Ogni qual volta inizio un resoconto sulla Roma penso ai trascorsi delle partite che vado a commentare. Mi accorgo che, sovente, vengo quasi sopraffatto dall’istinto di tediare il lettore con qualche reminiscenza dei cosiddetti “bei tempi” o lasciarmi andare a elucubrazioni disfattiste. Al contempo però sono anche cosciente che questa negatività cosmica è diventata un marchio di fabbrica da parte di molti “frequentatori” del nostro mondo.

C’è chi anche di fronte a un bel derby o a una bella sfida di curva riesce comunque a evidenziare solo i lati negativi, perdendo di vista l’obiettività che personalmente ritengo fondamentale per rendere un qualsiasi concetto minimamente credibile. E di natura sono uno che tollera poco i “lamentosi” a prescindere. Quelli dalla scontentezza innata, in grado di farti passare qualsiasi velleità di vita.

Sarà anche per questo che oggi, uscendo dallo stadio e scambiando qualche messaggio post partita con alcuni amici, ho riconosciuto al pubblico della Roma di essere senza dubbio stoico e ancora pieno di voglia. Al netto di tutti i suoi limiti e le sue pecche (tra cui, per esempio, il triste imborghesimento).

In antitesi ad astrusi concetti che individuano  con troppa faciloneria nell’ambiente romano la principale causa degli  insuccessi, c’è da dire che i tifosi giallorossi in queste stagioni hanno continuato a riempire gli spalti; malgrado i prezzi, lo scarso appeal delle partite, campionati condotti tra le prime posizioni – è vero – ma quasi mai con la possibilità di contendersi il titolo e un’inesorabile discesa verso l’annacquamento del fuoco sacro della passione.

Il rovescio della medaglia, infatti, è che oggi molti si sono fatti fuorviare dal pareggio di bilancio, dalle plusvalenze, dall’attesa dello stadio nuovo per giocarsi concretamente qualche competizione (chissà chi ha scritto questa regola poi, di certo non è riscontrabile in molte realtà europee che lo stadio di proprietà ce l’hanno da tempo) e da altre nefandezze che in passato mai avrebbero turbato la psiche di un pubblico affamato, rude e ruggente. Di fatto, paradossalmente, buona parte del tifo romanista sembra aver vinto già venti trofei di fila, al cospetto di una bacheca che invece risulta ancora scarna e che ormai da oltre un decennio non riesce ad accrescere la propria portata.

Se ne potrebbe parlare a lungo, scendendo proprio sul terreno sportivo, dove l’AS Roma – dato incontrovertibile – negli ultimi anni ha sofferto e spesso sfigurato, anche di fronte ad ostacoli facilmente sormontabili. Eppure, checché ne dicano quelli che giocano a scaricabarile o forse non conoscono bene la storia di questa piazza, il suo pubblico ha quasi sempre reagito in maniera composta e matura. Alle feroci contestazioni di un tempo (altro che chiacchieratina sotto la Sud in stile Roma-Fiorentina di Europa League) si sono avvicendati i fischi (manco troppi se commisurati alle delusioni) e un sostegno ad oltranza.

Sarà forse anche per questo ammorbidimento (legittimo, sia chiaro, se la spesa per una contestazione debbono essere daspo e denunce gratuite) che i giocatori su sponda giallorossa hanno potuto prendersi diverse libertà. Come quelle di perdere ben sei volte all’Olimpico durante questa stagione. Per giunta contro tutte le rivali storiche. Fattore impensabile forse anche ai tempi della “Rometta” di Carlos Bianchi, senza andare troppo a ritroso nel tempo.

Oggi qualcuno si accontenta di ben figurare in Champions League, parlando di “crescita sportiva” e mutuando ciò con l’assenza, per anni, della Roma da questa competizione. Qualcuno trattiene l’istinto della passione per adagiarsi sulle promesse, sui futuri prossimi e su statistiche che di vittorioso non hanno nulla, trattandosi di calcio.

Come diceva una celebre canzone, io “non mi lego a questa schiera”. Sono lo stesso che si emoziona cento volte di più per una vittoria all’ultimo respiro a Firenze o una Coppa Italia alzata a Milano, rispetto a un passaggio ai Quarti di Champions, senza alcuna speranza di vittoria finale. È un discorso cinico – e criticabile, ci mancherebbe – che tuttavia ho maturato sempre più con il passare degli anni. Sembra che oggi non si possa ambire a vincere senza contornarsi di quella retorica sentimentalista e sdolcinata che troppe volte giustifica anche l’ingiustificabile.

Tornando al discorso iniziale, anche contro i viola gli spalti dell’Olimpico hanno registrato circa 42.000 presenze (a tre giorni dalla partita con il Barcellona, per cui la spesa minima era di 45 Euro) a cui vanno aggiunti i settori ospiti quasi sempre sold out nelle gare esterne. A conferma di una delle poche certezze che resta alla Roma: la sua gente. I numeri non fanno la qualità, chiaro, ma servono almeno a dare un’unità di misura.

Cosa dire su questo Roma-Fiorentina? Il caldo comincia a farsi sentire anche nella Capitale e finalmente nei settori popolari scompaiono guanti, giacconi e – negli stadi scoperti – gli immondi ombrelli e le inguardabili casacchine anti-pioggia. Così tornano a scoprirsi le braccia e i battimani prendono tutto un altro aspetto visivamente.

Sempre parlando di numeri, i viola non si mettono di certo in evidenza per una presenza massiccia, come ormai avviene da anni. Sono in circa 400 a raggiungere Roma, segno di una voglia di viaggiare ormai scemata (anche a causa di prezzi improponibili per i settori ospiti, repressione alle stelle nell’accesso agli impianti e noia nel rivedere per la millesima volta gli stessi stadi). Al netto di questa pecca, c’è da dire però che si esibiscono forse nella loro miglior prestazione di tifo nelle ultime uscite capitoline: tantissime manate, voce che non si ferma mai un secondo, diversi bandieroni sventolati continuamente e una buona dose di “cattiveria” nel cantare. Da segnalare il loro coro per Davide Astori che viene applaudito da quasi tutto lo stadio.

E la Sud? Come spesso mi capita non posso evitare di sottolineare l’impietoso scenario offerto dai buchi presenti nel cuore del tifo giallorosso. A onor del vero però vanno sottolineati alcuni aspetti quest’oggi: mettere una partita alle 18 di sabato significa costringere parte della città alla congestione. Tanto è vero che a pagarne le spese è anche il sottoscritto che, avallando la malaugurata idea di raggiungere lo stadio in automobile, rimane incastrato in Tangenziale, riuscendo ad arrivare solo qualche minuto prima dell’inizio e rafforzando una certezza: mai più con la macchina!

C’è poi l’annoso problema dei posti lasciati volutamente invenduti per le celeberrime “ragioni di sicurezza”. Sta di fatto che la curva si riempie lentamente e a partita iniziata, non dando però l’idea di essere tutta esaurita.

A livello di tifo mi sento di dire che la Sud abbia fatto il suo. Non la migliore performance dell’anno, ma certamente superiore ad altre, malgrado una partita oggettivamente inguardabile, che la Fiorentina condurrà in porto con un laconico 2-0.

Sia in Sud che in Nord vengono ricordati Fabio “Roscio” e Zito.

Da sottolineare un ritorno gradito: quello del vecchio striscione dei Boys. Infine non passano inosservate le numerose bandiere palestinesi esposte in diverse zone dello stadio.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr.