Il borgo medievale è un luogo misterioso e affascinante, dove camminare per ritornare indietro di centinaia di anni. Sentendo gli odori di quando per quelle vie correva la vita di tutti i giorni, e i rumori di persone che svelte si affaccendavano qua e là. Il borgo medievale, per noi che siamo italiani, ha un significato quasi magico. Siamo abituati a vederne di maestosi da nord a sud. Spesso, ai più, sconosciuti e ancora salvi da quel turismo di massa che finisce con il rovinarli, facendoli diventare poli commerciali dall’anima contaminata. Il borgo medievale, tuttavia, appartiene anche a un’era lontana ed ha dismesso tutte le sue mura, i suoi ponti levatoi e i suoi fossati che per secoli l’hanno tenuto lontano dal mondo. Chiuso in se stesso. Perennemente circondato e accerchiato. Arroccato sul proprio scranno comunale, ma cieco nel comprendere la realtà circostante. Con una visione limitata delle cose. E dal facile travisamento di ogni componente sociale. Del resto se non si è mai vista la grandezza della valle di fronte, è difficile capirne l’aria di libertà e le suggestioni che emana.

Ora, Roma un borgo medievale lo è stato veramente. La Roma imperiale che tutti abbiamo studiato e imparato a conoscere come Caput Mundi, dopo il crollo della sua maestosità ebbe un’involuzione che la portò ad essere un piccolo centro lasciato al proprio destino, all’incuria e dedito all’agricoltura. Nel Foro di Traiano passeggiavano pecore, sotto le arcate del Colosseo pascolavano maiali e mucche, i marmi che avevano reso l’Urbe il simbolo massimo dello splendore, vennero in gran parte saccheggiati. E i romani, da popolo florido, battagliero e colto, piombarono lentamente in un mondo chiuso, limitato e dalle scarse prospettive. Un salto all’indietro che, fatte le dovute proporzioni e acclarati i differenti contesti, potremmo paragonare al momento attuale. Lo stadio è soltanto una delle componenti di questo borghetto medievale, dalla dubbia logica e dai dubbi protagonisti. Oltre che dall’incerto futuro, proprio perché manca una visione saggia negli aspetti fondamentali e cruciali del vivere una realtà così complessa.

In un contesto dove la mentalità si restringe è difficile pretendere che le criticità e le situazioni vengano viste a 360 gradi, e non soltanto parzialmente lasciando palesarsi diversi vizi di forma. Roma-Austria Vienna ne è un fulgido esempio. Bisogna articolare la discussione per comprendere bene la questione. Occorre cominciare dicendo che augurare il male ricevuto (in questo caso la folle repressione che ha comportato l’attuale morte del tifo capitolino) agli altri (i tifosi ospiti) non è soltanto un esercizio stupido, ma anche e soprattutto controproducente. E non combacia, assolutamente, con il mettere in risalto quanto la Questura di Roma si sia accanita ferocemente sui supporter di Roma e Lazio. Cerchiamo di ragionare e utilizziamo un metro di giudizio volto al futuro, e non a al piagnisteo del “Mamma, perché al fratellino permetti di tenere questo comportamento e a me no?”, utile soltanto a vietare un diritto o una passione anche agli altri, anziché rendere ciò libero e fruibile da tutti. Come dovrebbe essere.

Certo. È indubbio che il vero problema della Questura capitolina non siano le torce, i fumogeni, i megafoni, i cambi posto, gli striscioni e via dicendo. È talmente lapalissiano che di fronte a tifoserie straniere, laddove è più difficile usare il potere coercitivo di cui si fa protagonista con i tifosi romani, si preferisce glissare. Forse per preservare quest’aurea, quanto mendace, voce che lo stadio Olimpico sarebbe a cinque stelle. Oppure semplicemente per non dare l’idea di ciò che sono l’Italia e in particolar modo la sua Capitale almeno in fatto di organizzazione della manifestazioni sportive: luoghi da terzo modo, senza arte né parte e soprattutto senza strutture logiche e operativamente funzionali.

Sta di fatto che i tifosi dell’Austria Vienna, una volta scesi in campo i giocatori, si sono prodotti in una bella coreografia corredata dall’accensione di torce e fumogeni. Succede che subito partano i primi attacchi incrociati della stampa. Molti dei quali chiedono la sanzione per questi comportamenti, bacchettando la Questura per aver fatto entrare striscioni non autorizzati (dimenticando, forse, che al di là delle Alpi tale prassi non esiste) e aver permesso la realizzazione della scenografia. Giustificando, de facto, l’atteggiamento assunto nei confronti del pubblico locale. È qua che tracima la ragione, passando dal voler sottolineare (giustamente), quanto i tifosi di Roma e Lazio siano vittime di vessazioni premeditate, alla giustificazione indiretta di tutti i divieti posti in essere verso gli stessi. Senza menzionare tutti quegli ipocriti e virgulti signorotti che in questi anni sono stati tra i primi a puntare il dito per una torcia accesa o un fumone sulla pista d’atletica, salvo rendersi conto solo ora quanto l’Olimpico sia deprimente senza gli ultras.

