Clima tutt’altro che disteso all’Olimpico, per una Roma reduce da una disastrosa prima parte di campionato, contestata dal suo pubblico già nelle precedenti sfide. Dopo tanto tempo si torna a giocare alla luce del sole, col fischio d’inizio fissato per le 15, cosa più unica che rara di questi tempi. Nel settore ospiti prendono posto circa cinquecento supporter felsinei, come sempre distribuiti in maniera visivamente indegna da parte di steward e polizia. Ancora una volta mi preme sottolineare quanto sia brutto e controproducente in termini di tifo, disporre gli ospiti per lungo anziché per largo, soprattutto in un settore grande come quello loro destinato. Un conto è quando si “rischia” la vicinanza con la Nord, di conseguenza, il classico e folkloristico lancio di oggetti e fumogeni, un altro, invece, è avere qualche centinaio di tifosi e costringerli alla fila indiana. Ma mi rendo conto che fare addirittura i sofisti su queste cose sia fuori luogo, ormai bisogna addirittura ringraziare lor signori se permettono a liberi cittadini italiani di entrare in un luogo pubblico come lo stadio e seguire una partita di calcio senza trovare ostacoli discriminatori dovuti alla provenienza geografica o al possesso di tessere. Che poi, beninteso, la Serie A si salva parzialmente dallo stillicidio proibizionista che riguarda il football italiano dalla C in giù, soltanto perché poi dovrebbero fare i contri con Sky, DAZN e compagnia bella, poco inclini a vendere il proprio prodotto con stadi vuoti e spenti.

Tornando alla sfida di oggi: dopo i primi minuti di gioco e il vantaggio emiliano, dalla Sud cominciano a piovere fischi copiosi, che successivamente portano a togliere gradualmente gli striscioni e lasciare il settore quasi vuoto dal secondo tempo in poi. Una protesta verso la squadra e la società, il gesto estremo che qualunque tifoso possa fare: abbandonare gli spalti mentre la propria squadra – il proprio simbolo, la propria appartenenza – è in campo. I sentimenti, si sa, sono irrazionali, e non è facile decidere in queste circostanze. Di certo ancora una volta i calciatori della Roma hanno potuto “godere” di un clima ostile ma non arroventato, uscendo dal campo a fine partita (vinta 2-3 dal Bologna) con dei flebili fischi. Purtroppo, considerato che sono oggi la maggior parte degli uomini che scendono in campo, credo che difficilmente possano capire la gravità della situazione e l’estremità del gesto fatto dai gruppi della Sud. E senza dubbio gli va di lusso rispetto a un passato in cui era possibile asserragliarsi nei pressi della porta carraia o, peggio ancora, scatenare le proprie ire a Trigoria, senza finire oggetto di denunce, diffide e repressione selvaggia. Diciamocelo: i calciatori di oggi sono dei pascià anche rispetto a quelli di un decennio fa. E la cosa fa ridere se si pensa che gente come Totti o De Rossi, in più occasioni, si è presa contestazioni pesanti e anche “fisiche” senza batter ciglio – anzi, chiedendo anche scusa -, mentre qualcuno adesso neanche si sogna di avvicinarsi al settore o prendersi le proprie responsabilità in conferenza stampa o dopo una sonora sconfitta. Salvo rare eccezioni parliamo di viziati (qualcuno anche miracolato dall’infimo livello tecnico che vige attualmente) che difficilmente comprendono cosa significhino per la gente i colori e il simbolo che portano sulla casacca.

Nella ripresa, l’unica componente ultras che rimarrà all’interno dello stadio, senza togliere gli striscioni e continuando a “duellare” vocalmente con i dirimpettai rossoblù e a contestare la squadra, sarà il gruppo situato in Nord lato Monte Mario. Per quanto concerne il settore ospiti, come detto la prova canora è resa sicuramente difficile dalla disposizione, tuttavia devo dire che sinceramente mi aspettavo qualcosina di più dai felsinei, soprattutto al cospetto di una squadra che per il secondo anno consecutivo sbanca l’Olimpico e senza dubbio cammina ancora trionfalmente sulla scia della passata stagione. Intendiamoci: lo zoccolo duro nella parte bassa tifa e non smette mai di incitare i proprio colori, ma difficilmente riesce a trascinarsi dietro gli altri presenti. Menzione invece per lo striscione Ultras, che da quest’anno viene riportato per festeggiare i cinquant’anni di attività dei Forever. Bello rivederlo anche nel settore ospiti dell’impianto capitolino, da dove mancava almeno dal 2006/2007. Al suo fianco la sigla unica Bologna, con cui i restanti gruppi della Curva Andrea Costa hanno deciso di riconoscersi quest’anno in trasferta. Al triplice fischio è dunque festa per i ragazzi di Italiano, mentre l’Olimpico sfolla velocemente e tra i mugugni dei presenti. Una sconfitta che costerà la panchina al mai amato Ivan Juric e costringerà la confusissima proprietà statunitense a rimettersi alla ricerca di un tecnico per la seconda volta in pochi mesi. E qua, probabilmente, andrebbe aperta una larghissima parentesi su quanto dannosa sia la mancanza di priorità alla programmazione sportiva e tecnica in una società calcistica. Perché si può parlare di business e crescita del brand quanto si vuole, ma lo sport rimane sempre e comunque una materia dove servono necessariamente figure esperte e navigate, nonché conoscitrici profonde dell’ambiente. Dei suoi pregi e dei suoi difetti. Altrimenti si rischia sempre di gettare un pesce di mare in un fiume. Col risultato che tutti immaginiamo…

Simone Meloni