Sentivamo in effetti la mancanza di parole e pensieri emanati da parte dell’ex capo dell’Osservatorio e attuale Capo Gabinetto della Questura di Roma, Roberto Massucci. Così come avvertivamo una certa pena nel non poter leggere trafiletti, testate o pezzi di spalla da parte degli ineffabili giornali nazionalu sulla situazione romana. L’assenza degli stessi per circa quarantotto ore aveva in effetti pervaso d’inquietudine le nostre anime.

Ci ha pensato la Gazzetta a restituirci un pizzico di serenità. In particolar modo è stato il sommo Franco Arturi ad illuminarci con la sua rubrica “Porto Franco”. La stessa ci ha ricordato il perché l’Italia occupi tradizionalmente posizioni ignobili per quanto riguarda la libertà di stampa. Soprattutto se applicata a un Paese europeo.

Per i doriani c’è la famosa “Lettera da Amsterdam”. Per i più acculturati il bellissimo “Ultime lettere da Jacopo Ortis” Per i più romantici ci sono le letterine d’amore che si incastravano nel portapenne del banco di scuola alla compagna più bramata dalla classe. Poi ci sono le celeberrime “Lettere da Roberto Massucci” pubblicate e “commentate” dal vicedirettore della “rosea”. Scusate se mi permetto di utilizzare le virgolette ma da che mondo è mondo l’interesse di un organo di informazione dovrebbe essere quello di tenere alto il contraddittorio, al costo di arrivare a scontrarsi con il proprio interlocutore. Cosa che ormai di rado avviene in Italia, soprattutto se gli interlocutori sono gli stessi chiamati a gestire determinati avvenimenti e di mezzo c’è un tema come il calcio, trattato con fare nazional-popolare da quasi tutte le testate di prim’ordine.

Succede quindi che Massucci scriva una lettera ad Arturi per la succitata rubrica. Il tema – manco a dirlo – è la virtuosa gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Roma e Lazio. Quella che avrebbe dovuto mutilare e sconfiggere i temerari “mostri a tre teste”, come sapientemente descritti dall’ex Questore di Roma Niccolò D’Angelo.

Mi stupisce come non abbia colto alcuni segnali della strategia attuata a Roma – esordisce Massucci – Riappropriazione del territorio, eliminazione del concetto di curva, negazione di qualsiasi leadership e, soprattutto, maniacale, sistematica ricerca della legalità”. 

Un punto su cui sicuramente tutti siamo d’accordo è la “maniacale ricerca della legalità”. Un concetto perfettamente espresso. Del resto il termine “maniaco” non è un qualcosa di cui fregiarsi nella lingua italiana, se poi viene affiancato alla parola legalità, può prestare il fianco a differenti interpretazioni. Durante il periodo della Santa Inquisizione, ad esempio, molte persone vennero bruciate sui terribili Quemaderos anche solo per aver camminato in un posto sbagliato, aver parlato fuori luogo o aver portato un’acconciatura che – secondo i tempi – cozzava con la morale pubblica. Anche allora si parlava certamente di ricerca della legalità. Soltanto qualche secolo dopo il tutto è stato etichettato come semplice “tortura”.

Non abbiamo infatti alcun dubbio che i mali ultrà nascono e si consolidano all’interno delle curve – continua -. Non le sarà certo sfuggito che, iniziato questo percorso, sono spariti tutti gli incidenti (da 40 feriti a zero) e persino le cosiddette «puncicate» , tipiche delle vie di afflusso ma nate e decantate dentro la curva”. 

Questo forse il passaggio più “bello”. Il “male ultrà” che si consolida all’interno delle curve è un ovvio sfruttamento di quel folk devil, ormai consolidato nel secolo scorso, che vede i tifosi dei settori popolari – così come i manifestanti della working class o i picchetti degli operai nel passato – sempre e comunque appartenenti alla “feccia” e a ciò che è avverso all’ordine costituito. In soldoni sarebbe il sinonimo di “mostro a tre teste”. E come tale si deve consolidare all’interno di uno spazio – la curva – che è ormai populisticamente il contenitore del “male”.

