Forse in pochi ci credono, ma chi è all’interno del sistema certo non si meraviglia. Esistono persone che partono da fuori i confini nazionali solo per il gusto di essere presenti in una grande sfida del campionato italiano ed in special modo nei derby. Vivere da spettatori una stracittadina, sia quella di Roma, Genova, Torino o Milano, solo per citare le sfide che vanno per la maggiore, è sinonimo di vivere una giornata di passione assoluta, sia con il prepartita così carico di aspettative, sia con la partita così densa di emozioni e per finire con il post partita dove gioia, delusione e rabbia si fondono immancabilmente. Ed in passato, sono molte le tifoserie straniere che si sono presentate sui gradoni dei nostri stadi per prendere spunti, per assistere alle nostre coreografie, semplicemente per vedere come si vive da ultras in Italia. Le prove di queste visite sono molteplici, dai gemellaggi che ormai non fanno più notizia, ai nomi di tanti gruppi extraitaliani che ricalcano i nostrani, da un certo modo di tifare fino ad arrivare a scimmiottare perfino l’organizzazione del modello italiano. Se gli inglesi sono stati i maestri del calcio, sicuramente il modello ultras italiano è quello che ha trovato validi adepti in gran parte d’Europa, soprattutto in quella latina.
Detto questo, il derby è sempre un derby ed essere spettatore pagante in una stracittadina vuol dire assistere a qualcosa di unico. Le presenze stanno lì a dimostrarlo, i grandi incassi si fanno nelle stracittadine, la superiorità in quel terreno di gioco oppure quella sugli spalti, ti danno la possibilità di sbeffeggiare il collega di lavoro, il compagno di scuola, l’amico d’infanzia, o un parente magari non troppo simpatico. Il derby non è una partita come le altre, e se la vittoria sul campo vale sempre tre punti come negli altri incontri, sugli spalti c’è un’aria tutta particolare. Chi non se ne accorge può tranquillamente andarsi a vedere il tennis o il golf, per il calcio è meglio che sorvoli.
Gli ultras italiani esportano il proprio modello di tifo, eppure c’è a chi questo proprio non va giù, forse perché ad esportare qualcosa è parecchio in difficoltà, ed allora come la volpe che non arriva all’uva, non fa altro che criticare, denigrare, affossare quel che invece c’è di bello. Ed è facile così assistere a derby che non sono neanche lontani parenti di quelli passati, derby che sugli spalti hanno visto scenografie da brividi, riprese da televisioni ed usate per campagne pubblicitarie oppure per la campagna abbonamenti. Niente striscioni, coreografie da autorizzare, tamburi che sono diventati come un fucile a canna mozza, addirittura le parole sono passate al setaccio. Impossibile andare avanti, anche perché la gogna della diffida è sempre a portata di mano anche per casi del tutto futili: non rispetti il tuo posto? La bandiera non ha i colori sociali? Il labiale mi dice che hai inveito in maniera impropria? Hai vinto una diffida, per ritirare la vincita aspetta qualche giorno, per dichiararti innocente qualche anno.
Questa sera a Pisa si gioca il derby del Foro che non posso certo paragonare a quelli delle grandi metropoli italiane, ma se tutti i derby sono diversi è anche vero che essi hanno le solite caratteristiche: tanta rivalità, tanta voglia di aver la meglio sull’avversario, tanta passione, tanta attesa e la speranza di poter ben figurare sugli spalti. E come ogni derby che si rispetti, anche quello tra Pisa e Lucchese risponde a questi criteri. Le due tifoserie sono divise da un’aspra rivalità che negli ultimi anni si è pure acuita, e la voglia di prevalere sull’avversario è tanta, visto che durante la settimana la colonnina del termometro ha fatto segnare temperature elevate. Entrambe le tifoserie si sono date da fare, ognuna a studiare qualcosa di particolare, anche se gli ospiti, fin da subito, si sono dichiarati contrari alla Tessera del Tifoso, quindi per loro l’ingresso all’Arena Garibaldi è super-vietato. Aspetto non da poco: un derby del genere risulta mozzo, avvilente, l’avversario è una componente che in un derby non può mancare perché altrimenti ne svaluta il significato, perde di valore un coro contro o un gol segnato, non puoi sbeffeggiare, offendere, deridere, perché davanti non hai nessuno. Ed anche l’eventuale vittoria è vissuta in maniera più blanda e pacata. Niente avversario, niente pathos. Questa sera i lucchesi presenti non arrivano neanche a cento persone. Nessun ultras, tutti spettatori paganti che si limitano a seguire l’incontro e ad applaudire questa o quella giocata, niente colore, niente passione. Niente a che vedere col passato.
