Si sta per concludere un anno vissuto pericolosamente dalla Calcio Como e dai suoi sostenitori: nel volgere di appena dodici mesi, infatti, devono affrontare prima la retrocessione in C, poi il fallimento della Società nel bel mezzo dell’estate ed infine la vendita all’asta del titolo sportivo avvenuta poche settimane fa.
Nel contempo, l’ambiente ha fatto quadrato intorno ai colori ed alla storia biancoblù, convincendo in modo forse determinante il Curatore fallimentare ed il Tribunale di Como a concedere l’esercizio provvisorio e quindi a partecipare al campionato di Lega Pro 2016-2017.
La piazza comasca – intendendo per essa quella parte di città che segue le sorti della squadra a prescindere dalla categoria (la restante parte si conferma piuttosto tiepida, se non indifferente, alle vicende pallonare) – ha da subito dimostrato grande vicinanza agli uomini guidati dal mister Fabio Gallo, premiando con il proprio incondizionato sostegno (ma forse si potrebbe dire vero e proprio affetto) tutti coloro che non hanno abbandonato la nave nel pieno della tempesta, consapevoli peraltro che il naufragio fosse un rischio nemmeno troppo remoto.
Succede così che allo scoccare della primavera 2017 le fatiche ed i sacrifici di tutti (tifosi, calciatori, dirigenti, accompagnatori e, perché no, curatore fallimentare) trovano adeguata ricompensa.
Sul fronte societario il 16 marzo scorso, presentando un’offerta di 237.000 euro, la neocostituita società F.C. Como s.r.l., intestata ad Akosua Puni (moglie di Michael Essien, calciatore che, nonostante i trascorsi a Lione, Chelsea, Milan, confesso mi risultava abbastanza anonimo) si è aggiudicata il titolo sportivo e ha promesso, pur senza esagerazioni, il ritorno in serie B. Autorizzando gli aficionados lariani a tutti gli scongiuri del caso, va detto che il salto di categoria potrebbe realizzarsi a brevissimo termine: sul fronte sportivo, infatti, la squadra ha risalito in punta di piedi la classifica e si è assestata in piena zona play-off, garantendo come minimo un’appendice di campionato tutt’altro che scontata ad inizio stagione.
È in questo contesto che scelgo di godermi il sabato pomeriggio del secondo “ponte” d’aprile nella Brianza più profonda: destinazione Meda, dove il Como (Calcio, per la storia, Football Club per il futuro) affronta il Renate, sodalizio costituito nell’immediato dopoguerra ed ormai al sesto anno di quella che, per me, continuerà a chiamarsi “Serie C”.
La giornata, pur offrendo “quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”, è solo per metà primaverile: la temperatura è frizzante – e del resto appena il giorno prima le cime dell’altro ramo del Lago si sono imbiancate di una neve fuori stagione – ma non mette certo a rischio l’annunciata scooterata dei sostenitori biancoblù.
Saranno circa 500 i biglietti staccati per il settore ospiti, un terzo dei quali, appunto, opta per l’inconsueta trasferta su due ruote. Spiace non essere arrivato in tempo utile per qualche fotografia del corteo motorizzato, ma Meda si conferma per me un luogo ostile: come già successo in due o tre precedenti occasioni, infatti, macino chilometri a vanvera in un labirinto di capannoni e fabbrichette nel pieno del distretto mobiliere lombardo. In realtà c’è purtroppo una grande differenza rispetto al girovagare degli anni passati, perché oggi molti di questi fabbricati appaiono abbandonati o comunque disadorni: segno tangibile che la crisi economica a queste latitudini ha colpito e sta colpendo duro il settore dell’arredamento, uno dei principali simboli del Made in Italy ed il cui peso non si misura solo nel numero di show-room di questo o quel marchio famoso o della piccola ditta a conduzione familiare, ma da un ampio indotto di fornitori e sub-fornitori. Ogni tanto, quindi, chiediamoci come diamine fa quella famosa marca che ci martella con il suo “Artigiani della qualità” a vendere per poche centinaia di euro poltrone e divani in perenne offerta promozionale: in realtà un paio di risposte le avrei anche, ma voglio troppo bene al nostro Direttore per esporlo al rischio di una querela…
L’accoglienza che ricevo al “Città di Meda”, principale centro sportivo cittadino facile da confondersi con il vicino “Busnelli”, è ruspante ma organizzata a dovere: se al Comunale di Bergamo, limitandomi a citare un luogo che ben conosco, l’ospitalità è all’insegna dei tacchi a spillo e di bei fusti impomatati, qui ti accolgono dei volontari in età da pensione, cordiali ed affabili al punto che riesci anche a scambiare due parole in dialetto.
