La prima notizia della serata riguarda una ormai triste consuetudine: il divieto di ingresso per la pezza raffigurante il volto di Federico Aldrovandi e per quella del gruppo Sorvegliati Speciali. Questi ultimi decideranno di non entrare nel settore facendo immediatamente ritorno nel capoluogo emiliano.

Quali perversi meccanismi mentali muovano i nostri solerti sceriffi a soddisfare le proprie smanie di onnipotenza, non ci saranno mai davvero chiari. Di sicuro questo iter mentale, che si è trasformato in prassi consolidata in quasi tutti gli stadi italiani, mette per certi versi paura.

Una paura che cela – neanche tanto bene – il lasciapassare di cui ormai le Questure sono depositarie e con cui decidono in maniera vergognosamente arbitraria cosa può/non può entrare, anche soltanto in base alle idee del dirigente p.s. di turno o all’elasticità dello stesso.

Fatta questa dovuta premessa e assodato parimenti che senza una vera e propria presa di posizione da parte del movimento taluni abusi continueranno a imperversare nei nostri stadi, possiamo passare alla cronaca di questa inedita sfida del lunedì sera.

Non un giorno normale per il calcio, ma la smania di scimmiottare la Perfida Albione, condita da un’avida sete di denaro foraggiata dalle Pay-Tv, ha reso la Serie A un campionato senza fissa dimora e senza fissi orari. Il che si aggiunge all’interesse ormai minimo che suscita un torneo ampiamente chiuso tre mesi prima del termine, dove a fare notizia rimangono solo il quarto posto e la zona retrocessione.

Tutto così entusiasmante da fare concorrenza a una puntata di Magnum P.I. trasmessa all’ora di pranzo in pieno agosto!

Il pubblico risponde tutto sommato anche in maniera sufficiente e alla fine saranno 35.000 i presenti. Numeri bassi pensando alla marea umana cui era abituata finanche la mia generazione, pure per partite di seconda e terza fascia. Ma guardare indietro ormai rischia di essere sempre più un volersi far male. Oltre che un paragone impietoso.

Chi con i numeri non va propriamente d’accordo sono i bolognesi. Ok la partita al lunedì sera, ok una squadra che ormai da anni sa regalargli solo campionati avvilenti e ok la trasferta tutt’altro che affascinante. Ma una città di 400.000 abitanti con una sola squadra, per giunta storica e gloriosa, non può portare solo una manciata di persone a quattro ore di distanza.

E lo dico nel massimo rispetto di tutti, soprattutto di quelli che poi effettivamente i chilometri se li sobbarcano ogni settimana portando il nome di Bologna in giro per l’Italia e sostenendo – come stasera – senza sosta la casacca rossoblu (troppo spesso disonorata. Repetita juvant).

Volgendo lo sguardo sulla Curva Sud, stasera il cuore del tifo giallorosso sembra volersi scrollare di dosso la prestazione a luci alterne messa in evidenza con il Porto. E complessivamente ci riesce abbastanza bene. Novanta minuti di buon tifo (a tratti il migliore della stagione), con un finale contraddistinto da un vecchio e mai sopito coro che utilizza due sole parole: “Alè alè Roma alè”. Dieci minuti ininterrotti e cantati da tutti. Una dimostrazione di quanto questo settore potrebbe essere potente e imperioso marciando all’unisono.

In campo, malgrado una prestazione tutt’altro che memorabile, la Roma vince 2-1, conquistando tre punti fondamentali in chiave Champions League.

Simone Meloni