Rimini è la città in cui ho ripreso a scattare dopo 15 anni di militanza attiva nella mia Curva d’origine. Ho seguito (da fotografo, s’intende…) per alcuni anni con costanza la maglia a scacchi in casa, un bel po’ di volte anche in trasferta, poi ho finito per cedere la titolarità del campo ad un amico che, a differenza mia, di quella maglia è innamorato e tifoso.
Allo stesso amico in ferie, lontano da Rimini, offro il favore di coprire questa partita contro la Pistoiese. Resto, per vicinanza geografica e di amicizie, costantemente aggiornato sulle vicende riminesi, ma sono curioso di toccar con mano dopo lunga assenza. L’avversario odierno, per giunta, rievoca vecchie ruggini dei tempi remoti della Serie C e della mai sopita antipatia che corre sull’asse Emilia Romagna-Toscana, ma in tempi odierni di tessere, restrizioni e scoramento diffuso, non nutro aspettative di sorta sugli ospiti.

Si gioca ancora una volta a Santarcangelo di Romagna per la perdurante indisponibilità del “Romeo Neri”, sottoposto ad una serie di lavori che non saprei se definire di riammodernamento: una cosa buona di questi tempi moderni infausti, è la tendenza ad avvicinare gli spalti al terreno di gioco; in questo caso no, la distanza resta siderale e si è puntato a rifare la pista d’atletica, nell’ottica di una polisportività che in Italia non è di fatto mai esistita e che alimentano artificialmente con le briciole. In più, vabbè, c’è il manto erboso in sintetico: sono nato e cresciuto in una città in cui il calcio voleva dire nuvoloni di polvere che si alzavano dal campo in terra battuta e – lo giuro – la prima volta che ho salito i gradoni di uno stadio e sono stato accolto da un lampo di luce verde viva e dall’odore dell’erba tagliata di fresco, ho provato una sensazione emozionale e sensoriale inenarrabile; un’emozione che certamente i bambini di oggi non potranno mai più ripetere venendo accolti dall’odore dell’officina di un gommista. Passi la Germania, la Svezia o l’Islanda che devono fare i conti con un inverno rigidissimo, ma che in un paese temperato come il nostro anche la poetica e l’epica sportiva debbano cedere il passo alla logica renziana della “spending review” è veramente triste. Non dico incomprensibile ma triste. E non dico che di superfluo da tagliare ce n’è molto più in tasca dei “potatori”, perché sennò sforerei verso la bestemmia.

Da mia buona tradizione arrivo tardi e trafelato, tanto da non accorgermi di un vecchio amico che rivedo e saluto con piacere, ancora fuori con la brigata di suoi soci a tenere un occhio in zona, a scanso di visite inattese. Ecco, la Rimini ultras è anche questo: una comunità forse piccola nei numeri (che in verità io definirei ben proporzionata alla sua realtà socio-cittadina), ma che risponde con ortodossia facendosi trovare pronta in tutti gli aspetti e le regole del gioco.

Mi fiondo in campo, mi infilo la pettorina mentre le squadre escono dal tunnel e la prima constatazione è che visite nel settore ospiti non ce ne sono. Non di rilevanza ultras quantomeno: solo un manipolo di anziani tifosi di club, con qualche bandierina arancione che si limiterà ad assistere alla partita in un lungo e religioso silenzio, interrotto solo da qualche isolato “Pistoia, Pistoia” e poco più.

Concentrandomi sul pubblico di casa, fra tutti i mali che non vengono per nuocere, devo onestamente dire che i Riminesi raccolti nel più piccolo “Valentino Mazzola” di Santarcangelo offrono veramente un bel colpo d’occhio complessivo e sono senza dubbio più belli da vedersi che non nel loro più dispersivo stadio. Allo stesso modo anche il loro tifo canoro risulterà sempre molto piacevole grazie all’amplificazione offerta dalla copertura della tribuna.