Caffè, sigaretta e poi nuovamente a calcare il manto verde per la seconda volta nella stagione.
Manca ancora una mezzora abbondante al fischio d’inizio ma il tempo vola veloce, chiacchierando a bordocampo con qualche fotografo conosciuto tempo addietro e ritrovando un paio di amici di lunga data che, nonostante decenni di militanza, hanno sempre fame di gradinate.
I sostenitori lariani riempiono senza fretta la tribunetta coperta che è posizionata alla sinistra di quella centrale e trasformano la recinzione in un muro di stendardi, bandiere e piccoli striscioni. “Como Supporters”, “Banda Como” e “Pesi Massimi” sono le realtà forse note ai più, ma non mancano altre pezze, talune esteticamente davvero pregevoli, a marcare la presenza di questo o quel gruppetto. Altrettanto bello a vedersi il bandierone a sfondo bianco che sventola con regolarità e… un po’ di fatica visti gli spazi stretti del settore ospiti.
Il tifo ospite scalda i motori in parallelo ai calciatori, che effettuano la rifinitura proprio in prossimità dei propri seguaci: i cori si alzano spontanei un po’ qui ed un po’ là e lasciano presagire ad una buona performance dei biancoblù. Prima di addentrarmi nella cronaca, però, occorre aprire una parentesi. Non ho mai nascosto una certa simpatia nei confronti (anche) di questa tifoseria, dovuta innanzitutto a profonde amicizie coltivate nel tempo ma anche al fatto che, nel lontanissimo gennaio 1987, per la prima volta mi capitò tra le mani “Supertifo”, regalato a pacchi proprio fuori dal Sinigaglia: erano il primo ed il secondo numero (stampati ancora su carta ruvida) e ne feci autentica incetta, infilandomi quanti più giornalini era possibile nel mio piumino rosso (no logo, però) in stile paninaro. Una volta tornato a casa cominciò una lettura avida, un ritagliare foto da incollare poi sul diario di scuola, un evidenziare indirizzi e numeri di telefono alle pagine del “mercatifo”, cominciando così un percorso di avvicinamento e conoscenza di quel mondo che già mi affascinava, intravisto nelle immagini televisive oppure narrato nelle cronache di scontri ed incidenti sui giornali del lunedì. Insomma la mia discesa agli inferi dell’universo ultras (vissuto, collezionato ma anche fotografato e raccontato, come ora) cominciò quel giorno in riva al Lario ed arriva ai giorni nostri: inevitabile conservarne un ricordo molto affettuoso e nitido (per la cronaca il Milan fu corsaro 0-1 con il primo goal in serie A di Paolo Maldini) visto che da quella malattia non sono mai guarito e sono felice di esserne stato contagiato.
Ho voluto dilungarmi in questo inciso perché talvolta, al di là dell’impegno e della buona volontà nel volere raccontare in modo circostanziato ed obiettivo ciò a cui si assiste, può capitare che la passione ci metta lo zampino: se qualcuno riterrà il mio racconto un po’ di parte potrà quindi averne chiare le ragioni e forse mi perdonerà, ma del resto senza questa stessa passione non saremmo qui trent’anni dopo a discettare di cori, manate, bandiere e di un’infinità di sfumature incomprensibili ai più.
Veniamo al sodo, allora: questo pomeriggio i tifosi comaschi hanno offerto una prestazione da incorniciare, e non mi spingo oltre perché, obiettivamente, giudicare una tifoseria fuori dalle mura amiche, quando ha dovuto percorrere solo una trentina di chilometri, non ha avversari con cui confrontarsi e la propria squadra ha il vento in poppa, può essere fuorviante. Va detto comunque che negli anni non si contano le trasferte con le medesime caratteristiche, in tutte le categorie, in cui ho visto prevalere però la spocchia dell’essere “una grande” e lo sfascio dei vizi (alcool, fumo, ecc. ecc.) sul sacro dovere di sostenere i propri colori, con conseguenti prestazioni scialbe e da dimenticare di questa o quest’altra tifoseria.