Il voler sottolineare la sparizione di incidenti dall’erezione delle barriere, invece, è semplicemente ridicolo e a tratti patetico. Ma da Arturi – che evidentemente conosce poco la materia – sarebbe inutile aspettarsi che controbatta in maniera semplice e chiara (e sarebbe doveroso, di contro, pretendere che non affronti proprio l’argomento. Ma questo è un altro discorso). Lo faccio io, nel mio piccolo, usando una frase che ormai riproponiamo da anni: se chiudessimo le autostrade dopo numerosi incidenti per guida in stato d’ebrezza, sicuramente le morti sulle stesse si ridurrebbero a zero. Ma non sarebbe certo una vittoria. Se invece continuassimo a tenere le autostrade aperte e riuscissimo a non far circolare più conducenti alterati, allora la società tutta avrebbe fatto sicuramente un passo avanti. Certo, richiederebbe impegno e dedizione. Perché implicherebbe un accrescimento dal punto di vista culturale. La cultura, il sapere, il conoscere sono le più grandi armi contro tutto quello che questa società perbenista dice di combattere. Lo sanno, ma fanno finta di niente.

Sulle “puncicate” non si capisce da dove Massucci abbia dedotto che venissero “decantate” all’interno della curva anziché in tribuna, in un pub adiacente allo stadio o altrove. Sempre ammesso che siano state decantate. Ma fa parte della propaganda e lo prendiamo così.

“Ora siamo a una scelta di civiltà, la rimozione delle barriere. Ma credo che molti non abbiano compreso che non si tratta di una conquista, ma piuttosto di un’occasione che sarà protetta dallo Stato con la stessa medicina: chi sbaglia paga. Le leggi ci sono – conclude – e noi continueremo ad applicarle”. 

Definire la rimozione delle barriere “una scelta di civiltà” va un po’ contro quello che lo stesso Massucci aveva propagato nel recente passato. Anche perché lo stesso conosce benissimo la gestione fallace dell’Olimpico in questi mesi, con la diaspora del pubblico e le criticità ugualmente riscontrate in fase di afflusso durante alcuni big match (Roma-Real Madrid resta l’apice sicuramente). Ma capiamo che gli ordini sono arrivati “dall’alto” e quindi c’è ben poco da controbattere.

Chi sbaglia paga? Le leggi ci sono e si continueranno ad applicare? Giusto, nessuno pretende il contrario. Anche perché l’Italia è uno dei Paesi al mondo che ha più leggi e decreti in tema di ordine pubblico e di stadi. Proprio per questo viene da chiedere: se le leggi ci sono – e ci sono per davvero – c’era davvero bisogno di erigere barriere e trasformare un luogo pubblico in un campo di concentramento?

Sarebbe stata una domanda da fare. Un qualsiasi giornalista erudito sull’argomento e libero dalle proprie opinioni e dai propri pregiudizi lo avrebbe fatto. Invece niente, anche qua il silenzio più assoluto dall’altra parte.

“Considero importante la sua breve analisi della deriva di una fetta cospicua di ultrà (non di tutti, ovviamente) – risponde Arturi -. Disgraziatamente, non si tratta di un patrimonio culturale comune del calcio italiano. Nel mio commento facevo una fotografia del caso Italia, di cui Roma, con il suo percorso virtuoso, è purtroppo solo una parte. E nemmeno è possibile ipotizzare che l’argomento possa essere lasciato alla sensibilità e alla buona volontà delle singole questure: manca, appunto, un quadro d’insieme. Per dirla in due parole: la volontà politico-istituzionale”. 

Sul fatto che le curve non siano un patrimonio culturale del calcio italiano ognuno può avere le proprie idee, ma io non sarei così netto neanche su un qualcosa che non amo a pelle e che, nella fattispecie, contraddistingue da anni il mondo del calcio; conferendogli quel colore e quel calore in più per il quale tanta gente affolla gli stadi. Ma non tutti possono avere l’interesse e la sensibilità di uscire dal proprio orticello fatto di calciomercato, schemi di gioco e interviste per comprenderlo.

