Il titolo, dal chiaro intento provocatorio, è ispirato da un fatto successomi realmente al termine della partita; nulla di grave, anzi una situazione in cui probabilmente mi trovo dalla parte del torto, ma che mi ha fatto riflettere una volta di più sulla distanza che questo calcio sta prendendo da quello di cui mi sono innamorato e di cui gli ultras sono probabilmente l’ultimo baluardo.

Ma prima di perdermi nei miei deliri filosofeggianti, veniamo alla parte “croccante” della giornata, il confronto tra i primi in classifica di casa e la società umbra del fu Bandecchi, passata di mano in settimana a un gruppo imprenditoriale che ha messo come presidente la figlia 23enne del proprietario. Presto per dire se la padella sia diventata brace ma la presenza nel board del discutibile ex presidente della quasi fallita Sampdoria qualche timore lo desta, mentre nella migliore delle ipotesi potrebbe rivelarsi un giochino per la rampolla annoiata.

Continua nel frattempo il grande entusiasmo in casa ravennate: il primo posto agguantato la settimana precedente è stato confermato in settimana con la vittoria a Carpi e non fa più notizia il tutto esaurito al Benelli. I rossoverdi al seguito della squadra ospite sono invece circa trecento, la maggior parte compatti al centro del settore con un po’ di code sparse al di fuori del nucleo composto dagli ultras. Per loro pochi colori e poche bandiere, tre pezze in cui si riprendono il rosso e il verde su una base grigia; da un punto di vista cromatico molto più scenografici i fan club con alcuni striscioni di un rosso verde acceso. Degno di nota il fatto che inizino a cantare ancor prima del fischio di inizio, cercando di sovrastare lo speaker e la musica che in questo stadio la fanno da padroni nei pre-partita.

Il primo tempo è noioso in campo, mentre sugli spalti entrambe le tifoserie esprimono un tifo di livello. Sempre più ampia la partecipazione in Curva Mero dove la scaletta è quella di sempre: il coro di benvenuto tenuto alto per i primi cinque minuti, un ripetuto con le sillabe del nome della squadra, in generale tutti cori a sostegno dei giallorossi, con numerose ripetizioni che non scendono mai di intensità.

La voce degli ospiti si sente fin quasi la trequarti opposta, coadiuvati dai tamburi e da un uso improprio quanto sapiente della struttura in ferro nella quale sono disposti. Fanno veramente un bel “casino”, nonostante dei trecento tifosi solo i due terzi siano impegnati a cantare. Ricorrono continuamente ai battimani e basano il loro tifo prevalentemente sul sostegno alla squadra.

La ripresa del gioco dopo la pausa, coincide con un altro classico momento della Mero, questa volta arricchito di un tributo in più. Infatti, a quello in memoria di un ultras scomparso e al coro per i diffidati, si aggiunge il ricordo di Federico Aldrovandi nel ventennale del suo assassinio.

Poi i padroni di casa salgono di tono, cercando di spingere i propri ragazzi che in campo schiacciano la Ternana e cercano il gol del vantaggio. Si percepisce anche nei cori dei tifosi un po’ di tensione per la partita che non si sblocca. Viene messa in campo una variante del coro “La Gente come Noi non molla Mai!” che personalmente non avevo mai sentito qui a Ravenna, ed effettivamente, al di là del ritornello, il resto del coro non riesce un granché bene. Tempo e ripetizioni lo renderanno sicuramente più popolare e partecipato in futuro.

Il tifo sugli spalti e i giocatori in campo spingono ancora fino a trovare finalmente il vantaggio al settantesimo e anche la verve degli ultras giallorossi ne beneficia. Ultima parte di gara in cui riconosco lo spirito della Curva Mero. Per chi non ha avuto il piacere di ascoltarli, la cosa che impressiona è che, a differenza di altre tifoserie, loro ricorrono in maniera marginale a cori classici e che creano naturale partecipazione, prediligendo canti più articolati che richiedono grande coordinazione.

Avendo visto la maggior parte del secondo tempo dalla parte dei tifosi di casa, non sono riuscito a sentire cantare gli umbri ma la scelta di riavvicinarmi verso l’ottantesimo non poteva essere più azzeccata, dato che mi ha dato la possibilità di ascoltarli mentre cantavano “Ho preso una diffida” seguita da un coro per i diffidati. Per tutto il secondo tempo ho comunque potuto apprezzare visivamente i battimani e pertanto posso dire che il tifo è rimasto continuo.

E arriviamo al motivo del contendere, proprio la scelta di riavvicinarmi agli ospiti guadagnando il centro del campo dall’ampio spazio laterale dietro i cartelloni mi espone all’occhio vigile della Lega che celermente manda un proprio delegato a dirmi che, essendo quel lato in favore di telecamere televisive è VIETATISSIMO passare lì (ci ho passato le prime tre giornate, l’ultima di fianco a un delegato, e il primo tempo di questa).

Ora, al di là del fatto che io sia meno telegenico di qualche uscita palla al piede dei difensori umbri (maledetto guardiolismo!), questo è tutto da dimostrare. Voglio dire, qual è il razionale per il quale è meglio mostrare una tribuna vuota (perché inagibile) piuttosto che normali segni di vita attorno a una partita di calcio. Già dobbiamo sorbirci quell’abominio delle seconde squadre, qual è dunque il senso di impacchettare un prodotto finto e patinato in un campionato che vede ogni anno perdere squadre per strada per i più svariati motivi, inficiandone la regolarità? Forse è un tema un pelo più importante che non far passare in tv delle persone sullo sfondo di una partita sgranata (che se proprio la dobbiamo dire, la qualità delle telecamere che mandano a coprire la serie C fa pure un po’ cagare).

Mentre termina la mia reprimenda, l’arbitro fischia tre volte, consentendo così al Ravenna di agguantare la sesta vittoria in sette incontri. Classica corsa sotto la curva e coro per la squadra che prima di rientrare negli spogliatoi fa un giro di campo andando a battere il cinque a tutti i tifosi, bambini e adulti, che allungano la mano da curva a tribuna.

I tifosi rossoverdi, dovendo aspettare nel settore che il resto dello stadio defluisca, continuano i loro canti e sono udibili da fuori l’impianto. L’eco che riverbera l’ultimo alito di bellezza e autenticità di questo sport, non ne vuol sapere di spegnersi.

Nicolò Semprini