Nel pieno dell’ondata polemica e a tratti ridicola relativa agli incidenti avvenuti in autostrada tra romanisti e napoletani, all’Olimpico si gioca l’ottavo di finale della Coppa Italia tra i giallorossi e il Genoa. È una sfida particolare, non tanto per la sua valenza sportiva, quanto perché per l’ennesima volta offre una risposta concreta a tutta quella serie di guitti che nei giorni precedenti si sono affannati a tirar fango – a suon di menzogne – sugli ultras, incuranti all’idea di indagare almeno qualcuna delle ombre sulla gestione dei tifosi e su quanta responsabilità dei tutori dell’ordine ci possa esser stata nel consentire l’incontro tra due delle tifoserie più numerose del Paese.

La risposta non è solo lo stadio pieno, ma anche la Curva Sud adornata di tutti i suoi striscioni e pienamente intenzionata a spingere la propria squadra ai quarti di finale. In tutta la sua complessità e in tutti suoi pregi e i suoi limiti, il mondo ultras continua a esser un fenomeno sociale studiato poco e male, utilizzato a più riprese come spauracchio da agitare sui giornali e in televisione per creare panico ed effimera agitazione, o strumentalizzato per costruire campagne elettorali e cercare facile consenso.

Difficile riuscire ad avere un confronto laddove esimie testate parlano per giorni di storie fantasiose e nella televisione pubblica si ripropongono da quarant’anni gli stessi, obsoleti, concetti. Ma difficile anche avere un confronto per mano e volontà di un mondo ultras – va detto – troppo spesso avvitato su sé stesso, autoreferenziale e incapace di difendersi dall’ondata di letame che ciclicamente gli piove addosso. E allora, come da italico costume, in ambo le direzioni si va avanti senza riuscire a trovare quel punto di incontro o di scontro che, sia chiaro, non risolverebbe le cose, ma servirebbe forse, una volta tanto, a focalizzare il nocciolo della questione e far ragionare una minima parte di quell’opinione pubblica che spesso sentenzia e muove certe decisioni ancor più degli organi preposti.

Di sicuro la dovremmo far finita di vivere nell’eterna e apparente emergenza. L’emergenza ultras non esiste, suvvia signori. E se propria vogliamo dirla tutta, non è mai esistita. In passato – nel lontanissimo passato – ci sono stati sicuramente più problemi di ordine pubblico, ci sono state gare veramente a rischio e difficoltà nel contenere le tifoserie. Ma parliamo di almeno quattro lustri fa. Un’epoca in cui non nasce l’emergenza ultras, ma la volontà di non gestire i tifosi del calcio e aumentare a tal punto la loro demonizzazione per giustificare, successivamente, interventi restrittivi, divieti e obblighi di sottoscrivere tessere per viaggiare su territorio nazionale e assistere a un pubblico evento.

L’emergenza ultras non esiste. Ed è sufficiente consultare il numero di disordini e feriti che avvengono negli stadi annualmente. Ormai prossimi allo zero. L’emergenza è solo uno specchietto per le allodole tutto italiano, per nasconderci dietro un po’ di negligenza, un po’ di incompetenza, un po’ di opportunismo e, soprattutto, tanta voglia di lavarsene le mani e non affrontare il mantenimento dell’ordine pubblico facendo della (vera) prevenzione e trattando con il giusto equilibro anche eventuali disordini, che ormai sono sempre e comunque puniti da leggi apposite. L’emergenza in Italia è una situazione a favore di telecamere, un Truman Show per intrattenere buona parte della cittadinanza e stordirla.

E questo è il punto stabilito da chi non vive il mondo. Non solo il mondo ultras, ma il mondo di tutti i giorni. Questo è il filone perseguito da tutti quei “giornalisti” che si chiudono nelle loro stanzette riportando veline della Questura o limitandosi a bacchettare dall’alto di tremebonde e discutibili morali. Questa è la narrativa di chi non sa l’Italia come vive, di cosa vive. Dove pecca e dove eccelle. Figuriamoci se può sapere, conoscere e spiegare certe dinamiche appartenenti allo stadio. Che per taluni versi resta un luogo tra più contorti, per numerosi e bizzarri aspetti sociali, del Paese. Una persona che scrive se ne dovrebbe interessare seriamente ancor prima di farne una critica solamente distruttiva.

Eppure oggi, prima di entrare allo stadio, ho letto titoli entusiastici sul sold out per una partita di Coppa Italia. Oggi, a margine di questa partita, quelle testate che per giorni si sono affannate a mettere foto, nomi e cognomi di gente neanche processata, si stanno battendo per pubblicare sui loro profili online il nuovo coro della Sud, le sue parole. Per strappare qualche video degli ultras in fermento. Ma come? O sono cattivi sempre o non lo sono mai… La verità è che il mondo non si divide in buoni e cattivi – e questo lo sa bene chi scrive simili fandonie, a meno che non sia limitato -, ma in situazioni da contestualizzare. E contestualizzare, capire, descrivere costa fatica e tempo. Molto meglio esaltare o denigrare. Tanto il risultato a livello di informazione non cambia molto.

Sempre per scuotere e indignare alcune coscienze sensibili, ovviamente i primi cori che si alzano dal cuore del tifo romanista sono contro i rivali napoletani. Così ampiamente prevedibile che può sorprendere solo chi non ha mai frequentato lo stadio (quindi la maggior parte degli scriventi nei periodi di shit storming come quest’ultimo). Mentre all’inno si alzano le sciarpe di tutto lo stadio, per poi iniziare la classica prestazione canora, che stasera andrà sempre più crescendo, concretizzandosi in un secondo tempo davvero di ottima fattura, in cui le ugole vengono sollecitate anche da una Roma che spinge e alla fine ottiene il passaggio del turno grazie alla rete del solito Dybala.

Considerazione importante anche per il settore ospiti: sono circa quattrocento i genoani presenti all’Olimpico, con i gruppi della Nord che entrano a partita iniziata, dando vita ad alcune scaramucce verbali con i romanisti e cominciando poi a tifare. Davvero poco da dire: nelle ultime due apparizioni a Roma, i genoani hanno mostrato forse le loro migliori performance vocali e numeriche di sempre. Anche oggi voce sempre in alto, diverse torce e fumogeni (sempre notevoli), bandieroni e continuità nel tifo a sostegno del Grifone. Una tifoseria che dall’addio di Preziosi sembra aver ritrovato la sua anima granitica e fedelmente passionale. Ed è sempre un bene questo, per un mondo ultras che troppo spesso perde pezzi e qualità senza neanche accorgersene.

Nel prossimo turno la Roma affronterà la vincente tra Napoli e Cremonese, mentre per i liguri continua la rincorsa alla Serie A, in un campionato che sinora si è dimostrato forse più duro del previsto.

Lascio lo stadio con l’immagine delle sue bandiere, dei suoi sessantamila e dei suoi canti. Sono in fondo l’unico antidoto a chi vorrebbe trasferte vietate a vita, gruppi ultras banditi e poltroncine in pelle al posto degli scalcinati seggiolini. La differenza tra vivere il mondo e guardarlo dalla finestra con fare voyerista.

Simone Meloni