È un lontano sabato pomeriggio di fine anni ’90. L’asfalto cocente è quello dell’Oratorio Don Bosco, nel popoloso e popolare quartiere di Cinecittà. Le righe del campo sono impresse da una ferma striscia di vernice bianca che resiste stoicamente al tempo.

Il monito parte già in settimana, quando in classe qualcuno se ne esce: “Famo er derby prima der derby. Scejemo i mejo de scola e ognuno viene c’a maja d’a squadra sua!”. Una frase che è tutta una premessa, per buona pace dei professori, fermi oppositori della contesa. Tutti, tranne quello di educazione fisica. Del resto ricordo ancora oggi la sua pioggia di improperi il mattino successivo a un Roma-Atletico Madrid di Coppa Uefa in cui i giallorossi vennero eliminati anche a causa di un pessimo arbitraggio. “Bravi ragà, bella idea!”, sentenziava con il sorriso a trecentosessanta gradi.

Così nasceva generalmente la stracittadina alle scuole medie. E si protraeva per tutta la settimana. Tutti sognavamo di essere sul manto verde dell’Olimpico la domenica, perché sapevamo che non avremmo tirato la gamba indietro e ci saremmo immolati pur di segnare un gol sotto la Sud o sotto la Nord. Dopo averne ammirato le coreografie e lo spettacolo di torce e fumogeni. Quelle partite tra noi ragazzini tutto erano tranne che amichevoli. Ci credevamo sul serio: calci, spinte, esultanze folli e agonismo allo stato puro. E poi gli sfottò. Quelli erano e restano il vero e proprio sale di questo evento. Perché a noi romani si possono imputare tanti difetti, ma penso di poter dire che in quanto a ironia difficilmente arriviamo secondi a qualcuno. Un’ironia tagliente, sbruffona, persino irritante. Un’ironia che – fin quando ci è stato permesso – era perfettamente stampigliata sulle decine di striscioni esposti da diverse ore prima del calcio d’inizio.

Se c’è un qualcosa che il derby ha perso in parte è proprio questo suo spontaneismo. Con l’avvento dei social e il bombardamento mediatico che ci spara calcio a ogni ora del giorno e della notte tutto sembra esser diventato un riflesso incondizionato. Gli sfottò ormai viaggiano attraverso i social e a tener banco sono i tweet di questo o di quell’altro calciatore. Quando non entrano in gioco anche mamme, mogli e amanti.

Non me ne voglia nessuno, ma ho trovato un po’ fuori luogo che uno dei “casus belli” in settimana sia stato Nicolò Zaniolo. Un giocatore che per quanto possa essere bravo e “affascinante” per i tifosi non è di certo Totti o Di Canio. Non ne faccio un discorso di morale. Non mi scandalizzo per uno striscione che deride un giocatore infortunato, né divido il mondo in buoni o cattivi. Pur essendo becere certe cose si sono sempre fatte e un tempo neanche il più “lagnoso” dei tifosi se ne sarebbe lamentato. Oggi è diverso, vivendo nell’epoca del politicamente corretto, dell’ipocrisia dialettica e scritta galoppante bisognerebbe fare attenzione a ogni gesto, assicurandosi di rispettare una presunta etica pubblicizzata da chi governa lo sport e dai loro accoliti giornalisti mainstream.

Per questi motivi il Derby di Roma è una partita anacronistica. È una contesa che il calcio italiano forse neanche meriterebbe più. Una Serie A così finta e plastificata non avrebbe diritto a una partita che fondamentalmente dura 365 giorni in città. Manipola emozioni, ti fa sentire vivo se la vinci e infinitamente affranto se la perdi. Noi siamo quelli del tifo contro, quelli che dopo aver visto il risultato della nostra squadra buttiamo sempre un’occhio alla partita dei “cugini”, nella speranza che l’esito sia perennemente negativo. Siamo anti-sportivi, poco eleganti, sgraziati e pure provinciali. Siamo quelli che da avversari preferiscono un’esultanza sotto la curva di Di Canio o un gestaccio di De Rossi piuttosto che le strette di mano e i sorrisi distensivi. Ma trovatemi un’altra Capitale europea dove il derby si viva come a Roma. Ben oltre il discorso ultras, ben oltre i novanta minuti di tifo.

Insomma, sapete cosa c’è? Questa sfida la dovreste lasciar giocare, vivere e giudicare solo ed esclusivamente ai romani!

I sessantamila tagliandi staccati sono un vero e proprio evento di questi tempi. Sia per l’esorbitante costo dei tagliando che per l’ormai atavica fuga di pubblico dagli stadi. Questa sfida ha invece richiamato numeri importanti ad evidenziare un’improvvisa e quasi feroce voglia di derby. Un’adrenalina che in città non si respirava da diversi anni, complice sicuramente l’ottimo campionato della Lazio e la voglia, da parte dei cugini giallorossi, di interrompere la striscia di undici vittorie consecutive dei dirimpettai.

Poco prima dell’ingresso in campo comincia il valzer delle coreografie. Su fronte biancoceleste la Nord innalza migliaia di cartoncini che vanno a rappresentare la Creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti, corredati dalla scritta “La Lazio non proviene da…la Lazio è” mentre la Sud opta per le bandierine giallorosse completate dal telone raffigurante lo storico stemma che cala al centro e la scritta “Questo stemma ho nelle vene, questo stemma mi appartiene”. Si tratta di due scenografie concettualmente distanti, che tuttavia ho apprezzato molto nella realizzazione e nella riuscita. Significativo, in particolar modo, che gli ultras romanisti abbiano ritirato fuori la questione “stemma”. Argomento che credo dovrebbe esser riportato in auge in maniera martellante, anche visto il prossimo cambio di guida al timone societario.

Chi ha avuto modo di vedere un derby in curva sa bene come in questa partita sia difficile cantare. C’è una tensione che ti prende lo stomaco e ti blocca tutti i muscoli. Non è un caso che difficilmente questa sfida sia stata teatro di grandi prestazioni di tifo. E anche oggi non si smentisce: le due curve mantengono la sufficienza ma in più di un’occasione è evidente come l’ansia legata al campo sia una vera e propria zavorra. Molto bello tuttavia l’incessante sventolio dei bandieroni.

In campo al vantaggio giallorosso di Dzeko risponde pochi minuti dopo Acerbi. Un pareggio che va stretto alla Roma ma che fa il paio con quello dell’andata, in cui sarebbe stati i biancocelesti a meritare i tre punti.

Tutto finito? Manco per niente. Perché il Derby è talmente stressante ed esaustivo che riesce a protrarsi nei giorni successivi, quando cominciando le ironie sulle rispettive coreografie e i vari sfottò. È un campionato a parte, la cui disputa richiede una pazienza e una tigna uniche. Per almeno sette mesi le due squadre non si affronteranno ma Roma-Lazio continuerà inesorabilmente a giocarsi tra le mura dell’Urbe. Per buona pace di tutti!

Simone Meloni