“Che giorno triste questo mio, oggi tu ti liberi di me…” scriveva Bruno Lauzi nella sua “Piccolo Uomo”, magistralmente interpretata da Mia Martini.

È un giorno triste perché donna Esperia se n’è andata. Anche se al contempo si è liberata di quel fardello portato sul groppone per trent’anni, andando a riabbracciare il “nostro” Antonio. È un giorno triste questo “nostro”. In cui abbiamo perso una donna che per tutti quelli cresciuti nella Sud ha sempre rappresentato il coraggio e la dignità. Il voler resistere al dolore e il saper fronteggiare lo stesso con tenacia. La donna del popolo, quella a cui generazioni e generazioni hanno dato la loro vicinanza. Anche chi suo figlio non l’ha mai conosciuto.

Di tutte le critiche che si possono fare ai ragazzi di curva ce n’è una che davvero non mi sento di affibbiargli: la memoria. Il saper tramandare il ricordo. Una cosa per nulla scontata nell’era dei valori 2.0 e delle mode passeggere. Oggi tutto lo stadio ha applaudito il ricordo di Esperia e gli striscioni esposti dalla Sud. In tanti hanno scandito a squarciagola il nome di quel ragazzo di borgata. Perché noi siamo così: beceri, a volte con poco senso logico, spesso incoerenti e sovente lunatici. Ma un figlio della nostra città, un “pischello” riverso in terra in una landa all’epoca così lontana socialmente e geograficamente, non lo lasciamo solo. Né lui, né la sua famiglia. Mai.

Piazza strana Roma: ruvida, apparentemente senza pietà in alcuni frangenti e boriosa in altri. Ma con un’anima ben definita. Che fondamentalmente non ha mai abbandonato i suoi tifosi, malgrado i cambiamenti, i passaggi di consegna e l’avvicendarsi di persone e situazioni.

“Antonio è morto per quella maglia, onoratela!” recitava uno striscione esposto al Flaminio il 25 febbraio del 1990. Prima di Roma-Milan. Otto mesi dopo l’infausta giornata di San Siro. Finì con un laconico 0-4. Ma con l’orgoglio della gente romanista che quel giorno cantò e infuocò il piccolo stadio di Viale Tiziano prima di tutto per il ricordo di un fratello.

Oggi, 6 ottobre 2019, non si è chiuso un cerchio. La famiglia De Falchi non verrà certo accantonata. Anzi, l’unica certezza è che finché ci sarà la Curva Sud la sua memoria sarà viva. Il suo nome riecheggerà in tutti gli stadi facendo sì che anche i futuri occupanti del settore popolare giallorosso sappiano chi sia.

Perdonatemi la divagazione, ma fondamentalmente questo Roma-Cagliari meritava di essere incentrato su tale argomentazione. Perché sì, diciamocela tutta: fare l’elenco dei cori, dei battimani e degli striscioni è interessante quanto una lezione di astrofisica condotta da Paolo Bonolis. Soprattutto se pensiamo all’ormai standardizzazione dello spettacolo nei nostri stadi.

Tuttavia, giusto per accontentare gli onanisti del tifo (vi voglio bene, sic!): prestazione della Sud un po’ in calo rispetto alle precedenti uscite casalinghe mentre il contingente cagliaritano (senza pezze e senza vessilli) tifa per tutta la partita con diverse pause. In campo finisce 1-1 con immense polemiche – su sponda romanista – nei confronti dell’arbitro Massa, reo di aver annullato un gol a detta giallorossa regolare.

Simone Meloni