno potuto vivere. Per la differenza di categoria prima, per i divieti poi. È contesa dal sapore antico, in un calcio che di retrò e sentimentale ha ormai ben poco. È comunque un match al quale non mancare, fosse solo il fatto di essere una novità per quasi tutti i presenti. Certo, di acqua ne è passata sotto i ponti. I rapporti tra le due tifoserie, un tempo cordiali, si sono repentinamente trasformati in burrascosi, sfociando in una rivalità che, manco a dirlo, ha come leitmotiv lo storico gemellaggio tra liguri e napoletani.

Il fato ha provato a mettersi contro di me. Bloccandomi sull’A1 per un’ora abbondante e facendomi arrivare in zona stadio solo mezz’ora prima del fischio d’inizio, ma ha dovuto arrendersi, alzando le mani di fronte alla mia ostinazione nell’assistere a un contrasto sportivo e cromatico che attendevo da almeno vent’anni.

Genova è blindata, ci sono camionette della polizia ovunque e l’allerta sembra essere massima per l’arrivo dei supporter giallorossi. Dalla stazione Brignole risalgo velocemente il Bisagno, appropinquandomi verso le torrette del Ferraris, che si intravedono già a debita distanza. Nonostante la partita, almeno per il Genoa già salvo, abbia un valore sportivo pressochè nullo, il popolo rossoblu non vuol far mancare il suo apporto, rimarcando quel tipico attaccamento di una città rimasta, sotto questo punto di vista, ad almeno un decennio fa. Con la passione popolare intatta e il desiderio di assistere dal vivo allo spettacolo ben saldo nelle anime del pubblico genoano come doriano. I muri sporchi, gli adesivi ovunque, le bandiere esposte alle finestre fanno il resto.

Entro senza problemi. Senza controlli asfissianti. Da queste parti ancora è vivibile la situazione, me lo conferma il viavai libero dei tifosi all’interno dei settori. Liberi di occupare il posto che vogliono, di seguire le partita in piedi in Gradinata come in tribuna, di sedersi comodamente sulle scale di passaggio. Senza che nessuno muoia, pensate un po’. Perché tendenzialmente quando al tifoso viene concesso di passare un paio d’ore senza troppe limitazioni, lo stesso è più felice e meno propendente a quegli aspetti che i soloni televisivi o giornalistici rimarcano ogni santa domenica per riempire i loro insulsi contenitori.

Ma passiamo a ciò che più ci interessa. La Gradinata Nord è piena e lo stadio in generale offre un buon colpo d’occhio. Qualche minuto prima del fischio d’inizio partono le note di You’ll never walk alone, seguito subito dopo dallo storico inno del club rossoblu, cantato spontaneamente dalle curve e seguito anche dalle tribune. Nel settore ospiti, per ora, si intravedono soltanto insegne dei club. L’ingresso del tifo organizzato capitolino, infatti, avverrà attorno al 15′, con la sfida sugli spalti che, per ovvie ragioni, decolla. I primi  minuti sono quasi esclusivamente dedicati alle schermaglie dialettiche fra le opposte fazioni, che poi ritornano a sostenere i propri sodalizi.

La partita è piacevole, e dopo pochi minuti le squadre sono già sull’1-1. Ciò aiuta a scaldare l’animo dei presenti, accendendo il tifo da ambo le parti. Una premessa doverosa, che è poi anche un giudizio complessivo sul tifo: penso che per numeri e qualità, la sfida di oggi sia stata sopra la media per la Serie A contemporanea, ma sicuramente, conoscendone le potenzialità, da una parte e dall’altra, si sarebbe potuto dare qualcosa in più. D’altronde capisco anche che oggigiorno far cantare una Gradinata così grande e variegata come la Nord, senza determinati strumenti di tifo, sia a dir poco un’impresa ardua. Così come comprendo che dall’altra parte il forzato arrivo in ritardo ha un po’ scombussolato la prima frazione romanista sotto l’aspetto del tifo, tanto è vero che nella ripresa i tifosi capitolini sono sembrati molto più compatti e continui.

Su fronte casalingo, sempre bellissimo lo sventolio degli impeccabili bandieroni, come l’esultanza al gol del provvisorio 2-1, firmato da Pavoletti. Momento in cui l’intera gradinata è sembrata crollare e abbracciare l’autore del gol. La fortuna di avere uno stadio come Marassi è proprio questa, per un istante ho immaginato i settori popolari senza reti, con i tifosi in grado di toccare e stritolare di gioia i propri beniamini. Ma in un Paese dove si appongono barriere dentro i settori anziché abbatterle, al momento sembra più un’utopia che un progetto papabile.

Il vantaggio genoano scuote la Roma, che pochi minuti dopo riequilibra la situazione con l’intramontabile Francesco Totti. La sua magistrale punizione, una staffilata di esterno collo destro che trafigge Lamanna, fa esplodere il settore ospiti. Un’esultanza che si ultimerà qualche minuto dopo, con il gol delll’ex El Shaarawy in grado di regalare alla Roma un prezioso successo esterno. I festeggiamenti ai gol e gli ultimi minuti al cardiopalma, scaldano ovviamente un ambiente già carico di suo. Finisce così con le ultime invettive tra le tifoserie, impegnate anche a salutare le squadre che, da buon costume della massima categoria, non si avvicinano più di tanto ai propri tifosi.

Lentamente Marassi sfolla. I tifosi ospiti attenderanno ancora un’oretta prima di abbandonare lo stadio. Una timida luce diurna fa ancora capolino nel cielo, nonostante siano quasi le nove quando mi muovo verso la stazione. È il cielo di maggio, quello che mi ricorda di una stagione quasi al capolinea e mi rinfranca per aver esaudito almeno in parte un desiderio nascosto sin da bambini. No, non può esser stato come lo immaginavo e come me lo hanno raccontato perché tutto quello non c’è più. Perché mentalmente si elabora sempre per eccesso e non per difetto. Ma è stata comunque una giornata, nel suo piccolo, storica. Lo penso mentre il mio pullman parte alla volta di Roma, lambendo i  magnifici paesaggi della Liguria marittima, persi in un buio che per qualche ora riconcilia col mondo.

Simone Meloni