Gli strascichi di Nizza sono ancora sanguinolenti nella tifoseria giallorossa, che continua con i suoi quindici minuti di silenzio in solidarietà ai ragazzi detenuti nelle carceri provenzali. In settimana sette dei tredici arrestati sono stati rilasciati su cauzione, per gli altri si dovrà attendere fino al 26 novembre. Una situazione che chiaramente non può passare in secondo piano tra tutte le componenti del tifo capitolino, che sia allo stadio che con striscioni e scritte disseminate per la città, hanno mostrato a più riprese la loro vicinanza agli amici e fratelli di militanza che, attualmente, sono privi di libertà. Nel calderone del perbenismo borghese di cui si ammanta questa società, fa comodo condannare e giudicare a prescindere. Difficilmente si entra nel merito o, peggio ancora, difficilmente si osserva del sano e dignitoso silenzio. La solidarietà, la vicinanza, l’amicizie e il supporto sono (dovrebbero dai, siamo realisti!) parte integrante dell’essere umano e sappiamo tutti che sovente scattano nei momenti di massima difficoltà, anche quando tutto il mondo “dei bravi” dà contro e urla di gettare le chiavi della cella e non aprirla mai più. Ciò non vuol dire pretendere impunità, ma semplicemente non lasciare da solo nessuno. Assioma fondamentale, almeno in un mondo dove l’aggregazione è (dovrebbe) essere alla base.

Fatta questa dovuta premessa, si può passare alla cronaca della partita, constatando con sommo piacere come il “nuovo” e inguardabile spettacolo di luci nel pre partita venga fischiato praticamente da tutto lo stadio (c’è ancora speranza!). Oggi ricorrono i vent’anni dalla scomparsa di Luisa Petrucci, compianta e indimenticata signora del tifo capitolino, che per una vita ha seguito la Roma, spalla a spalla con gli ultras, in casa e in trasferta. Una figura, sì, di un altro tempo, ma anche una figura che descrive bene le molteplici sfaccettature che un “comune mortale” può assumere quando varca i cancelli di uno stadio. Percepita da tutti come una vera e propria mamma, passata agli annali per il suo celebre ombrellino giallorosso con cui spiccava nei settori ospiti di tutta Italia, Luisa Petrucci – nella vita insegnante – è stata una di quelle persone che ha sempre cercato di guardare e descrivere al meglio il fenomeno del tifo a cui lei stessa, con tutte le sue sfumature, apparteneva. Mai una parola contro, mai una condanna. Al massimo era lei a “sgridare” i suoi ragazzi, ma sempre con il sorriso sulle labbra e sempre con la consapevolezza di esser nel mezzo di una “follia collettiva”, mossa dalla comune fede per i colori amati. Prima dell’inizio vengono esposti due striscioni in suo onore: uno in Tevere e l’altro sul muretto della Nord lato ospiti, salutati dagli applausi dello stadio.

Nel settore ospiti sono oltre tremila gli interisti, con il direttivo della Nord che arriva a ridosso del fischio d’inizio e comincia a tifare dietro al nuovo striscione su cui campeggia il nome della città meneghina. Dopo un paio di cori per la libertà degli ultras, indirizzati alla protesta romanista, i bauscia si fanno sentire con voci e mani, festeggiando il quasi immediato vantaggio siglato da Bonny che, al termine dei novanta minuti, sarà decisivo per il successo degli uomini di Chivu. Da parte giallorossa, come detto, il sostegno vocale inizia dopo il quarto d’ora di silenzio e dietro a tutti gli striscioni rigorosamente capovolti. Buoni picchi durante l’arco della partita e diversi cori contro i dirimpettai, a onorare una vecchia e sentita rivalità. Al triplice fischio, una Roma volitiva e che forse avrebbe meritato il pareggio, viene comunque applaudita e incoraggiata, segno di quanto, sinora, il cammino dei ragazzi di Gasperini sia stato apprezzato da parte di tutto l’ambiente.

Simone Meloni