Manca la volontà politico-istituzionale? Forse su questo mi trovo persino d’accordo, anche se penso che con tale enunciato Arturi intenda tutt’altro. Di sicuro in un Paese maturo e volenteroso, politica e istituzioni la smetterebbero di mostrare sempre il lato emergenziale del calcio e del tifo e penserebbero al modo di rendere l’intero movimento più vivibile, valorizzandone sia l’aspetto passionale/folkloristico che quello tecnico. Ma ho l’impressione che dietro quel “volontà politico-istituzionale” si nasconda l’idea di aumentare ancor più l’aspetto repressivo della faccenda. Del resto non stiamo parlando di una chiacchierata giornalistica, ma di una risposta nettamente assertiva. Cosa già di suo deprecabile.

Quanto all’eliminazione del concetto stesso della curva, pur apprezzando molto gli sforzi della questura della Capitale e di altre istituzioni locali, siamo ancora un po’ distanti. Il prolungato «sciopero» dei curvaioli della Roma, infatti, è avvenuto dopo che i suoi abitanti avevano comunque comprato i relativi abbonamenti, marcando così il territorio. Un’idea molto semplice e a costo zero è procedere alla vendita casuale e nominale dei posti, in modo che l’acquirente di un abbonamento non possa scegliere se non la tipologia di prezzo, vedendosi poi assegnato il posto in una curva «qualunque» e non in una specifica. Se noi consentiamo infatti l’acquisto di 15.000 abbonamenti in un settore a scelta dell’acquirente, siamo punto e a capo: l’effetto branco e di proprietà non sarà rimosso.

Sembra un po’ di sentir parlare la famosa Massaia di Voghera. Ma costituendo questo una fonte da cui attinge l’opinione pubblica credo sia giusto puntellare determinati passaggi. Gli “abitanti” della curva, come li chiama Arturi, non hanno marcato proprio nessun territorio. Da liberi cittadini – e soprattutto da liberi clienti quali questo calcio li obbliga ad essere – lo scorso anno si sono abbonati acquistando un prodotto per poi trovarsene “servito” un altro. Al signor Arturi chiedo: se sua moglie va al supermercato a comprare del vino e quando arriva a casa scopre che le hanno venduto la Coca Cola cosa fa? Lo accetta o lo porta indietro?

Ecco, per molti non è stato possibile neanche riportarli indietro quegli abbonamenti. Mentre la maggior parte del pubblico – e non solo gli ultras, basterebbe consultare i numeri forniti regolarmente dall’AS Roma – ha deciso pacificamente di protestare contro dei provvedimenti che riteneva ingiusti. Immagino che per alcuni sia davvero impossibile pensare che un essere umano protesti per difendere un proprio diritto, ma così è stato. Il problema è che con quel “marcare il territorio” si vuol rimandare il lettore medio al suddetto folk devil. Quello che “spaccia e gestisce il giro della prostituzione all’interno delle curve”. Anzi, la prossima volta le consiglio vivamente di inserire anche questo passaggio, ci sta sempre bene.

Impedire al tifoso di scegliere a quale settore abbonarsi? Innanzitutto va detto che tale politica fu intrapresa anni fa dal Paris Saint-Germain, con infinite proteste da parte di supporter e associazioni di consumatori. Risultato? Quest’anno la società ha permesso nuovamente ai tifosi di scegliere in quale curva stare e agli ultras di tornare a fare il tifo in un settore. Evidentemente qualcosa di sbagliato c’era.

Inoltre vivendo in un libero mercato sarebbe a mio avviso un abuso bello e buono costringere Tizio e Caio a non scegliere il proprio posto. È questo – oltre alle allucinanti limitazioni che forse Arturi non conosce – il principio che ha indotto i tifosi di Roma a protestare per le barriere: l’impossibilità di stare gli uni vicini agli altri, scegliendo dove e come seguire la partita in base alla propria volontà. Ma è davvero così difficile uscire dalla trappola mentale del “divieti” per migliorare le situazioni ed entrare in quella della crescita collettiva?

