Ormai è diventato un dovere allontanarsi da questo calcio italiano delle serie maggiori, che ha assorbito gli aspetti più spettacolarizzati ed estremi della Premier League; il punto d’arrivo di questo fenomeno è la nuova maglia della Juventus presentata a fine campionato, e ciò sarà probabilmente il punto di partenza per chiunque voglia poter vantare una squadra che sia anche un brand.

Il modello è approdato, stiamo ora a vedere chi si adeguerà e, restando indietro e perdendo denaro, chi no. In mezzo le solite voci di stadi nuovi che riecheggiano da lustri in tutto lo stivale, che sanno più di prebenda per ditte edili locali che di punto di partenza di un progetto.

La vecchia e scalcinata serie C ha tentato di adeguarsi ai parametri mediatici che ormai caratterizzano il mondo del pallone, ma rimane tutt’ora nota per essere un bagno di sangue, dove si hanno solo spese e il ritorno economico è nullo al pari di quello d’immagine. Essa rappresenta bene gli interessi particolari e singoli dell’imprenditoria locale italiana, spesso incapace di dialoghi tra aziende di medie dimensioni, a formare quei famosi pool o CdA che dovrebbero essere la norma nella gestione delle società calcistiche periferiche.

Al termine della sfida odierna il presidente Grassi, dopo mesi passati ad annunciare la cessione della società in caso di retrocessione, ha lasciato la tribuna, contrariato davanti ai cori dedicati a Bellavista, dirigente del Rimini al tempo della promozione dei romagnoli in B a metà anni Duemila, di cui il 21 maggio ricorre il dodicesimo anniversario della morte.

Per metterla giù più chiara: dopo aver messo in piedi una squadra che si è salvata soltanto ai play out, dopo aver minacciato più volte di mollare tutto, ha preso male il ricordo di chi ha voluto bene alla maglia a scacchi, portandola alla gloria. Un raro caso di miopia societaria davanti al quale la Est, che vanta decine e decine di ragazzi sottoposti a provvedimento di DASpo, ha reagito cantando 90 minuti, nell’interesse comune della maglia.

Sul campo gli ospiti, accompagnati solo da alcuni singoli tifosi dopo la scelta dei Rude Boys di non seguire fuori casa, tentano di farsi vedere in avanti senza troppa convinzione, mentre i locali fanno del cinismo la loro arma, riuscendo a chiudere il primo tempo con un doppio vantaggio.

Al botteghino sono 1.620 i biglietti venduti. Al netto dell’acquazzone che si scatena nell’ora precedente il match, tale dato è comunque rappresentativo di quanto poco la città si senta coinvolta in una partita decisiva per il futuro; tale operazione mediatica spetterebbe al connubio tra dirigenza, società di eventi e tifoseria, la quale dal canto suo riempie il settore popolare con numeri uguali a molte altre gare casalinghe di questa stagione. Al centro la curva lascia un vuoto, a simboleggiare la mancanza dei RWS, gruppo leader; viene esposto nel secondo tempo uno striscione per Caruso, fondatore della Falange venuto a mancare qualche anno fa ma il cui ricordo vive sulle lamiere della gradinata. Presenti anche alcuni ragazzi di San Benedetto del Tronto, che per qualche minuto espongono la pezza rossoblu Sambenedettesi

Henrich Boll spiegava che la storia ci tira addosso un sacco di cianfrusaglie: governi, dittature, elezioni, tasse. Ma davanti ad essi il sentimento d’amore prevede le medesime angosce ed emozioni, indipendentemente dal contesto politico e sociale in cui si va a sviluppare. Tale discorso rapportato al calcio va a tirare in ballo due fattori: il campo e il tifo, o se si vuole gli undici giocatori con maglietta e pantaloncini e i ragazzi sugli spalti.

Ragionamento che, in una piazza come Rimini, mi pare si adegui soltanto all’ambito dei supporter, dal momento che la dirigenza ha dato più di una volta sfoggio di isterismi alquanto discutibili. La permanenza di un sostegno nonostante le numerose diffide piovuto sulla Est sono invece, a mio parere, sintomo di una passione costante, sana, capace di resistere a punti e classifiche.

In sintesi, la categoria avrebbe fatto una differenza innegabilmente rimarcabile per soltanto una delle due parti. Al centro del tutto, come sempre, i giocatori, oggi invitati ad allontanarsi dalla Est a fine partita; da essi deve partire un nuovo legame, orchestrato dalla dirigenza, con la curva.

Testo di Amedeo Zoller.
Foto di Gilberto Poggi.