L’anima aggregativa e popolare di una tifoseria emerge e si afferma soprattutto in un periodo di grandi e gravose tensioni sociali. Perché quest’anima trasversale, capace di portare per le strade di Roma oltre tremila persone, ha rappresentato per una sera la più grande valvola di sfogo per ragazzi, ragazze, uomini e donne. Tutti dietro un unico striscione, sotto una masnada di torce e fumogeni e al vento di decine di bandieroni, intenti a spazzar via l’afa del luglio capitolino.

Diranno in molti, soprattutto quelli intenti a far morali e dare lezioni di vita (ormai spina dorsale della nostra epoca): “Ma invece di scendere in piazza per la Roma o per il calcio, perché non vi battete per cose più importanti?”. Come se una cosa escludesse l’altra e come se si volesse totalmente ignorare l’anemia di valori e senso di lotta che ormai dilaga nel nostro Paese da quasi venti anni. Dietro queste domande da bar non c’è mai un’analisi logica. Ma solo la voglia di gettare tutto nel calderone e acuire ancor più il disprezzo verso la gioventù o verso chi vuol provare a ritagliarsi un pizzico di gioia in un periodo torbido come questo. Del resto per un’opinione pubblica ormai esasperata da due anni di (dis)informazione feroce volta a creare una infame guerra tra poveri, il corteo del 22 luglio, come i festeggiamenti per la vittoria della Nazionale agli Europei, sono il male assoluto da combattere ed estirpare. E attenzione, io non sto parlando tanto delle misure anti Covid o di eventuali restrizioni, ma del modo con cui il popolo viene indottrinato verso queste. Del modo con cui si aizza la gente a volere più repressione, più restrizioni, anche laddove potessero risultare illogiche e persino controproducenti.

I ragazzi partiti da Piazza del Popolo rappresentano il perfetto capro espiatorio. A conforto delle lagne della Prefettura che – dopo il pullman scoperto dell’Italia imposto, a loro dire, dal ferreo Bonucci – ammette candidamente di non saper lavorare in città, minacciando denunce postume agli organizzatori. Passando per le accuse degli ineffabili media di essere infami untori. Magari alla stregua di runner, ciclisti, camminatori e organizzatori di feste e cene private. Tutti con il dito puntato. Sport nazionale per un Paese che negli ultimi due anni ha messo nero su bianco la propria scarsa dignità sociale. In tanti fra questi, durante una guerra, potrebbero recitare il ruolo di delatori o venditori di un proprio caro in cambio della propria incolumità.

Diciamo che la pandemia ha solo accelerato un processo di disgregazione già in essere da anni. 

E allora tanto vale prendersi il buono di questo serpentone umano che lentamente si snoda per Via del Corso arrivando dapprima a Via degli Uffici del Vicario per stappare la classica bottiglia della mezzanotte, quella dei 94 anni, e poi dirigersi a Fontana di Trevi che, per l’occasione, si colora di giallorosso lasciando campeggiare sulla sua “balaustra” uno striscione che mette vicino due parole talmente semplici ma talmente complesse a queste latitudini: Curva Sud. Quella curva che ancora una volta, seppure per una sola serata, ha unito generazioni e diversi ceti sociali sotto un unico amore, quello per la Roma. Lo specchio di una città che vive per il calcio e che, malgrado sia divisa in due dal pallone, non perde occasione per mostrare al mondo il battito delle proprie vene. 

A vederli in faccia si legge la voglia di tornare su quegli spalti che mancano come il pane. Si legge la voglia di riaccendere una parte essenziale delle proprie vite, ormai messa in stand by da marzo 2020. 

Sono state un tempo gaudie e leggere queste serate di luglio. Si partiva da casa con la consapevolezza che si trattasse solo di una appendice estiva delle vite quotidiane, perché l’essenza sarebbe prevalsa solo e soltanto in curva. Al cospetto del campo. Al cospetto di quel tempio che sin da piccoli abbiamo venerato. Adesso nel limbo è diverso. Vedersi là come una comunità, come un granitico blocco di due colori, fa comprendere quanto il tifo romanista sia difficilmente leggibile ma meravigliosamente magico (una parola non casuale nel gergo di questa tifoseria). 

Un’altra notte cade sulla Capitale. Ed è una notte che vede i suoi monumenti e le sue anime sollazzarsi per il calore della gente. Ma è anche una notte di interrogativi e dubbi. Di incertezze sul futuro. Su quanto e se si potrà tornare ad esser ciò che si è sempre stati. Oltre ogni disputa ideologica ed oltre ogni divisione sociale. Perché in fondo la Curva Sud per le strade di Roma è piaciuta a tutti. Almeno a quelli che il mondo Roma lo hanno bazzicato pure a un miglio di distanza. La Curva Sud è quella che ti fa cantare un coro nel silenzio del posto di lavoro o che ti fa fischiettare qualcosa nel momento di difficoltà. La Sud è quella che ti ricorda quanto non vada mai presa sul serio una sconfitta. Perché sì, ce ne sarà un’altra. E un’altra ancora. Ma in fondo il giorno giusto arriverà. E pure se sarà uno solo, pure se varrà solo per qualche ora… beh, ne sarà valsa la pena. Perché i protagonisti saranno sempre loro. Anche sotto di sette gol e anche se irrisi da tutti. 

“…quanno che comincia la partita ogni tifosetta se fa ardita, strilla Forza Roma a tutto spiano con la bandieretta in mano perché c’ha er core romano!”

Simone Meloni