A volte mi stupisco di quanto ancora io riesca a stupirmi.

E perdonatemi il gioco di parole.

Frequento gli stadi da ormai trent’anni ed avendo attraversato la storia del movimento ultras italiano dalla metà degli anni ’80 ad oggi, ho sempre pensato di averne viste delle belle. Non sempre, ma spesso.

In questi trent’anni ho avuto l’opportunità di frequentare molte curve, tanto di stadi quanto di palasport, e ho assistito a dei momenti di tifo che, forse, potrebbero anche non ripetersi in futuro (ma su questo, spero proprio di sbagliarmi).

Momenti spettacolari che, secondo me, chi oggi all’estero cerca di imitare, soprattutto in Europa, difficilmente riuscirà a replicare con la stessa intensità, spontaneità e passione che c’era in Italia negli anni ’80 e ’90, seppur andandoci molto vicino.

Sono stato in stadi in cui ero assieme ad altre 75.000 persone; ho visto la curva sud della Roma far rimbombare l’Olimpico con i suoi cori assordanti; ho visto la Fossa dei Leoni e le Brigate Rossonere del Milan fare una sciarpata che andava dal primo al terzo anello di San Siro; ho visto la Fossa dei Grifoni del Genoa sventolare centinaia di bandiere e far cantare a squarciagola tutta la gradinata nord del Ferraris, mentre la loro squadra stava perdendo in casa col Bari già retrocesso, soltanto tre giorni dopo essere stati eliminati dall’Ajax in semifinale di Coppa Uefa; ed ho visto gli Ultras Vigevano del basket, che in una partita di serie B1 cantavano talmente forte che non riuscivo nemmeno a sentire cosa mi diceva chi era di fianco a me; e ancora tanti altri momenti di tifo spettacolare…

Ed ancora ho visto decine di coreografie bellissime, sciarpate mozzafiato, torciate e fumogenate da togliere il respiro, migliaia di voci cantare e mani agitarsi come se fossero un tutt’uno.

Ho visto trasferte incredibili, esodi di migliaia di persone, pronti ad affrontare viaggi lunghissimi con ogni mezzo, pur di sostenere la propria squadra per conquistare una promozione o una salvezza; ed ho visto presenze sparute ma altrettanto incredibili di tifoserie che, con mezzi di fortuna, si presentavano in poche unità a mille chilometri di distanza da casa, pur di poter cantare a squarciagola l’amore per la propria squadra del cuore che, magari, era già retrocessa da settimane.

Sì, lo so, sono stato fortunato ad aver avuto la possibilità di attraversare questi trent’anni di tifo in Italia ed ho provato stupore talmente tante volte che difficilmente, oggigiorno, penserei di riuscire a farlo ancora, soprattutto con tutte le restrizioni con cui si è tentato e si tenta ancora di mettere in ginocchio, o sarebbe meglio dire “a sedere”, il movimento ultras italiano.

Ed è per via di tutto questo che oggi, a Fasano, mi stupisco di quanto ancora riesca a stupirmi.

Di come sia possibile che, al seguito di una squadra che attualmente milita in Promozione, dopo essere passata per l’ennesimo fallimento e per l’inferno dei campionati di 2^ e di 1^ Categoria Pugliese, ci possa essere una curva di ultras con addirittura ben due gruppi all’attivo, pronti a sostenere ancora i propri colori ed il nome della propria città.

Eppure a Fasano hanno visto tempi migliori, non certo grandi cose, questo è vero, ma una serie C2 ad alti livelli con l’ebrezza del possibile salto di categoria, questo sì che l’hanno provato.

C’erano gli ultras fasanesi, gli Allentati per la precisione, all’epoca assiepati in gradinata, presenti in casa come in trasferta, che si andasse a Riccione o a Trapani.

Solo che da allora ne è passata di acqua sotto ai ponti e così, nel giro di qualche anno, si è passati dal sogno della promozione in serie C1, all’incubo della caduta libera fino a sprofondare nel campionato di Eccellenza.

A quel punto in tanti pensavano di aver toccato il fondo e che peggio di così… ma al peggio, si sa, non c’è mai fine.

Allora ecco che dopo il tentativo di ripianare i debiti e mantenere almeno la permanenza in Eccellenza, categoria da cui a Fasano speravano di poter ripartire per tentare quella scalata che li avrebbe riportati quantomeno in serie D, ecco, dicevamo, un nuovo fallimento e la ripartenza addirittura dai campetti in terra battuta della 2^ Categoria.

Una mazzata dietro l’altra per una tifoseria già provata da anni di sofferenze e da una diaspora interna che aveva portato alcuni dei suoi personaggi più carismatici ad allontanarsi dalla vita di curva; mentre altri, giovani e promettenti in chiave di ricambio generazionale, prendevano le distanze dal gruppo guida degli Allentati per poi dar vita ad una nuova realtà ultras cittadina, la Fasano Ultras, unica scelta possibile per non morire come gruppo, per non finire a trascorrere le proprie domeniche incollati alla pay-tv oppure a ciondolare chissà dove. Tutto questo grazie alla caparbietà ed alla determinazione di un gruppo di ragazzi e ragazze molto giovani, decisi a mantenere viva la memoria di un caro amico che se n’è andato troppo presto, assieme al quale condividevano la stessa passione per la curva e per il Fasano calcio.

Se di un nuovo inizio si doveva trattare, se un nuovo corso nella storia del movimento ultras a Fasano doveva essere scritto, beh, allora non poteva esserci modo migliore che quello di ripartire dal fondo, quasi dall’ultimo gradino del calcio agonistico.