“L’ordine pubblico – continua – all’interno delle curve stesse (come di ogni settore dello stadio) deve essere garantito dalle forze dell’ordine o da una tipologia di steward molto, molto diversa da quella che vediamo oggi all’opera”.

Le forze dell’ordine già si occupano di garantire l’ordine pubblico all’interno e all’esterno degli stadi, forse questo sfugge al giornalista. Come sfugge che spesso l’utilizzo degli agenti avviene in maniera esagerata, rappresentando un enorme costo per la collettività.

Sugli steward ha ragione: smettiamola con il caricare di responsabilità ragazzi sottopagati che spesso non sanno neanche indicarti dov’è il botteghino per comprare un biglietto. Magari formiamo personale che sappia interagire con i tifosi (come avviene in tutto il mondo civilizzato) ancor prima di reprimerli e trattarli come bestie. Tante volte il clima migliora anche grazie al dialogo. E se i tifosi con determinati personaggi non ci vogliono proprio parlare – al di là della loro retorica soldatesca – ci sarà pure un motivo, no?

“Parlavo di resa di club e Stato nei confronti degli ultrà, partendo da un passo della memoria difensiva mandata dalla Juve al Procuratore sportivo. Ma non mi sfugge che altre categorie importanti non brillano per coraggio. I giocatori, per esempio. Nonostante molti di loro vengano pestati dai propri tifosi (l’elenco di questo tipo di mascalzonate è in costante allungamento), il timore di guai grossi produce ambiguità e vicinanza. Mi chiedo perché, per esempio, la squadra della Roma al completo abbia inteso omaggiare i rientranti nella curva Sud, che era piena in diverse altre precedenti partite di coppa: ma quegli spettatori «normali» non hanno ricevuto alcun omaggio prepartita. Rimane purtroppo isolato il caso esemplare di Paolo Maldini, che prese le distanze dagli ultrà del suo Milan perfino nel momento della festa del suo ritiro, pagandone le conseguenze in termini di vergognosa contestazione”.

Resa dello Stato nei confronti degli Ultrà? Mi sembra si esageri. Occorrerebbe contestualizzare i fatti. Se si parla delle indagini in corso attorno alla Juventus si deve prendere come parametro soltanto quello. E tuttavia non mi sembra che lo Stato stia a guardare con fare silente. Se poi si dice che lo stesso ha dichiarato la resa nei confronti del mondo ultras si deve anche argomentare. In che modo? Quando? Perché?

Negli ultimi quindici anni andare allo stadio è diventato più difficile che evadere da un carcere e sulle gradinate è vietato praticamente tutto, con particolare attenzione per quegli strumenti che da sempre hanno costituito la faccia più passionale e popolare dei tifosi italiani: bandiere, tamburi, megafoni e striscioni. Roba che attualmente i supporter di tutti i Paesi più evoluti d’Europa ci hanno copiato con giubilo. Lo sa questo Arturi?

Infine, il perché Damiano Tommasi possa arrogarsi il diritto di pretendere che i giocatori – di fatto –  non esultino neanche più con i propri tifosi è racchiuso tutto in queste ultime righe. Praticamente i calciatori della Roma – secondo Arturi – sono addirittura colpevoli di aver ringraziato la propria curva tornata “a casa” dopo due anni. Che questo genere di concetti possano essere espressi e appoggiati solo in Italia mi pare lapalissiano. Basterebbe assistere alle numerose immagini che ritraggono squadre scandinave, francesi, tedesche e via dicendo “abbracciare” le proprie tifoserie organizzate senza che dopo qualche minuto scatti il tribunale dell’Inquisizione griffato Osservatorio.

Paolo Maldini rimane un caso esemplare? Ognuno può avere la propria idea in merito. Di certe bisognerebbe conoscere bene le situazioni per giudicare così drasticamente. E pur non condividendo il comportamento della Sud milanista in quel frangente mi sarebbe difficile emettere una sentenza con tanta facilità.

Simone Meloni