Quello tra Reggina e Cosenza è uno dei tantissimi derby che arroventa la Calabria, forse non il più sentito per entrambe, con Messina e Catanzaro che da sempre ricevono la corrispettiva e più massiccia dose di bile da reggini e cosentini, ma nel corso degli anni passati non sono mancati i confronti aspri, a colpi di cori e non solo, sugli spalti e nelle immediate vicinanze, prima durante e dopo le partite che le contrapponevano.

Anche questo derby, valevole per il girone C della Lega Pro, non fa certo specie a sé, e molto partecipato e passionale è l’apporto del pubblico di ambo le sponde. I reggini, pur nella grandissima e dispersiva Curva Sud, riescono a presentarsi in numeri che non ne inficiano l’impatto visivo. Tutt’altro: dietro allo striscione “Dignità”, che da lungo tempo rappresenta la loro tifoseria e più che altro il loro stato d’animo dal post-fallimento, si compattano in maniera davvero impeccabile. Con la capienza del “Granillo” ridotta per il solito mix di isteriche motivazioni di sicurezza e immancabili inadempienze strutturali, gli spettatori arriveranno ufficialmente a quota 4.924, molto vicino cioè al tutto esaurito rispetto alla disponibilità attuale. La Curva presenta giusto qualche vuoto nelle parti più laterali, mentre invece bello pieno è anche il settore ospiti.

Con lo striscione “C’mon wolves” e tante bandierine rossoblu con il lupo invece, i cosentini presentano un impatto scenografico sì semplice, ma al contempo molto suggestivo, specie in tempi come questi dove, qualsiasi licenza coreografica, magari pirotecnica, costa dagli uno ai tre anni di diffida. Il confronto è ovviamente serrato, si sprecano cori e battimani, da una parte e dall’altra, peccato solo che ad una girandola di emozioni come questa c’è chi, come la Cosenza ultras senza tessera, è rimasto al palo per il mancato possesso di un pezzo di plastica. Probabilmente qualcuno, nelle stanze dei bottoni, è convinto che un pezzo di plastica possa tracciare il discrimine fra buoni e cattivi. Convinti loro…

Testo di Matteo Falcone.
Foto di Lillo D’Ascola.