E questo ennesimo bagno di umiltà, questo nuovo banco di prova con il quale il “dio del pallone” ha voluto mettere alla prova la fede e la determinazione di una tifoseria già duramente segnata dalle vicissitudini degli ultimi anni, non poteva che avvenire con un evento epocale.

In un perodo storico in cui l’intero movimento ultras italiano è caratterizzato da continue scissioni in seno alle curve storiche, nonché da scioglimenti e frammentazioni all’interno dei gruppi che hanno fatto la storia del tifo nel nostro Paese, a Fasano si è scelto di andare controcorrente rispetto a tutto quel che avviene nel resto d’Italia.

Siamo strani ma ci piace…” recitava un vecchio adesivo degli Allentati negli anni ’90, l’epoca d’oro del tifo biancazzurro, e bisogna forse ringraziare quell’essere strani, unici ed originali che da sempre li caratterizza, se è avvenuto ciò che pareva addirittura impensabile per chi vive ai piedi della Selva e conosce le vicende del movimento ultras fasanese. Il ritorno in Curva Sud, fianco a fianco, delle due principali anime del tifo organizzato biancazzurro, Allentati e Fasano Ultras. Di nuovo uniti, in casa come in trasferta. Di nuovo fratelli, in nome dei propri colori e dell’amore per la propria terra.

Con una simile premessa alle spalle, ripartire dall’inferno delle categorie dilettantistiche, non fa più così tanta paura.

Tutto questo e tanto altro ancora mi passa per la testa quest’oggi. Quando finalmente ritorno a trovare i miei giovani amici, avendo anche l’opportunità di conoscerne dei nuovi. Tante emozioni mi attraversano quando assieme ai ragazzi della Fasano Ultras ci muoviamo per andare allo stadio, in Curva Sud, non prima di essere passati a prendere i ragazzi degli Allentati, in una sorta di rituale simbolico che è ormai tradizione consolidata. E vedere di questi tempi un corteo improvvisato fatto di sciarpe, bandiere e stendardi biancazzurri, che si reca allo stadio per sostenere la squadra della propria città in una partita del campionato di Promozione, mentre alla stessa ora si potrebbero ammirare le grandi squadre del calcio italiano comodamente spaparanzati davanti alla tv, fa capire quanto sia forte e radicato qui a Fasano l’attaccamento ai propri colori.

La Curva Sud non è piena, quello no, ci mancherebbe, siamo pur sempre a vedere una partita del campionato di Promozione Pugliese Girone B, ma quelli che ci sono, le decine di ragazzi e ragazze che hanno deciso di accendere la loro passione e di viverla in diretta e non davanti ad uno schermo televisivo, quelli tifano, cantano, battono le mani e si dannano l’anima per sostenere la loro compagine, rendendo più viva e spettacolare una partita che di certo spettacolare non è.

Un coro dietro l’altro, sempre con le braccia alzate e con i bandieroni che sventolano senza sosta, sostenuti da litri di birra e da “cicchetti” di Caffè Sport Borghetti anche se, fortunatamente, qui in Puglia non è mai troppo freddo neanche in Febbraio.

A rendere l’atmosfera ancor più elettrizzante, ci si mette anche un manipolo di ultras ospiti, non più di una decina di supporters del Galatone, giallorossi come il Lecce (squadra all’indirizzo della quale sento volare, ogni tanto, anche qualche insulto), che di certo non avranno voluto perdere l’occasione per recarsi in trasferta al cospetto di una vera tifoseria ultras. Rispetto anche per loro, che cantano e battono le mani, col sottofondo costante di un tamburo, decisi a non sfigurare di fronte ai ben più blasonati padroni di casa.

La gara è brutta, con giusto un paio di occasioni degne di nota ed un rigore grande quanto un palazzo a favore del Fasano, che però l’arbitro non fischia sotto la curva di casa, aizzando gli animi dei tifosi biancazzurri.

A fine partita, altre emozioni, che si accavallano e si sommano a quelle vissute fino ad ora.

Mentre le squadre si salutano a centrocampo ed i giocatori di casa si recano sotto la Curva Sud, gli ultras degli Allentati e della Fasano Ultras si compattano ancor di più e, con la squadra radunata sotto la curva, rendono omaggio agli amici scomparsi, ai diffidati, ai ragazzi in campo che hanno sudato la maglia della loro città. La squadra ascolta in silenzio, unita e compatta, ringrazia, saluta e finalmente se ne va sotto la doccia.

È ora di lasciare le gradinate, ma i riti domenicali non sono ancora terminati, perché il corteo spontaneo a cui gli ultras fasanesi avevano dato vita nel prepartita, si sposta nuovamente dallo stadio alla sede degli Allentati, per le ultime birre e qualche altro Borghetti, e soprattutto per i consueti commenti del dopo partita sull’andamento della gara in campo (che forse solo in pochi potranno dire di aver visto) e sui risultati e la classifica delle altre contendenti nello stesso girone.

Voci, suoni e odori che sanno di buono e di antico, di quel caro vecchio calcio di un tempo, sensazioni e stati d’animo che non potranno mai essere comprese da tutti quelli che passano le loro domeniche pomeriggio incollati alla pay-tv, a farsi ipnotizzare dalle giocate spettacolari di pseudo-campioni milionari tutti uguali, a mille chilometri di distanza.

È proprio vero quando si dice, “in poltrona stacci tu!”.

Testo di Giangiuseppe Gassi.
Foto e video di Uccio “Fasanboy” Laguardia e Giangiuseppe Gassi.