Poco dopo l’ingresso in campo, la squadra viene accolta da uno striscione che ironizza sul tennistico 6-0 subito a Pontedera, risultato che è costato anche la panchina all’allenatore Pane, a cui nel frattempo è subentrato Brevi. Battuta a parte, un secco “Noi vogliamo gente che lotta” lascia inequivocabilmente capire che adesso il tempo per scherzare è veramente finito. Sulla stessa falsariga il successivo cartaceo “Niente scuse né giustificazioni, adesso fuori i coglioni”.

Una serie di bandieroni molto belli hanno il compito di colorare la zona, in particolare spicca per fattura quella con il Corto Maltese, fumetto figlio proprio da una matita nativa riminese, quella di Hugo Pratt, mentre tanto di pregevole quanto ironica è la bandiera “Ci scusiamo per il disagio”.

Il primo tempo è ottimo, con tifo molto continuo e potente, con una bella varietà di cori, tantissimi battimani, buona dose di colore garantita dalle bandiere sempre sventolanti e da una sciarpata, mentre tanti sono anche gli striscioni esposti: oltre a quelli già menzionati, successivamente se ne apre un altro proprio per deprecare i ritardi dei lavori allo stadio.

In campo invece le emozioni sono di molto inferiori: il nuovo Rimini di Brevi è accorto, corre pochi rischi ma tira anche poco in porta, così mentre gli undici passano sotto il settore per rientrare nel tunnel degli spogliatoi, si rinnova il coro “Noi vogliamo gente che lotta”.

La seconda frazione ricomincia al piccolo trotto, specie sotto il profilo del tifo, con il settore biancorosso che fatica a ricompattarsi e ritrovare il piglio deciso del primo tempo. Ancora uno striscione viene aperto a mano, in questo caso per salutare PierSimone, fratello sambenedettese scomparso. Striscioni su striscioni è poi la volta di un messaggio di vicinanza agli ultras riminesi alle prese con problemi di giustizia, il cui immancabile sottofondo sono cori di libertà per gli ultras.

Sul rettangolo verde, i biancorossi di casa riescono a trovare il tanto sospirato goal intorno al 20’ e l’evento getta ovviamente benzina sul fuoco dell’entusiasmo. Il tifo canoro da qui in poi comincia a carburare e recupera in potenza dopo un inizio di frazione non esaltante. Il colore che non era mai venuto a mancare grazie ai bandieroni, viene rincarato grazie ad un paio di altre sciarpate, una sulle classiche note di “Romagna mia” e un’altra in movimento “Tutti avanti, tutti indietro, ecc.”.

Nella fase finale, la tifoseria getta il cuore oltre l’ostacolo, cerca di tenere alto il sostegno alla maglia a scacchi dapprima chiamando il resto del pubblico a raccolta (ma l’appoggio resterà sporadico e limitato al classico “For-za Ri-mi-ni”) e poi continuando a spingere su un coro che invita tifosi e squadra a lottare e crederci “fino alla fine”.

Il calcio però, si sa, non sempre è scienza esatta, anzi risulta spesso beffardo e ingiusto, così, all’ultima palla giocabile la Pistoiese infila la porta avversaria grazie alla colpevole collaborazione del portiere biancorosso. Il triplice fischio finale arriva proprio in quello stesso istante, con gli arancioni in preda al più sfrenato entusiasmo ed il Rimini in ginocchio, non solo metaforicamente.

La tifoseria incassa con qualche mugugno, ma in definitiva rinnovando alla squadra la voglia di combattere con il coltello tra i denti per preservare la categoria appena riconquistata. Ripongo i ferri del mestiere e torno a casa, contento per aver rivisto dopo tempo i riminesi, contento soprattutto di averli trovati in buono stato di forma, ancora capaci di tenere compatti i ranghi, al netto delle differenze interne fra le anime che li compongono e in controtendenza al periodo storico attuale, dove ogni forma di aggregazione è perseguitata, demonizzata e repressa.

Matteo Falcone.