Venerdì 27 giugno, su La7, è andato in onda uno speciale di “Servizio Pubblico” a seguito della morte di Ciro Esposito a cura di Sandro Ruotolo. La prima parte dello stesso, intitolato “La morte del calcio”, è prettamente incentrato sulla morte del tifoso napoletano. Per chi volesse vederlo, è possibile visionarlo a questo link: http://www.serviziopubblico.it/2014/06/servizio-pubblico-piu1-e-morto-il-calcio/?cat_id=599.

Al di là di questo primo contributo (che sinceramente ci ha lasciato qualche dubbio, come in realtà ce ne ha lasciato il successivo), ci ha particolarmente colpito da un punto di vista “giornalistico” la seconda parte della puntata, un racconto che partendo dalla famosa e tanto discussa maglia “Speziale libero”, salita alla ribalta proprio durante le fasi di quella che impropriamente era stata definita trattativa Stato-Ultras, risale fino a Catania e prova a dipanare la matassa della stessa morte di Raciti. Prova quantomeno a chiedersi: ma se una, dieci, cento, mille persone chiedono libertà o giustizia per qualcuno, quale ragionevole dubbio può portarli a fare questa considerazione?

A parte lo speciale di Lo Bianco e Messina su “L’Espresso” ed il libro di Simone Nastasi, pochi hanno avuto il coraggio di rimestare nelle pieghe di una faccenda così intricata e questa può considerarsi una piccola pietra da apporre nella costruzione della verità. Se e mai ci si arriverà ad una verità definitiva ed incontrovertibile.

Certo, come dicevamo, ci ha lasciato perplessi la sentenza dello stesso Ruotolo, che ha battezzato come definitiva la vicenda giudiziaria solo perché passata attraverso i tre gradi di giudizio: quante storie di giustizia ingiusta ha raccontato l’Italia, in barba ai gradi di giudizio? I giudici sono macchine o uomini passibili di errori di valutazione? Contestarne le decisioni, poi, se lo possono permettere solo i parlamentari del centrodestra, che hanno simbolicamente occupato il Palazzo di Giustizia di Milano in solidarietà con Silvio Berlusconi, ma non gli ultras?

Non c’è piaciuta nemmeno la scelta di certe fonti, una successione del montaggio che in certi casi aveva un retrogusto malizioso piuttosto che la scelta narrativa in toto che, forse anche per una estraneità al mondo narrato, finiva per “caricaturarne” determinati aspetti e storpiarne altri dal loro senso primario, ma in ogni caso restano opinioni personali e non è possibile attendersi la perfezione al primo colpo e da dei media comunque “mainstream” che, afferendo ad un dato Sistema, non può sparargli contro all’impazzata.

Alla fine giusto così. Alla fine bene così. Il dato di fatto importante, la notizia in sé è che, una volta tanto, si è tornati a puntare i riflettori sul caso Raciti-Speziale quantomeno cercando di farlo in una maniera più equilibrata e analitica di quanti, invece, hanno creduto che il loro mestiere di giornalisti fosse solo quello di calarsi ed accogliere tra le braghe come supposta verità, quella elargita attraverso le fonti della questura, parte anche loro in causa e quindi chiaramente poco equidistante per evidente conflitto d’interesse.

Matteo Falcone.