Cosa ci trasmette una foto? A noi che spesso scartiamo quelle della famiglia per concentrarci su quelle del tifo. A noi che analizziamo striscioni, bandiere e prime linee dei gruppi. A noi che per le foto spesso sacrifichiamo tempo e affetti, un solo scatto può dire tante cose. Ma anche nasconderne altre.

Le foto sono utili per carpire, comprendere e farsi un’idea. Ma non per dare un giudizio definitivo. Le foto traggono in inganno e spesso raccontano realtà differenti. Voi direte che tutto sommato è normale: viviamo nell’era dei filtri Instagram che migliorano anche la ragazza o il ragazzo meno bello al mondo. E le immagini fuorvianti sono praticamente la colonna che regge la nostra esistenza.

Ma bisogna utilizzare la testa e pensare che giudizi definitivi se ne possono dare solo dopo aver visto le cose con i propri occhi ed essersene fatti un’idea con la propria testa.

Premessa fondamentale: il discorso che sto per fare credo sia applicabile a quasi tutte le curve italiane, soprattutto nel caso delle grandi piazze in Serie A.

Prendiamo le foto casalinghe della Curva Sud. A un “non avventore” dell’Olimpico sembrerebbe di stare di fronte a un maestoso spettacolo di tifo: centinaia di bandiere, decine di bandieroni, manate e tifo infernale. Per tutta la partita. Questo “neofita” sarebbe però fuorviato. Semplicemente perché trovandosi di fronte alla realtà realizzerebbe che il cuore del tifo giallorosso è ben lontano dall’essere quel catino ribollente che ha fatto della Sud uno dei settori più celebri al mondo.

Su queste colonne io cerco sempre di essere sincero, perché sono fermamente convinto che ognuno sia dotato della sufficiente intelligenza per comprendere complessivamente un’analisi. Pure quando è negativa o fortemente critica. Per cui non me ne voglia nessuno, le mie parole vogliono solo essere prive di qualsiasi retorica e distanti dalle icone mitologiche che giustamente ognuno di noi conserva in materia di tifo.

Roma, Napoli, Verona, Firenze, Torino. E potrei continuare all’infinito. Non scopro certo l’acqua calda nel sottolineare il loro declino da qualche anno. Un declino parallelo a quello del movimento ultras. Figlio delle repressione, ovvio, ma anche e soprattutto di un imborghesimento che ha modificato profondamente gli spettatori del calcio.

Certo, si badi bene, a queste latitudini due anni di barriere e una repressione al di sopra di quella già folle applicata nel resto del Paese, hanno lasciato segni tangibili. E tanti della vecchia generazione hanno detto comprensibilmente basta. Troppa discrepanza con i loro tempi, troppi paletti imposti per vedere la propria squadra del cuore. Ma sarebbe ipocrita e facile addurre tutte le colpe delle attuali defaillance soltanto a queste ragioni.

La Sud troppo spesso pare quel famoso alunno a cui i professori si rivolgevano dicendo “è bravo ma non si applica”. Ed è proprio là che parte la mia critica.

Perché si deve criticare chi ha potenzialità infinite e ne utilizza solo un quarto. Chi è grande ma troppo spesso dà il minimo sindacale. Di certo non sprecherei tempo e “inchiostro” per chi è mediocre e mediocre vuol rimanere.

Non è vero che le nuove generazioni sono prive di valori e senza voglia di migliorarsi. Le nuove generazioni sono semplicemente diverse dalle vecchie. È una banalità, ma qualcuno se la dovrebbe mettere in testa e farsi una bella analisi di coscienza. Perché vecchi e giovani debbono essere gli uni il continuo degli altri e non gli uni contro gli altri.

La società negli ultimi 30 anni è profondamente cambiata e non possiamo pretendere che i diciassettenni di oggi non tendano a esser schiavi di smartphone e social. Noi che non siamo nativi digitali abbiamo l’obbligo morale di aprir loro gli occhi e insegnargli che c’è un mondo anche senza la virtualità. Un mondo in cui allo stadio si canta per 90′ e non si guarda il Livescore. Un mondo dove è meglio sventolare una bandiera e perdersi qualche azione di gioco rispetto al guardare continuamente il maxischermo che proietta la partita.

Vivere la curva oggi non è facile. È vero che non ti fanno portare gli striscioni, ti multano se sali in balaustra, ti diffidano se esulti accendendo un fumogeno e ti chiudono il settore se canti un coro politicamente scorretto. Ma la voce non è ancora bandita. La voce si può far uscire. Si deve far uscire. Il problema è che manca la cattiveria, manca quella consapevolezza di essere il dodicesimo in campo e quella voglia di prevalere sempre e comunque. E troppo spesso ci si perde nelle lotte di quartiere, mancando clamorosamente l’obiettivo principale, che dovrebbe esser quello di sostenere la squadra in campo e dar lustro a un settore che la storia del tifo l’ha innegabilmente fatta.

Questo non vuol dire, ovviamente, che la Sud sia da buttare. Ma che è da migliorare. E dire il contrario, parlare di “grande settore”, vuol dire mettersi i paraocchi e non essere onesti. Negare che i cori vengano scanditi troppo velocemente, smorzandosi anzitempo, o che in determinati momenti della partita, al di fuori dei blocchi ultras, tutti si soffermino solo a seguire la gara non sarebbe corretto proprio nei confronti di chi per il tifo della Roma vuole il meglio.

È chiaro che, al cospetto delle prove incolore dei giocatori, la Sud sia comunque sempre l’unica a uscire con la testa alta dallo stadio. Con la consapevolezza di esserci ovunque e a prescindere da ogni vicissitudine sportiva. Ma, al di là di ogni eccessiva retorica, bisognerebbe sempre chiedersi se si è dato tutto o se pure dal settore popolare a volte si affronti la partita con eccessiva sufficienza e svogliatezza.

Se poi vogliamo parlare delle motivazioni sono disposto ad aprire un bel capitolone su quanto seguire il calcio italiano possa essere noioso e deprimente. Partite di un livello imbarazzante, campionati ormai tutti uguali. Una volta potevi almeno rifarti con il confronto sugli spalti. Ma in questo caso, con la trasferta vietata ai non tesserati, quali stimoli ci possono essere?

Ma soprattutto, questo famigerato protocollo, come viene applicato? Per quale criterio i bergamaschi vengono mandati a Genova con la Samp e non a Roma? Sappiamo bene che venire all’Olimpico è ormai come entrare in un bunker, davvero difficile (se non impossibile) il contatto tra le opposte fazioni. Se si è garantita la sicurezza per il cospicuo numero di nerazzurri tesserati arrivato nella Capitale, non ci sarebbe stato problema alcuno neanche per l’arrivo degli ultras.

Troppo facile mandare le tifoserie a Verona col Chievo, a Reggio Emilia col Sassuolo o nelle trasferte più tranquille. È stato sicuramente un passo avanti, siamo d’accordo, ma la vera dimostrazione di forza verrà data quanto tutti andranno ovunque senza tessera. Sino a quel momento la presunta “eliminazione della tessera del tifoso” sarà soltanto un subdolo strumento propagandistico, infarcito di retorica e paroloni.

Chiudo con il responso del campo: un successo vigoroso e sofferto dell’Atalanta, che si conferma ammazza-grandi dopo la vittoria di Napoli in Coppa Italia e quella di Milano sponda rossonera. Un periodo d’oro per gli orobici che verranno accolti, al loro ritorno, da centinaia di tifosi all’ingresso dell’aeroporto di Orio al Serio. Laddove finalmente le pericolosissime bandiere, i dannosi striscioni e la paurosa voce potranno esplodere senza divieto alcuno.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr.