Quando si va in curva, si ha un compito: sostenere la squadra. Il tifo attivo è il ruolo che il tifoso coscientemente si dà, mentre il giocatore ha quello di sudare e sporcare la maglia. Infine vi sono i dirigenti, che, in base al budget, devono decidere gli obiettivi e dare una linea da seguire alla squadra. Quindi se si punta alla salvezza e si fanno tre vittorie di fila, non ci si deve lamentare se magari nei tre turni successivi si racimola la miseria di un punticino.
Sono differenze fondamentali ma che spesso non sono colte dallo spettatore medio, che vede il tifoso/ultras come in preda a istinti irrazionali, che poi, a logica, possono sfociare in atteggiamenti violenti.
È quindi questa un’analisi sommaria, frutto peraltro di una società postmoderna che non vede la violenza come parte della sua vita e tenta di estrarla dalla storia umana, senza accorgersi che essa è solo più distante dai suoi caldi salotti.
Si dipingono situazioni simili a quelle del libro “La leggenda del santo bevitore”, di Joseph Roth. In esso il protagonista, un vagabondo avvinazzato, peraltro pare alter ego dell’autore, riceve una discreta somma di denaro e decide di spenderla prima per un bel pasto in un ristorante e poi in un bordello. Egli quindi vive nel presente.
Ponendo cosi la figura dell’ultras come persona che vive nel presente, la dirigenza e il suo gonfio portafogli devono essere all’opposto, sempre nella logica diciamo perbenista: ma ciò non sempre avviene.
Su questa linea si pongono una serie di provvedimenti e di dichiarazioni registrate nell’ambiente riminese in settimana; in primis il licenziamento di mister Acori, al quale, parere unanime di tutta la piazza, era stata data in gestione una squadra più adatta a una Serie D che alla terza serie nazionale.
La vittoria manca da più di un mese. Sono seguite poi dichiarazioni alquanto accese da parte dello stesso patron Grassi, il quale ha annunciato che in caso di retrocessione venderà e si metterà da parte. Mi spiegano come nell’ambiente cittadino egli sia lasciato solo e collego le parole a una certa frustrazione. È il solito problema della Serie C, tante spese e una quasi impossibilità di realizzare guadagno. Si giunge quindi a Rimini-Vicenza con tutto da perdere da parte dei biancorossi locali.
Anche in casa ospite il clima non è molto sereno, con una grossa difficoltà a mettere la palla in fondo al sacco, caratteristica comunque abbastanza comune nel girone, che vede un grande lavoro di testa negli spogliatoi da parte dei CT e difese solide.
Gli ultimi sei match del Vicenza hanno portato sette punti, con una sola vittoria; la proprietà è quella che fino allo scorso anno gestiva il Bassano, protagonista di stagioni alquanto entusiasmanti. Intuisco vi sia una difficoltà dello staff nel gestire una piazza importante, che garantisce una solida presenza e un solido sostegno allo stadio, e che, chiaramente, pone qualche pressione. Gli stadi vuoti non hanno peraltro mai messo agitazione a nessuno, a meno che il silenzio non sia una forma di dissenso.
22 gennaio 2019, ore 18:30, neve leggera in pomeriggio sulla Romagna, diretta Rai Sport. Gli ingredienti che portano al dato di 300 paganti scarsi vi sono tutti, ben amalgamati e con responsabilità riconducibili alle solite svariate figure che popolano il mondo del calcio.
La curva di casa presenta un blocco centrale che colora l’atmosfera che con numerose bandierine a scacchi biancorosse. Da lontano ammiro il lanciacori al paletto centrale, con vicino a lui un ragazzino sui 12/13 anni al tamburo. La noia del martedì sera provinciale svanisce. Il sostegno è costante, con numerosi cori contro gli ospiti, vista l’amicizia di questi ultimi con i ravennati.
Dalla città veneta giunge un centinaio di sostenitori più qualche ragazzo da Reggio Emilia, esponendo la pezza Teste Quadre; ospiti che si presentano al fischio d’inizio sparpagliati, per poi raggrupparsi attorno al 20°. Tifano a sprazzi, ma quando lo fanno i cori sono ben chiari e forti. Sembrano subire le promesse mancate da parte della dirigenza, probabilmente inadeguata alla piazza, come ho già spiegato.
Sul campo regna la noia più totale, un solo tiro in porta in 90 minuti. Ci si accontenta visti i tempi di vacche magre, un punto per parte e finiamola qui. Considerando però la questione da un altro punto di vista, ricompensare chi si prende la briga di venire a sostenerti con gelo e nevischio con una prova da categorie inferiori è quasi un’offesa.
Per fortuna qualcuno cerca di non vivere nel presente…
Testo di Amedeo Zoller
Foto di Gilberto Poggi