La curva di casa è inevitabilmente l’unica protagonista della serata e, malgrado tutto, fa quanto di meglio per onorare la partita. A livello coreografico, finalmente si rivede il bandierone copri curva che, una volta che si alza, lascia spazio ad una seconda mini coreografia che ricorda il presidentissimo, quel Romeo Anconetani al quale è dedicata l’Arena Garibaldi e che è stato il presidente del Pisa negli anni della Serie A. Personaggio vulcanico, paurosamente superstizioso e dotato di un ottimo intuito per i giocatori; un padre padrone amante del vecchio calcio, un personaggio alla Rozzi per intendersi, di quelli vecchio stampo che infatti è stato benvoluto dalla città della Torre, la quale in ogni occasione non manca di ricordarlo.
Il tifo poggia sulle spalle della Curva Nord, che si mostra esaurita in ogni ordine di posto. Ottime presenze ed ottimo tifo, gli ultras chiedono subito a gran voce un gol ed il coro viene mantenuto per una decina di minuti. Poi cambia il motivo ma il tenore è sempre quello: la curva chiede la vittoria. In occasioni come questa non può mancare il colore: tante bandiere distribuite in tutta la curva ed anche parecchie torce accese nella maniera più clandestina possibile. Sai mai che si vinca una diffida proprio nel derby! Con l’assenza forzata degli avversari, il tifo della Curva Nord non conosce ostacoli, i cori sono sempre molto incisivi e partecipativi, il pubblico presente è carico a dovere e non fa mai mancare il proprio apporto. Gli ospiti vengono menzionati poco prima della partita e poi in un’altra occasione, dove tutta la curva non manca di partecipare; a seguire viene intonato un coro di ricordo verso Maurizio Alberti, particolare da non sottovalutare in quanto la già accesa rivalità tra le due tifoserie ha toccato l’apice quando la tifoseria rossonera confezionò, in un derby di qualche stagione fa, uno striscione che aveva come soggetto proprio l’ultras pisano deceduto a La Spezia in circostanze particolari.
In fatto di striscioni, c’è da menzionare quello esposto ad inizio secondo tempo in Curva Nord, che prende posizione sulla vicenda Cucchi. Definire vergognosa la sentenza è cosa ormai ovvia. Pensare che la giustizia esce da questo processo con le ossa rotte è altrettanto scontato. Alla famiglia va l’appoggio di tante persone; sicuramente c’è chi stasera si è schierato con parole chiare e con cori che non hanno lasciato spazio all’immaginazione.
Anche nel secondo tempo la musica sugli spalti non è cambiata: la Curva Nord ha fatto fino in fondo il proprio dovere, ma anche la Lucchese ha dimostrato grinta e solidità, visto che, nonostante la differenza di punti in classifica, ha imposto al più quotato Pisa un pareggio che in pochi alla vigilia avrebbero pronosticato.
La partita termina con l’esultanza della squadra rossonera sotto il settore ospite, ma anche la squadra di casa si prende gli applausi della curva, mentre dai restanti settori si alza qualche fischio. Il derby è anche questo: il risultato imprevisto, la gioia e la delusione. Ma senza avversario non è un derby. Il calcio muore, viene svuotato della passione, così vogliono i potenti di turno. I risultati stanno a dimostrare il loro fallimento ma, evidentemente, il dio denaro continua a far gola. Fino a quando il giochino andrà avanti?
Valerio Poli