Mi piacerebbe iniziare questo articolo con il più classico dei “C’era una volta”. Ma la mia attuale idiosincrasia nei confronti della retorica, spesso finisce per farmi odiare persino i miei testi. Quindi evito. Mi sarebbe piaciuto iniziare questo articolo parlando di amore. Dell’amore sbattuto in faccia a una Serie A ormai sempre più plastificata e priva di emozioni. Ma poi mi sono detto che oggigiorno un po’ a tutti piace parlare d’amore, salvo poi non rispettarne neanche il significato basilare. Anche perché quando si inflaziona un termine, si rischia di annacquare anche il sentimento da esso enunciato. E poi, per dirla tutta, in un match dove le due squadre indossano casacche distanti anni luce da quelle storiche, il prepartita è soffocato dallo stucchevole gioco di luce neanche fossimo al Piper negli anni ’80 e stupide musichette prendono il posto dell’affascinante brusio da stadio, come possiamo parlare d’amore a cuor leggero?

Semmai questo sentimento, come altri ben radicati nell’animo umano, nel supporter calcistico vanno ricercati bene e compresi. Forse bisogna addirittura credere di vederli anche laddove non sussistono. Per trovare motivazioni mi appiglio spesso a dei punti fissi. A delle certezze che so essere capaci di suscitarmi qualcosa. Mi capita sovente, percorrendo il vialone che lentamente porta alla celebre “palla”, di ripensare alle prime volte all’Olimpico. Ed ho suggestione. Incredibilmente riesco ancora a provare un pizzico di suspense nello stomaco salendo le scalette e ritrovandomi di fronte l’immenso proscenio dell’impianto di Via dei Gladiatori.  Quanti ricordi ho legato qui? Quante storie, gioie, lacrime e incazzature sono passate tra queste “quattro mura”. Dico Stadio Olimpico, immagino una partita e il più delle volte riesco a connetterci un qualche momento preciso della mia vita. 

So che tutto questo forse è stupido o infantile. Perché il mondo che mi circonda e che circonda le domeniche allo stadio è talmente cambiato che forse manco meriterebbe più la mia attenzione e le mie emozioni. Eppure so con certezza – perché mi è già accaduto – che il giorno in cui sentirò tutto crollarmi addosso un briciolo di leggerezza, un piccolo sollievo potrei provarlo ancora mettendo piede sulle gradinate. Ecco, in fondo questo penso che sia amore. Amore è non scappare da qualcosa anche quando quel qualcosa lo senti lontano. Amore è dare tutto senza pretesa di ricevere niente. Amore è soprattutto la certezza di trovare un sorriso quando non c’è niente da ridere.

Anni fa, durante un Roma-Juventus di Coppa Italia venni letteralmente travolto dall’esultanza al gol di Gervinho. Fu un qualcosa di bellissimo, perché crescendo spesso dimentichi il senso primario dell’andare allo stadio e, di conseguenza, di vivere quello che è a tutti gli effetti un rapporto sentimentale. Subentra la routine ma il bello è che tu sai che non è comunque morto, perché poi arriva il gol di un Gervinho qualsiasi, una partita con la curva che canta pure se stai sotto di sette gol o la gente che vedi felice pure se non vince un trofeo da tempo immemore e tutto si riaccende ancor più forte e autentico di prima!

Uno le cose le può vedere come meglio crede. Se io volessi abbattermi e lasciar perdere tutto ci metterei trenta secondi: mi basterebbe pensare allo stuolo di turisti che prendono l’Olimpico come un luogo dove godersi uno spettacolo “una botta e via”, oppure a tutti quegli pseudo tifosi che al rigore di Cristiano Ronaldo hanno puntato i loro smartphone. Lo potrei fare, ma sarebbe un gioco al massacro e, quello sì, la miglior strada per recidere ogni legame con questo mondo. Cosa che – qui lo dico e qui lo nego – ancora non ho voglia di fare. Di certo provo un po’ di ribrezzo per tutto ciò. Ma in fondo si dice l’amore sia cieco proprio per questi motivi.

Per l’ennesima volta: non mi chiedete la cronaca del tifo. Benché potrei parlare di una gran bella Sud, dei suoi colori incessantemente innalzati durante una partita che dopo 14′ vedeva i bianconeri già in vantaggio 2-0 e dell’ottima intensità del tifo, cadremmo comunque nel trito e ritrito. Così come parlando della quasi nullità del settore ospiti per le note vicende che da qualche tempo riguardano gli ultras bianconeri.

Una cosa però nel finale voglio dirla: il cuore accetta tutto, perché a lui non si comanda. Ma la ragione – come accennato – non può accettare lo scempio cromatico visto sulle maglie dei ventidue in campo questa sera. Roma-Juventus è e resterà per sempre giallorossi contro bianconeri. Queste porcherie utili giusto a far vendere maglie nel Sud Est asiatico o chissà in quale luogo sperduto del mondo, sarebbe buono se rimanessero chiuse a chiave nella testa di chi le partorisce.

Testo Simone Meloni
Foto Cinzia Lmr