Chi vuol fermarsi al semplice significato estrinseco di uno striscione o è in malafede o non ha le qualità tecniche/intellettive per fare analisi di una situazione.

“No al nuovo stadio” sarebbe il problema? I tifosi della Roma, quelli della Curva Sud, vorrebbero ostacolare la costruzione del nuovo impianto voluto dal presidente James Pallotta? Fermo restando che non si sa con quali mezzi potrebbero farlo, a nessun viene in mente che dietro a quel messaggio se ne celi uno molto più irriverente e “velenoso”?

Forse ci si scorda troppo velocemente di quanto questa presidenza abbia troppo spesso snobbato i tifosi per poi chiederne aiuto quando – a suo modo di dire – i “poteri forti” tramavano contro la costruzione dello stadio. Una richiesta avvenuta, ovviamente, nello stesso momento in cui questi venivano pugnalati alle spalle con una delle conferenze più tristi, infime e “cattive” della storia giallorossa.

Un modo di approcciarsi che fondamentalmente è proprio del romano e del suo modo di porsi. “Ci stai distruggendo la Roma, allora speriamo non te lo facciano fare ‘sto stadio!”. Già letta così sarebbe differente. Già letta così farebbe capire la volontà guascona e “dispettosa” di chi ieri pomeriggio si è riversato in Piazza Marconi, sotto la nuova sede della Roma. Scandendo slogan contro il presidente, Baldissoni, Baldini e in favore di De Rossi e della Roma.

C’erano più di mille persone. E questo sarebbe il primo dato di cui tener conto, considerato l’orario (alle 15) e il giorno lavorativo. Malgrado le divisioni, malgrado anni di appiattimento sotto la martellante spinta delle grancassa mediatica “di regime” – quella del “va tutto bene” mentre il mondo ti crolla attorno – toccare De Rossi ha aperto inesorabilmente il vaso di Pandora. Ha fatto saltare gli ultimi equilibri rimasti e invitato anche i più “conservatori” a far scattare la protesta.

Il mondo Roma è un universo complesso, turbolento e che troppo spesso, negli anni, ha risentito mortalmente dei suoi isterismi e dei suoi eccessi. Ma guai a toccare alcuni punti cardine che in oltre novant’anni di storia hanno segnato il modo d’essere del club e dei propri tifosi. Guai a infangarne il legame con la città, a screditarne i suoi fedeli seguaci e a compiere vilipendio verso chi quella maglia l’ha indossata comunque con onore e continuativo impegno. Cosa che nel 2019 non è esattamente scontata e comune.

L’affaire De Rossi è solo la punta di un iceberg profondo, che si è stratificato anno dopo anno. È divenuto sempre più grande e imponente con lo storico simbolo cambiato, con i tifosi insultati a più riprese, con i risultati sportivi messi quasi sempre in secondo piano o comunque non figli di una programmazione sana e lungimirante. Ma soprattutto si è ingigantito a causa della sistematica, scientifica e mirata voglia di abbattere ogni baluardo dell’essere romani e romanisti. O comunque di riuscire a entrare nel cuore di questi.

Se parliamo di scelte tecniche si può essere d’accordo o no. Anche se poi i risultati del campo parlano chiaro e le cessioni di determinati personaggi, in questi anni, sono risultate incredibilmente dannose per la forma mentis di una squadra ormai proverbialmente debole e senza capacità di reazione alle avversità.

Se c’è la volontà di separare la Roma dai romanisti lo si dica con chiarezza. Anzi, forse con il non rinnovo di De Rossi lo si è detto palesemente. Rimangono in piedi solo i suoi tifosi e, ahinoi, non è detto che anch’essi non diventino bersaglio degli anti-romanisti incalliti. Quelli che il giallo ocra e il rosso pompeiano lo odiano davvero e con essi detestano tutto il bagaglio folkloristico, passionale e tradizionale che si portano dietro.

Ecco perché il problema non è certo uno striscione contro l’eventuale costruzione di un nuovo stadio. Ma ciò che questo significa. E se si pensa di poter sostituire un pubblico verace e sanguigno come quello della Roma si sappia che non è un grande operazione di marketing. Neanche i grandi club europei, generalmente, prendono a calci le proprie tradizioni.

Simone Meloni