Con il campionato che volge al termine e una Roma che ha sensibilmente migliorato il proprio trend nelle ultime giornate, l’Olimpico presenta un discreto colpo d’occhio per questa sfida che oppone i capitolini al Cagliari.

La prima annotazione da fare è sul settore ospiti, che rimarrà per tutta la partita spoglio di qualsiasi drappo ultras. Sembra che i supporter sardi siano stati fermati prima dell’ingresso, ma non conoscendo la ragione di tale decisione da parte delle forze dell’ordine, non posso aggiungere ulteriori dettagli alla vicenda.

Su fronte casalingo oggi la Sud è in discreta forma e si mette in evidenza con una performance in crescendo, culminata con un secondo tempo davvero su ottimi livelli.

Appare chiaro come la bella prestazione della squadra (che va sul 2-0 già nei primi minuti) e la ritrovata voglia di lottare in campo influisca positivamente su un pubblico che ultimamente era stato costretto ad osservare con silente depressione le scarse – e a tratti vergognose – prestazioni di giocatori più intenti a camminare in campo che a cercare di imbastire gioco.

Nel finale Kolarov fissa il risultato sul 3-0. La squadra esce, dopo parecchi mesi, tra gli applausi di un Olimpico che dimostra ancora una volta di non pretendere chissà cosa, se non impegno e rispetto per i colori indossati.

Un risultato ottenuto in tutto e per tutto da una vecchia volpe come Claudio Ranieri, che conoscendo menadito la pizza ha saputo rimettere in ordine gli elementi fondamentali per condurre in porto una nave che con il suo predecessore stava imbarcando acqua da ogni parte.

Spesso bistrattato e sottovalutato, il tecnico testaccino nella sua carriera ha a più riprese dimostrato di saper far leva su un’ottima conoscenza del calcio e della sua componente umana. Doti che a Roma, alla guida del club per cui ha sempre detto di fare il tifo, sono sempre emerse limpidamente.

Basti pensare a quando, nella sua prima esperienza giallorossa – oltre a sfiorare un clamoroso scudetto – venne fatto fuori da una delle tante, pietose, fronde orchestrate dai giocatori (Genoa-Roma 4-3, Anno Domini 2011). Ranieri decise comunque di rinunciare al resto dell’ingaggio che gli sarebbe spettato fino al termine della stagione.

Scontato? Forse, dirà qualcuno pensando al conto in banca di chi lavora nel calcio. Eppure altri suoi simili – tra cui il tanto osannato e santificato Zeman – non hanno fatto altrettanto, in ragione probabilmente delle loro lacunose guide tecniche e i loro stantii proclami sulla moralità nel mondo del pallone.

Per dirla tutta, in pochi avrebbero accettato di guidare una squadra per soli due mesi, con la quasi totale certezza di venir sostituiti a fine stagione, dovendo peraltro subire continue domande su chi sarà l’allenatore il prossimo anno (come chiedere a una moglie quale sarà la prossima donna del marito). “Interrogatori” di fronte ai quali non solo Ranieri non si è scomposto, ma ha risposto a tono, augurandosi in una prestigiosa guida tecnica per la prossima annata.

Una signorilità che, purtroppo, a Roma scarseggia da anni. Abituati come siamo a personaggi pompati, irrispettosi, boriosi e poco conoscenti della materia. Pronti a fare scarica barile dopo esser fuggiti a metà stagione come il più spaventato dei conigli bagnati.

Chiaramente il riferimento all’ex direttore sportivo Ramon Rodriguez Verdejo – al secolo Monchi – non è affatto casuale. Perché fondamentalmente la sua figura è la cartina al tornasole del calcio di oggi: tutto per apparire, nulla per essere. Uno che – sicuramente seguendo delle direttive societarie, sia chiaro – ha letteralmente smantellato una squadra semifinalista di Champions, non sapendo rimpiazzare i partenti e sbagliando praticamente ogni scelta effettuata.

Eppure, dopo aver fatto ritorno nella sua Siviglia, lasciando la Roma nelle sabbie mobili, questo curioso personaggio ha avuto anche l’ardire di rilasciare dichiarazioni in cui ha additato la piazza capitolina, definendola “frustrata” per gli insuccessi degli ultimi anni. Cosa che può anche esser vera, ma che di certo non può essere detta da chi questi insuccessi non solo non è riuscito a scalzarli, ma li ha anche ampliati e ingigantiti.

La sua Roma – se ne faccia una ragione – verrà ricordata ai posteri sì per la stupenda cavalcata in Champions dell’anno scorso, ma anche e soprattutto per i sette gol presi a Firenze, per i quaranta milioni spesi per uno Schick qualsiasi, per l’arrivo di giocatori bolliti, per le cessioni in corso d’opera (Strootman docet), per la svendita di Nainggolan (lenita sensibilmente dal fortunoso arrivo di Zaniolo) e per le sue baldanzose dichiarazioni al momento dell’insediamento, quando prima di una gara con la Juve disse senza problemi: “Ci vediamo al Circo Massimo a fine stagione”.

Un curriculum, quello maturato all’ombra del Colosseo, davvero poco lodevole. In virtù del quale si dovrebbe soltanto fare silenzio, anziché sputare fango su una pizza che, al netto di tutte le sue mancanze e i suoi isterismi, non ha mai mollato la squadra. Anche in questi ultimi dieci anni, quando ormai un po’ tutti sono coscienti di iniziare la stagione per concluderla con un pugno di mosche in mano

Simone Meloni