Perché si guarda il dito anziché la luna? Il ruolo di una stampa forte, libera e cosciente ci imporrebbe di evidenziare tutt’altro. Mettere sulla graticola i personaggi che si sono contraddistinti nell’ultimo anno e mezzo, facendoli cuocere nel proprio brodo. Far vedere come spettacoli del genere, non solo siano innocui, ma aumentino l’appeal di gare in cui ormai il grande pubblico è soltanto un lontano parente (poco più di 16.000 gli spettatori, di cui oltre 2.000 austriaci). Ieri non è morto nessuno per qualche torcia e delle bandierine. Anzi, questa è sempre stata la normalità per noi, e tutti dovremmo spingere affinché ritorni, e non affinché venga vietata anche agli altri. Il succo del discorso è semplice: “Tifosi viennesi danno spettacolo all’Olimpico, lo stesso che viene vietato agli spettatori romani. L’ennesima dimostrazione dell’accanimento”. Affrontare la vicenda in maniera diversa, vuol dire iniettare nelle menti della gente quell’antidoto ai fenomeni aggregativi e folkloristici che in tutti i modi stanno cercando di somministrarci. Far passare il messaggio che una coreografia sia da sopprimere perché soppressa ad altri è a dir poco stolto. Sposa appieno con quella mentalità da borgo medievale di cui sopra, un luogo destinato a rimanere tale e non espandersi mai a grande città. Evoluta e autorevole nel rivendicare ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Si riuscirà a fare un’analisi senza passare per titoli sensazionalistici e acchiappa-like? “Follia ultrà: rissa tra tifosi dell’Austria Vienna e romanisti in Via Palestro. Coinvolti in cinque”. Follia ultrà? Ma chi fa questi titoli conosce la città o abitualmente vive altrove? Capisco che  ci siano delle keyword da rispettare e dei click da ricevere, ci mancherebbe. Chiedo venia, ma perché non viene riportato costantemente il bollettino delle risse che riguardano quella zona, spesso teatro di tensioni tra turisti ubriachi? Sia chiaro, nessuno giustifica la violenza in ambo i casi, ma fa sorridere leggere quanto, da una parte, la Questura si spolveri i galloni per mostrare al mondo il proprio lavoro (omettendo ovviamente i particolari di cui sopra) e dall’altra i media si limitino ad andarle dietro, riportando le veline senza una minima analisi. Dovremmo decidere se siamo scrivani o giornalisti. Perché se ammettiamo di essere i primi, allora va bene tutto. Ma se vogliamo essere i secondi, allora bisognerebbe un attimo uscire da questo guscio e cercare di svolgere il proprio compito anche andando contro verità precostituite e apparentemente inattaccabili.

Roma rivuole i propri tifosi allo stadio? Giusto. Giustissimo. Anche la società in queste settimane sta tentando di spingere a livello pubblico, con dichiarazioni di ex giocatori e attuali bandiere. C’è bisogno della spinta decisiva di chi fa informazione. La strada però non deve essere quella del pianto, ma quella della presa di posizione netta e univoca da parte di tutto l’ambiente. Siamo forse ai titoli di coda ed è il momento di dare una sterzata a una situazione divenuta vergognosa e insostenibile. Si metta in evidenza che i problemi di chi vuol eliminare il tifo organizzato, non sono tutte le bufale che ci hanno propinato in questi mesi e che le palesi contraddizioni evidenziatesi con l’arrivo di tifoserie straniere sono soltanto le ultime, chiare, dimostrazioni di questo. Se nessuno ha chiesto conto a Gabrielli/D’Angelo per le loro affermazioni sui 3/4.000 scavalcamenti a partita, pur sapendo che si trattava di bugie, e nessun altro ha controbattuto civilmente a dei comportamenti che spesso di civile e democratico avevano di ben poco, abbiamo l’ultima cartuccia da sparare.

Quando Viale dei Gladiatori è alle mi spalle, sento ancora i tifosi viola cantare ed esultare. Li ho visti richiamare la squadra dagli spogliatoi. Con i giocatori che hanno colto al balzo l’invito, ripresentandosi sotto a un settore ospiti super blindato da agenti in borghese e steward austriaci (che spesso ho visto dimenarsi, quasi scusandosi, nei confronti dei tifosi, costretti ad abbandonare molti dei loro classici strumenti di tifo come tamburi e megafoni a causa degli ottusi regolamenti italiani e redarguiti in più di un’occasione per il voler stare a cavalcioni sulla balaustra). Uno dei calciatori ha preso ha preso in mano un bandierone unendosi ai cori degli ultras. Questi comportamenti da noi non sono consentiti, si rischiano persino delle sanzioni. Questo è un altro punto da cui ripartire, prendendo atto di quanto tali inettitudini, quasi sempre foraggiate da un certo tipo di stampa, abbiano creato il terreno fertile per quello che oggi vediamo all’Olimpico. Si prenda come esempio la tifoseria dell’Austria Vienna per dire: “È questo ciò che rivogliamo!”. Ma bisogna farlo senza pregiudizi, senza paraocchi e senza chiusure mentali. Ci fregiamo tanto del nostro passato imperiale. Ecco, per una volta usciamo dal borgo e torniamo a essere Caput Mundi. Ma per davvero.

Testo Simone Meloni.
Foto Cinzia Lmr.