Il CSKA Sofia evoca ricordi agrodolci nelle menti dei tifosi giallorossi. Risale infatti alla stagione 1983/1984 il primo incrocio tra i due club, in occasione delle cavalcata romanista in Coppa dei Campioni tristemente interrotta solo nella finale persa ai rigori con il Liverpool. Falcao in terra bulgara e Graziani all’Olimpico garantirono l’accesso ai quarti di finale. Le due squadre hanno avuto modo di incontrarsi nuovamente in Europa League nella stagione 2009/2010 e lo scorso anno. Primissima volta, logicamente, nella neonata Conference League.

Due parole vorrei spenderle per questa nuova competizione: essendo stato un ammiratore della Coppa Coppe non posso che apprezzare, una volta tanto, la scelta della Uefa di introdurre questa rassegna. I tempi sono cambiati e al giorno d’oggi forse non ritroveremo quelle partite sgangherate sui campi fangosi dell’Est Europa o con squadre di seconda divisione ma alcune immagini viste alla tv e il novero delle partecipanti inducono ad avere buone aspettative. In barba a chi vorrebbe un calcio soltanto di Champions League e Superleghe. Se nel breve futuro si potrà tornare a un modo di vivere accettabile, con la facilità nel viaggiare e zero restrizioni allora se ne potranno vedere delle belle.

Grazie al buon inizio di campionato ma soprattutto all’intelligente politica dei biglietti condotta sinora dalla Roma, i trentamila tagliandi a disposizione vanno quasi polverizzati (un paio d’ore prima del fischio d’inizio rimanevano milleseicento biglietti disponibili). Dalla Bulgaria sono attesi circa quattrocento tifosi. Anche se facendo una breve stima a occhio nudo direi che poi ne sono giunti in meno. I tempi delle invasioni sembrano lontani anni luce ma è pur vero che in questo periodo storico, tra restrizioni, tamponi, carte verdi e altre postille richieste non è affatto facile viaggiare. Senza dimenticare che il salario medio bulgaro non primeggia certo in Europa. Non a caso la quasi totalità dei presenti sono ultras.

Malgrado il doppio controllo ai filtraggi (green pass e biglietti) e quello ai tornelli, l’accesso si svolge tutto sommato senza grandi file. Non mi entusiasma il fatto di non avere un biglietto cartaceo e non poter rimpinguare la mia vasta collezione ma soprattutto non mi entusiasma il dover mostrare il contestatissimo lasciapassare verde. Ora, mi potrei inoltrare in una infinita e pesante polemica in cui però non ho la voglia di ingarbugliarmi e forse neanche le competenze dovute. Sicuramente non ho la pazienza di inerpicarmi in contese dove o si è bianchi o si è neri. Perché – parliamoci chiaro – la cosa più subdola e terribile da quando tutta questa faccenda è iniziata, è la mancanza totale di confronto. Si gioca solo sul mettere contro, si avalla l’antico e sempiterno motto del “dividi et impera”. Sulla faccenda sento solo di dire che non ho mai amato le imposizioni cieche e coatte. E bisogna andarci cauti quando si accoglie con entusiasmo una qualsiasi privazione della libertà personale o una qualsiasi soppressione della stessa. Non bisogna dimenticarsi da dove si viene e soprattutto non bisogna dimenticarsi che una situazione emergenziale dovrebbe restare tale. E non divenire normalità. Assuefarsi a ciò può essere molto pericoloso. E francamente, infine, penso ci sia un grandissimo solco tra l’aspetto scientifico/sanitario e l’obbligatorietà di un passepartout per vivere la socialità. Ecco perché questo non è di certo un ritorno al 2019.

Scusandomi per la digressione provo a reinserirmi nel discorso principe. Ritrovare due tifoserie all’interno di uno stadio è un qualcosa di emozionante che per qualche minuto mi fa tornare indietro con la mente. Mi sovvengono treni, viaggi, notti in aeroporti e stazioni, biglietti presi nei modi più strani, luoghi conosciuti e visitati e luoghi che senza il mondo del tifo non avrei mai visto. Ma soprattutto tanta, ma tanta gente conosciuta in questi anni in giro per l’Italia e l’Europa. Vedendola in maniera introspettiva la verità è che quello sono io. In quella persona mi riconosco. Con i suoi limiti, con le sue manie ma con la sua spensieratezza a tratti contagiosa. Bisognerà ricostruire e ritrovare ciò che siamo sempre stati. E la maggiore paura in questi tempi è perdere l’essenza. Non trovarla più. Vivere di mediocre convinzione di essere nel giusto, immaginando da lontano cosa sia la felicità.

Intanto la partita inizia e le due tifoserie scaldano i motori. Se la prova dei bulgari è buona per i primi 45′ e quasi silente nei secondi, ai romanisti va dato atto di essere in ottima forma. La Sud sfodera un’ottima prestazione: intensa, continua e colorata. Che ci sia voglia di fare tifo è palese, così come ancor più lapalissiano è l’entusiasmo che gravita attorno a questa Roma. Tante manate che rimandano indietro di qualche anno e cori spesso seguiti dall’intero stadio. Sono spesso critico ma stasera va dato a Cesare quel che è di Cesare e all’Olimpico ciò che è suo. Diverse le offese al settore ospiti con vasti riferimenti alla presenza milanista. Andando a ritroso vanno ricordati i buoni rapporti che furono tra giallorossi e sofioti. Liaison che si interruppe nella gara di ritorno dell’Europa League 2009/2010 quando nel settore ospiti – dopo un pre partita più che tranquillo e rilassato – apparve una coreografia raffigurante un hooligan del CSKA intento a far scappare un soldato romano.

In campo dopo il sorprendente vantaggio ospite, la Roma lentamente prende campo e finisce con lo stritolare l’avversario. 5-1 finale e primi tre punti in cascina per gli uomini di Mourinho.

La luna domina il cielo mentre i tifosi sfollano lentamente. Per la Roma si avvicinano due partite che potranno dire molto sull’inizio di questa stagione: Udinese in casa e derby. L’antica ansia del tifo torna a salire lentamente. Cercando di farsi un po’ spazio tra le incertezze e le preoccupazioni che attanagliano sovente le giornate.

Simone Meloni