Premessa: il tifoso di calcio del 2023 (almeno in Serie A) è a tutti gli effetti un ingranaggio del sistema, coinvolto appieno nello showbiz creato da questo sport. Anzi, ha pure un ruolo importante: quello di creare l’ambiente utile allo svolgimento dell’evento, venduto a suon di miliardi alle televisioni e a tutto il sistema mediatico che da esso trae beneficio. Anche io, che scrivo ormai da diversi anni sulla Roma, sono parte dell’ingranaggio. Anche io, nella mia piccolissima, minuta e impercettibile percentuale, aiuto il baraccone della Serie A a darsi una parvenza di interesse e fascino. Tutti. Dal primo all’ultimo. Quindi il discorso che sto per fare è forse anacronistico. Ma dato che in tutto questo sistema circense di cui facciamo parte, io resto convinto che lo spirito che ci guida – quello buono, quello che del calcio ci ha fatto innamorare e che ancora oggi ci fa vedere tutto con una patina d’illusione – sia fondamentale affinché noi preserviamo l’indole passionale e senza nessun’altra finalità.

Se non quella di scrivere storie (per me), fare il tifo (per gli ultras) e vedere vincere la propria squadra per quel tifoso che allo stadio ci va a prescindere dal risultato e dalla stagione. Eppure il rischio, anche in una piazza per certi versi “tribale” come Roma, è quello di vedersi risucchiati nell’omologazione stantia e anonima. Quella in cui è la gracchiante voce dello speaker a dettar leggere, sono le musiche da discoteca o da hit cafona a dettare lo spartito dei cori da seguire e quella in cui dopo il gol lo stadio canta a squarciagola l’odioso e pacchiano jingle tanto di moda.

Sia chiaro, l’Olimpico pieno è un patrimonio a cui non si deve rinunciare. Una bellezza riconquistata appieno in questi ultimi due anni e un bel vedere per chi ama andare allo stadio. È tutto bello e poetico, finché non si tramuta in “evento”. Cos’è l’evento? È un incontro di gala, è la giornata in cui tutti vengono a fotografare e a riprendere questo o quell’altro personaggio, a farsi i selfie da postare sui social e a presenziare tanto per dire di averlo fatto. Per poterlo raccontare. E non per poterlo vivere. La differenza è sostanziale. Così come differente è anche il risultato finale: quando si vuol vivere un qualcosa e non “farla tanto per…” ciò che ne esce fuori sono miscugli esplosivi di umanità che rimangono impressi. Sono i Roma-Bodo. I Roma-Leicester. Giusto per rimanere vicini in un arco temporale.

Sarà stata la durezza dell’impatto con la Serie A dopo mesi passati a girovagare sui campi delle categorie minori o negli stadi dell’Europa Orientale. Sarà che sto diventando vecchio, criticone e anche un pochino puntiglioso. Ma io penso che i 62.000 dell’Olimpico (bolognesi compresi) avrebbero potuto dare molto di più. E non parlo di colore (quello è sempre esemplare) e nemmeno di attaccamento (al popolo romanista davvero non gli si può imputare nulla su questo, mentre ai bolognesi di oggi numericamente posso solo fare i complimenti, mai stati in 1.300 all’Olimpico), ma parlo di tigna. Di rumore. Di essere rognosi, fastidiosi. Sì, è vero, la Roma giocherà pure male e non scalderà i cuori. Ma allora? La Roma nella sua storia quante volte ha fatto stropicciare gli occhi e contestualmente ha vinto qualcosa? Ma soprattutto, il tifoso di calcio (salvo quelli degli squadroni iper vincenti, che io neanche considero) è diverso da tutti gli altri perché è uno capace di rincorrere l’arbitro da una parte all’altra del campo per insultarlo anche solo per un corner negato. Pure se sta perdendo 0-4.

Roma ha una grande fortuna, quella di essere una città letteralmente folle per il calcio. Sarà perché in altri comparti quotidiani è difficile far convogliare passione, voglia di ribellione e aggregazione. Tuttavia la grande quantità di ragazzi che costantemente si avvicina allo stadio rappresenta una miniera d’oro da gestire bene e su cui costruire l’intero futuro della tifoseria. Chiaro che oggigiorno, paradossalmente, sia molto più complesso rispetto al passato. Oggi è difficile far comprendere a un ragazzo di diciotto anni che anziché utilizzare tutta la partita il cellulare per chattare, fotografare e postare, deve dedicarsi anima e cuore a spingere la palla in rete.

Questo passaggio generazionale è una zavorra per tutta Italia, non certo solo per Roma. Lo è perché come Paese non siamo in grado – nella stragrande maggioranza dei casi – di interagire tra vecchi e giovani. Lo è perché non siamo sufficientemente “scolarizzati” nell’utilizzo dei dispositivi elettronici e non capiamo la cattiva influenza che alla lunga questi possono apportare alle nostre esistenze. Senza contare che sovente proprio chi dovrebbe dare il buon esempio mostra il lato oscuro della medaglia.

Il dato di fatto è che bisogna prender coscienza – almeno in ambito stadio – dell’importanza che ognuno può avere nel costituire l’ambiente. Nella bellezza che le gradinate possono assumere con un contenuto magari più “ignorante”, meno votato a canticchiare le hit cafone si cui sopra e più dedito a metter paura agli avversari e a sgolarsi. Questo dev’essere il fulcro, l’obiettivo: il non partecipare a un evento. Ma l’andare alla partita. Con le proprie gambe e con la propria voce!

Per la cronaca sportiva: la Roma conquista i primi tre punti del 2023 battendo il Bologna grazie al rigore realizzato da Pellegrini in avvio di match.

Simone Meloni