Ci eravamo lasciati con gli occhi umidi di lacrime e la gioia ubriaca di tutte quelle persone che tra Roma e Tirana hanno riassaporrato dopo anni il dolce sapore di una vittoria. Increduli e storditi nel credere che sì, stava succedendo per davvero. Il manto verde aveva arriso ai colori giallorossi, trasformando delusioni e annate piatte in un solo, unico, groviglio di esultanze e sentimenti.

Vivere il momento è importante. È l’essenza della vita. Sebbene poi, a un certo punto, credo sia sempre necessario riprendere in mano il timone e ricominciare a percorrere la via che ti ha portato a toglierti qualche soddisfazione. Non si vive di sola gloria passata e la fame di futuro dev’essere sempre presente. È l’unico modo per crescere, maturare e divenire sempre più granitici lungo il percorso. Va detto, pertanto, che al netto delle feste smodate, il popolo romanista ha mantenuto comunque un suo equilibrio. Folle? Sicuramente. Passionale? Ci mancherebbe. Ma non più eccessivamente borioso. Quello del “vincemo, famo, dimo” che storicamente ha rappresentato una delle zavorre di questa piazza. 

Il 22 luglio di parecchi anni fa, ormai, qualcuno ebbe l’idea embrionale di presentarsi in Via Uffici del Vicario – a pochi passi dal Parlamento e di fronte la storica gelateria Giolitti – con una bottiglia e la volontà di dare gli auguri ai colori amati. Nessuno avrebbe pensato che, con il trascorrere del tempo, questa idea non solo sarebbe stata riproposta in varie città d’Italia, ma sarebbe diventata a dir poco vitale, attesa e frenetica ogni anno. Tanto da portare ad iniziative “accessorie”, che da qualche anno si sviluppano presso i celebri monumenti della Capitale. Un modo per riappropriarsi, almeno qualche ora, di tutta quella bellezza che troppo spesso a Roma vediamo lontana da noi. Con sguardo più agro che dolce. 

Alle 22 Piazza della Rotonda (il Pantheon) trabocca già di gente armata di bandiere, torce e fumogeni. I ragazzi con i megafoni stanno cercando di coordinare il piccolo corteo che dovrà portare davanti al civico 35 di Via Uffici del Vicario. Non è impresa facile e in tanti sottovalutiamo la responsabilità che di anno in anno la Sud si assume, guidando una masnada di scalmanati (sic!) per quei vicoletti che diventano romanticamente irrespirabili a causa del fumo giallorosso che li pervade. Una voglia di vivere e tifare che non può lasciare indifferente. Ciò che resta di noi, della nostra spensieratezza e del nostro essere bambini innamorati di un pallone e di una bandiera. 

“La Roma sì, il Feye no” urlano ormai tutti i presenti sulle note di “Never going home” di Kungs. A suggellare un coro diventato cult dopo la finale di Tirana, un guizzo di goliardia che affonda le sue radici nel tipico modo, dissacrante, di fare ironia a Roma. Quella che per anni ha reso il derby una vera e propria rappresentazione teatrale dello schietto sarcasmo cittadino. 

E se davanti al corteo ha campeggiato l’insegna della strada natia, fedelmente riproposto a mo di striscione, ancor più energica è stata la spinta che ha portato l’intero serpentone romanista in quel di Castel Sant’Angelo. Dove la serata è stata coronata da uno spettacolo scenografico e pirotecnico degno di nota. Senza scendere troppo nei particolari del mio difficile rapporto con il fiume della Capitale, devo dire che in occasioni come queste riconquista appieno la mia stima. Vedere tutte quelle decine di torce riflettersi nelle sue acque e, di rimando, abbracciare la bellissima struttura di Castel Sant’Angelo è un’immagine che mi rimarrà impressa per lungo tempo. Così come lo stendardo con la data e lo storico stemma ASR “braccato” dal fondatore Italo Foschi. Un’idea bella e ben realizzata, che ancora una volta mette in evidenza quanto la Sud abbia lavorato su sé stessa nelle ultime stagioni, riuscendo a creare un importante discorso unitario che giocoforza si riflette prepotentemente anche sull’aspetto estetico. 

Proprio dove durante il giorno migliaia di turisti si riversano percorrendo il Lungotevere per poi imboccare Via della Conciliazione e raggiungere San Pietro, si continua a cantare e sventolare. Sono quasi le due del mattino e in una città che fa molta fatica nello sfoderare il suo lato godereccio/notturno, è bello vedere stranieri e curiosi con le facce sorridenti di fronte a questo insolito spettacolo. 

Gli ultimi cori si diradano sotto un caldo atroce, che a memoria difficilmente ricordo così prepotente. La bandiera giallorossa che lentamente si fa sempre più piccola nello specchietto retrovisore della macchina è la congrua buonanotte a questa infinita serata di mezza estate.

Simone Meloni