Tredici anni. È il lasso di tempo trascorso dall’ultima presenza bergamasca a Roma, sponda giallorossa. Era il 2006 e in molti ricorderanno il turbolento prepartita culminato con l’accoltellamento di un supporter orobico.

Tredici anni dopo il semaforo verde dell’Osservatorio ha permesso ai lombardi di tornare a Roma senza tessera del tifoso, con la possibilità di riaccendere una delle sfide storicamente più sentite d’Italia.

L’orario è di quelli che giusto una mente malata – o con seri traumi infantili, scegliete voi – può partorire: si gioca alle 19 di un mercoledì lavorativo. Inutile descrivere il Lungotevere intasato, le strade attorno allo stadio congestionate per la concomitanza tra tifosi e gente solamente volenterosa di tornare a casa dagli uffici e le conseguenti file a tornelli e prefiltraggi. Il perverso gusto di procurare evitabilissimi disagi e inconvenienti alla gente è uno sport tutto italiano, a cui ormai abbiamo fatto il callo.

L’Olimpico presenta tutto sommato un discreto colpo d’occhio, sebbene i buchi siano quasi fisiologici considerando i molti che hanno dovuto rinunciare a causa dell’orario lavorativo.

La Sud scalda i motori scandendo diversi cori contro i bergamaschi, che fanno il proprio ingresso a partita iniziata, come da miglior tradizione delle Questure italiane.

Ora, sto per fare una riflessione di fronte cui molti storceranno la bocca. Ma per onestà intellettuale e per l’ammirazione che ho sempre nutrito nei confronti della Nord orobica non posso esimermi dal fare. Posto che la tifoseria atalantina negli ultimi mesi ha perennemente vissuto in trasferta, atteso che girare consecutivamente per l’Italia e per l’Europa ha spese abnormi, detto che Bergamo non è una metropoli e compreso l’orario a dir poco scomodo, penso che il contingente nerazzurro giunto all’Olimpico sia davvero troppo esiguo per tutta una serie di motivazioni.

Quella con la Roma è forse una delle sfide più sentite di sempre e, come detto, la trasferta libera tornava dopo quasi tre lustri. Chiaro, nessuno si poteva aspettare 1.000 supporter al seguito della Dea ma – almeno dal mio personale punto di vista – era lecito attendersi qualcosina in più. Proprio per quello che gli atalantini rappresentano e per il loro modo di vivere ultras. Proprio perché a Bergamo si respira aria di curva e ossigeno nerazzurro in ogni strada. Proprio perché so quanto l’Atalanta sia Bergamo e Bergamo sia l’Atalanta. Un connubio curva/città che in questi anni ha dato tutti i suoi frutti.

È vero che i numeri non sono tutto. È vero che – soprattutto al mondo d’oggi – conta la qualità prima che la quantità. Ma è anche vero che ci sono determinate occasioni in cui cercare di compensare tutte le componenti è comunque opportuno.

Detto ciò resta comunque bella l’accoglienza riservata loro dall’Olimpico: insulti e cori che tradiscono un’antipatia mai celata. Un qualcosa che rimanda finalmente la mente indietro di qualche anno. Del resto, facendo uno sforzo mnemonico, rivedo ancora mio padre (persona che con lo stadio ha sempre voluto avere poco a che fare) in un lontanissimo Roma-Atalanta 1995/1996 (0-1, Christian Vieri su rigore) inveire in maniera corposa contro gli atalantini nel settore ospiti. Per la serie: viva il campanilismo!

La Sud alterna un buon primo tempo a una ripresa un pochino sottotono, di concerto con la prestazione di una Roma che sbaglia di tutto sotto porta, lasciando il pallino del gioco in mano all’Atalanta che alla fine viola la porta difesa da Pau Lopez per ben due volte, confermandosi vera e propria bestia nera dei giallorossi negli ultimi anni.

Gongolano e festeggiano i lombardi che ancora una volta vedono la loro squadra primeggiare su un campo storicamente difficile. Sfolla deluso l‘Olimpico che adesso ha testa e cuore soltanto per Lecce, prossima trasferta per cui il settore è andato polverizzato in poche ore.

Simone Meloni