Partiamo da un presupposto: per commentare questa serata occorre avere dei sentimenti super partes. Bisogna giocoforza astrarsi da tutto quello che si possa pensare in bene o in male degli ultimi avvenimenti nel mondo ultras giallorosso e cercare di essere obiettivi. Così come è sin troppo facile cimentarsi in commenti denigratori o ironici, resi possibili e canalizzati dall’era dei social. Foriera del giudizio fuori controllo, spesso esercitato da chi non ha coscienza nemmeno di una piccola percentuale della storia del tifo organizzato in Italia e in Europa. Spesso neanche di quello della propria tifoseria. Il silenzio sarebbe sempre l’atteggiamento più gradito in talune situazioni. Su tutti i fronti in gioco, sia chiaro. Ma il silenzio è un’utopia al tempo in cui anche il più sventurato dei sitarelli locali si permette di pubblicare articoli dove si pretende di sapere e spiegare alla perfezione chi erano i Fedayn, cosa è successo nel febbraio scorso e perché in questa serata sul muretto dello storico gruppo romanista sono riapparse determinate sigle.

Sia chiaro: passaggi di questo genere sono parte della storia corrente ed è naturale che vengano messi sotto i riflettori da tutti. Anche perché l’occasione per cui si è scelto di tornare a esporre uno striscione sul muretto non è stata certo casuale; Roma-Empoli nella memoria recente della tifoseria rievoca senza dubbio l’avvenimento più doloroso e grave mai subito e il voler, in un certo senso, ripartire dallo stesso match assume giocoforza un valore simbolico. Sulla bontà della scelta, su quelle che saranno le conseguenze, non sono certo nel ruolo di potermi esprimere in modo ponderato e lucido. E sicuramente neanche in modo totalmente cosciente. A differenza di tanti soloni, eretti a professori di una materia che non hanno mai studiato, non faccio parte di nessun direttivo, non partecipo a riunioni e non vivo da dentro la vita di curva giorno dopo giorno. Anzi, a volte ammetto che mi trovo pure a disagio nel commentare comportamenti del tifo organizzato che forse andrebbero lasciati a loro stessi. E resto convinto che il saper stare zitti in dati contesti e in dati momenti, sia la forma più equilibrata di giudizio. Sarà il tempo a emettere sentenze.

Una cosa però va ricordata: il fato – che in parte siamo noi a costruire -, la vita di curva, gli avvenimenti, incedono in maniera circolare. Nessuno ne è esente. Perché il periodo di magra è capitato, capita e capiterà a tutti. E ovviamente il mondo esterno sarà lì pronto ad approfittarne, perché queste sono le regole del gioco. Il clamore attorno a questa serata è per ora solo ed esclusivamente un fumoso spettacolino “gossipparo”, che penso non abbia bisogno di chissà quale profonda interpretazione. Tanto sono palesi le scelte prese. Il perché e il per come penso spettino ai diretti interessati e al massimo potrebbero essere oggetto di striscioni “avversari”. Il leggere invece la povertà dei commenti provenienti da buona parte del movimento ultras, il moralismo imperante foraggiato anche da chi davvero avrebbe poco di cui moralizzare, mi fanno credere che probabilmente si esprima il proprio parere più appannati dalla propria fede calcistica (cosa davvero bassa in un contesto dove dovrebbero avere priorità altri elementi) che non da un’analisi oggettiva e logica. Analisi che ovviamente comprende anche e soprattutto la critica alla scelta del muretto, ci mancherebbe!

Ultima riflessione: quanto accaduto in questi mesi è stato, sì, un affronto al mondo ultras italiano. Ma credo anche sia giusto che non tutti si sentano toccati o coinvolti. Viviamo in un Paese dalle mille peculiarità, dove ognuno vive la propria militanza in modo “personale” e dove la forbice tra realtà metropolitane e di provincia era ed è ancora oggi ampia e distinta. La solidarietà, sovente, è solo una facciata per mostrarsi belli agli occhi del Mondo, tanto da risultare stucchevole. Quello su cui, invece, il movimento dovrebbe porsi qualche domanda è la sua proprietà analitica. Ammesso che essa esista ancora e non si sia ridotto a mero talk show da seconda serata.

Testo Simone Meloni

Foto Agenzia