I lariani sono sembrati uniti e compatti, dando così la sensazione di avere raggiunto una nuova unità di intenti dopo varie vicissitudini che, nel corso della passata stagione, avevano portato anche allo scioglimento del Direttivo della Ovest. La memoria corre rapida e solletica un paragone con la fine degli anni novanta quando, radunati nella sigla “Blue Fans”, li vidi scrivere significative pagine di storia del tifo lariano. Erano anni meno prestigiosi dal punto di vista sportivo rispetto ai cinque campionati nella massima divisione del decennio precedente, ma non meno importanti ed anzi forse maggiormente ruggenti in ambito ultras, allorché nel corso della stagione 97-98 la curva svoltò, significativamente e quasi all’improvviso, dopo la difficile ricostruzione del post Fossa Lariana e dell’altalena tra serie B e serie C.
A vent’anni di distanza, ma è anche forse inutile ricordarlo, nel tempo della repressione 2.0, non si possono usare megafono, torce, fumogeni e tamburi: una differenza non da poco, certo, ma nulla è perduto e, anzi, se ti eri già dato un’impostazione british tutto sommato incassi meglio il colpo.
Largo quindi all’uso delle mani e delle sciarpe, tanto da contare almeno tre sciarpate nel corso del match, per dare colore al settore ospiti: se appena il sole fosse stato di fronte anziché di spalle ne sarebbero usciti scatti di ben altro effetto, ma comunque va bene così perché è stata una di quelle partite che, al tempo in cui si scattava con i rullini, ti avrebbe dissanguato economicamente quando il fotografo batteva lo scontrino.
Le squadre entrano in campo accompagnate dal “O comasco dal cuore ubriaco”, una sorta di inno ufficiale della curva non di meno di quello che, ad esempio, è “Tifosi rossoneri, tifosi milanisti” per la Sud meneghina. Le sciarpe restano alzate per tutto il tempo del coro, mentre una torcia ad intermittenza aperta e lasciata cadere regala qualche lampo di luce.
La partita è tecnicamente modesta e non particolarmente accesa dal punto di vista agonistico, ma questo non incide sulla prestazione dei sostenitori ospiti, che alternano cori a ripetere ad altri più musicaleggianti: è un buon repertorio, dove ai cavalli di battaglia sono state affiancate molte novità (almeno per me, che tutto sommato li ho visti tre volte negli ultimi dieci anni) ispirate a canzoni e musiche di vario genere.
Il primo tempo si chiude con i lariani che si portano in vantaggio ed il settore che propone la seconda sciarpata, questa volta accompagnata da un altro must da vent’anni in qua: “Pulenta e galena fregia”, un folk malinconico con contaminazioni irlandesi proposto da quel Davide Van De Sfroos che da queste parti è impossibile non conoscere, se appena ti piace la musica ed ami la tua terra e le sue tradizioni. La pronuncia dialettale è quasi perfetta e l’incedere è lento come dev’essere quando mostri orgoglioso i tuoi colori e stringi forte una sciarpa con cui hai diviso gioie e dolori e, non dubito, ognuno ricorda quando l’ha comprata, perché ha scelto proprio quella come compagna di mille battaglie e forse addirittura quanto la pagò.
L’intervallo serve ai più per abbeverarsi ma c’è anche chi ricomincia a cantare prima che i ventidue rimettano piede in campo. Pronti, via e di nuovo riparte il sostegno lariano, affatto scalfito dalle fatiche del primo tempo. Si susseguono i cori di incitamento ma c’è anche modo, come già successo in precedenza, di ricordare vecchie e nuove inimicizie: il pensiero, poco affettuoso naturalmente, è rivolto in pari misura al Varese ed anche al Piacenza, tifoseria quest’ultima che sarà probabilmente diretta avversaria nel primo turno dei play-off e con la quale c’è qualche conto in sospeso da sistemare. Tra i comaschi sono presenti anche esponenti degli Eagles Cantù, per i quali vengono intonati cori di saluto e cori anti-Milano, acerrima avversaria sui campi di parquet.
Le lancette dell’orologio girano veloci ed arriva il momento di accommiatarsi con un quarto d’ora di anticipo rispetto al triplice fischio: non mi disturba tanto il pensiero di non avere visto il secondo goal degli ospiti quanto piuttosto di essermi potuto perdere il “Como alè strippo per te”, forse il coro che più mi intriga del repertorio lariano.
Si dice che “Una rondine non fa primavera”: toccherà quindi tornare presto a vedere il Como per capire se gli ottimi biancoblù visti oggi siano la regola oppure l’eccezione.
Lele Viganò.