Qualcuno ci ha sperato fino all’ultimo. Qualcuno fino a inizio settimana ha invocato divieti, restrizioni e biglietti contingentati per i tifosi tedeschi. Sempre qualcuno, dalle sue colonne saccenti, ha utilizzato le tensioni di Lazio-Real Sociedad per instradare Questura e Prefettura a precludere, bandire, allontanare. Tutte cose che, ahinoi, i nostri organi (in)competenti ormai fanno all’ordine del giorno, senza neanche più consultarsi. Esattamente come il medico che timbra il certificato senza neanche vedere di che genere di prescrizione di tratta. Peccato che il totale fallimento di due anni fa a Napoli, la figura in mondovisione miseramente racimolata dalle istituzioni partenopee – con tanto di richiamo della Uefa e battaglia legale intrapresa dal club teutonico – abbia reso pressoché impossibile uscirsene con una delle tante fandonie griffate Osservatorio, CASMS e compagnia cantante. Peccato. Peccato non sia stato possibile trattare questo Roma-Eintracht come un Lanuvio-Pavona di hockey su prato qualsiasi, dove le consuete orde barbariche che ne seguono le gesta vanno analizzate e poi bandite dagli spalti. Peccato, insomma, non aver potuto attuare il fantomatico modello italiano! Così, alla fine, i 3.500 biglietti a disposizione dei tifosi ospiti sono stati polverizzati in breve tempo e la partita si è regolarmente giocata alla presenza delle due tifoserie.

Certo, dispiace che tuttavia ci sia chi proprio non se ne capacita – perché forse troppo eccitato dall’onda repressiva che il Belpaese ha reiterato nei confronti di quei beceri vandali dei tifosi di calcio – e abbia voluto trasformare il lancio di qualche fumogeno, avvenuto tra ospiti e Curva Nord poco dopo il 2-0 della Roma, in una guerra civile, pubblicando articoli e post i cui titoli a caratteri cubitali parlavano di “Caos e scontri all’Olimpico“. La realtà dei fatti parla di una partita ai limiti del soporifero in tema di ordine pubblico, sicuramente “merito” di chi, per una volta, ha dovuto (più che voluto) dimostrare come si possa tranquillamente organizzare una partita espletando seriamente il proprio mestiere, anziché ricorrere allo stratagemma del divieto per starsene a braccia conserte. Certamente anche merito di una maggiore sensibilizzazione da parte dell’Eintracht, che ha finito i “bonus” presso la Uefa e non può permettersi ulteriori situazioni critiche. Probabilmente “merito” anche di tifosi e ultras tedeschi, “catechizzati” in patria dopo i fatti di Napoli e vistosamente volenterosi di mantenere un profilo, se non basso, tranquillo. Sia chiaro, la mia non è una critica nei loro confronti, anche perché ne conosco il valore assoluto e non c’era bisogno di vederli in alcuna veste quest’oggi per cambiare il mio pensiero. In Germania repressione e rappresaglie non raggiungono neanche lontanamente i nostri livelli, ma taluni “espedienti” vengono utilizzati anche là per limitare i danni. A buon intenditor, poche parole.

Entrando nel merito della sfida: l’Olimpico registra anche stasera il tutto esaurito, conscio di dover giocare un ruolo fondamentale per il passaggio del turno. Il pessimo cammino europeo della Roma, infatti, ha messo a repentaglio la qualificazione, sbarrando comunque la strada per gli ottavi e obbligando i giallorossi agli spareggi in caso di incastro favorevole tra il loro risultato e quello delle altre partite. Ammetto che fatico ancora parecchio a star dietro alle logiche di questa nuova formula delle coppe europee, che peraltro trovo ulteriormente svilente nei confronti della competitività e pressante verso tifosi e addetti ai lavori, con l’aggiunta dell’ulteriore turno a gennaio (ma ormai si è capito che conta il numero di partite giocate, non come, infatti lo spettacolo sul manto verde è quasi sempre penoso). Quando salgo le scalette dello stadio e mi si apre l’Olimpico davanti, noto immediatamente come i tedeschi abbiano messo tutto il loro materiale all’interno delle reti, cosa che trovo quantomeno strana e guardinga. Probabilmente non lo aveva fatto mai nessuno, in genere il materiale viene attaccato sopra l’inferriata, verso il campo, in bella vista.

Ovviamente lo storico gemellaggio con gli atalantini gioca subito un ruolo fondamentale, tanto che i primi scambi “d’opinione” con la Nord vedono protagonisti proprio gli orobici. Arriva poi il momento dell’inno, con lo stadio che come sempre si ricopre di sciarpe giallo ocra e rosso pompeiano, mentre torce e fumogeni fanno capolino qua e là, in maniera tanto spontanea quanto bella (peccato che qualcuno, in settore poco avvezzi al tifo, non sappia che questi strumenti sono vietati e finisca per pagarne le conseguenze, dopo averli tenuti in mano per diversi diversi minuti). Dopodiché la partita ha inizio: la Sud si mette in mostra con un buon primo tempo, fatto di tante manate e cori tenuti a lungo. Il colore è sempre garantito dai bandieroni, mentre il gol con cui Angelino porta in vantaggio i padroni di casa allo scadere del primo tempo, galvanizza ulteriormente i presenti. La buona prova non sarà totalmente ripetuta nel secondo tempo, con intensità e ritmi che sembrano calare, malgrado la squadra di Ranieri chiuda anche la pratica con Shomurodov e vada così a guadagnarsi gli spareggi. Capitolo ospiti: francamente la loro prova non mi ha impressionato come in altre occasioni. Non so se per un eventuale clima intimidatorio che hanno dovuto subire nei giorni precedenti, non so se perché magari arrivati un po’ scarichi a Roma per una partita che non aveva grandissimo valore sportivo, però conoscendone il potenziale e avendoli visti in altre occasioni, mi sento di dire che i novanta minuti di Roma non rientrano sicuramente tra le loro migliori prove di tifo. Attenzione: parliamo comunque di una tifoseria che pure in una giornata storta propone una sciarpata a tutto settore, alcuni boati notevoli e battimani dalla prima all’ultima fila. Una tifoseria che certamente in patria vanta una delle storie più lunghe e importanti, e che occupa in assoluto un posto tra le top continentali. Uno degli esempi costanti di quanto il movimento in Germania si cresciuto, prendendo a esempio proprio curve come quelle di Francoforte, antesignane nel loro Paese.

Resta il confronto tra due modelli che forse oggi sono agli antipodi (vent’anni fa mai lo avremmo creduto) in fatto di forza nel trascinare la gente, numeri in casa e fuori, fantasia e voglia di dimostrare. Il differente grado repressivo – accennato in precedenza – gioca senza dubbio un ruolo fondamentale, ma è anche vero che le generazioni di ultras teutonici che nell’ultimo decennio hanno gradualmente e graniticamente costruito il loro mondo, hanno fatto scuola da noi e tutt’oggi – a volte immeritatamente – ci vedono come maestri, anche laddove sulla carta può sussistere una rivalità. Il problema – non parlo di questo caso di specie – è che sovente noi siamo rimasti ancorati al passato glorioso. O meglio, ai lati peggiori che all’epoca venivano offuscati dalle nostre virtù, quest’ultime oggi rare da far emergere nel complesso nazionale e nelle macro realtà. Questa è una riflessione finale con cui abbandono mestamente lo stadio, conscio di quanto grande sia lo scalino attuale tra l’universo del tifo organizzato italiano e quello tedesco. Pur essendo cosciente che tutto cambia, tutto si evolve e ciò che ieri ci sembrava perfetto e invincibile, poco dopo può diventare vulnerabile e pieno di falle al cospetto di chi ha una prorompente e attualmente inarrestabile voglia di crescere. E mi costa fare questa riflessione, perché malgrado tutto resto convinto che l’Italia riesca ancora a dare i natali a ragazzi e generazioni di ultras, totalmente folli e legati a questa cultura, da rischiare tanto al cospetto di un ideale. Con semplicità e senza troppe sovrastrutture. Rimanendo attaccati a radici lunghe mezzo secolo. Forse è anche questo che ci rende ancora affascinanti agli occhi degli stranieri.

Simone Meloni