Malgrado il buon livello raggiunto dal calcio romano negli ultimi venti anni, il derby rimane senza dubbio l’evento sportivo più atteso della città. Su di esso esiste talmente tanta letteratura che si fatica a crearne ulteriore o descriverlo nei suoi dettagli più intimi. La stracittadina della Capitale va vissuta per essere compresa. E bisognerebbe farlo nei panni di un romano per snocciolarne tutte le sfaccettature esistenti.

Qualche giorno fa pensavo a quanti derby avessi visto dal vivo. E la mente, giocoforza, è andata alle sfide di fine anni ’90. Erano partite – e ambienti – differenti. In quegli anni la Lazio di Cragnotti si stava consolidando, divenendo una vera e propria potenza a livello sportivo, mentre la Roma (da poco passata ai Sensi) era una squadra di media classifica, avara di soddisfazioni per i propri tifosi. Due compagini dove, però, giocavano spesso e volentieri veri e propri “carri armati”, che in gare come queste si esaltavano aizzando la folla e soffiando sul fuoco della tensione tipico di ogni derby che si rispetti.

Quello che sto per dire forse non troverà d’accordo qualcuno, ma sono fermamente convinto che i Roma-Lazio disputati fino alla metà degli anni 2000 poco avessero da invidiare a un qualsiasi Stella Rossa-Partizan. Soprattutto se fatte le dovute proporzioni con le situazioni socio-antropologiche di Italia e Serbia. Era un derby “completo”, dentro e fuori dal campo, non ancora inquadrato e “ammorbidito” dalla folle repressione che stringe l’Italia da ormai oltre dieci anni.

Sappiamo quanta acqua è passata sotto i ponti dall’epoca e sappiamo le gincane attraversate dal movimento ultras per restare in piedi. In particolar modo per quello romano, oggetto di “particolari attenzioni” negli ultimi anni. Resta un match da vedere almeno una volta nella vita, perché a mio avviso il modo di vivere e trattare il calcio da parte dei romani è unico nel suo genere. Ancora oggi, a queste latitudini, si vive 365 giorni l’anno di pallone. E non c’è bar, negozio o ristorante – dal centro alla periferia – dove non si vedano riferimenti a una delle due squadre. Questo, almeno, è rimasto immutato.

Se parliamo invece degli aspetti organizzativi c’è solo da mettersi le mani nei capelli. Soprassedendo (ma neanche troppo) sull’ormai atavico caroprezzi che attanaglia buona parte degli stadi nostrani, per anni la vendita dei tagliandi delle tribune è stata regolamentata in base al possesso della tessera del tifoso o all’abbonamento della squadra ospitante. Solo nelle ultime stagioni si è tornati ad avere un minimo di “normalità”, con la Monte Mario riaperta a tutti e la Tevere in vendita libera solo presso i Roma Store (altrimenti previa esibizione di tessera o abbonamento Champions League nelle altre ricevitorie).

A tutto ciò va aggiunto l’altro “vizietto” ormai annoso: la riduzione di capienza nei settori popolari. La due curve non vengono mai vendute al netto della loro capienza, ed è per questo motivo che – ahinoi – difficilmente le rivedremo davvero sold out. In compenso sono visibili i buchi che questa decisione scellerata e senza senso produce. E se in Roma-Frosinone mi sono scagliato verso chi contribuisce ad ampliare gli stessi, sottoscrivendo abbonamenti per presenziare effettivamente a una decina di partite, in questa occasione c’è poco da imputare loro.

Discorso diverso per il Distinto Nord lato Tevere rimasto chiuso perché invenduto. Questo è sicuramente uno dei maggiori sintomi del “declassamento” della stracittadina in formato stadio. Senza ricorrere a frasi scontate su quanto in passato mai sarebbe avvenuto, bisognerebbe riflettere sul perché una porzione così ampia venga lasciata vuota. Il fattore sportivo credo influisca davvero poco (anche perché la Lazio veniva da un buon periodo). Piuttosto penso che ci sia proprio un discorso di disaffezione allo stadio. Non è la prima volta che accade: lo scorso anno, nel derby di ritorno, anche un Distinto Sud venne popolato da pochi spettatori.

Fatta eccezione per le curve, nei tifosi è svanita la percezione di esser parte integrante dello spettacolo e di poterne mutare lo svolgimento con il proprio apporto comportamentale. Se venti anni fa andare allo stadio era un vanto, adesso è quasi una cosa da “scemo del villaggio”. Infine, perché bisogna essere onesti, non dimentichiamoci mai che per tanti continuare ad andare sulle tribune dovendo prima passare per le Forche Caudine burocratiche per acquistare un tagliando e poi per quelle necessarie ad accedere fisicamente sulle gradinate è totalmente (giustamente) incomprensibile. Così come spendere minimo 35/45 Euro per accaparrarsi un tagliando.

Saranno pure concetti che ripetiamo da anni, ma restano imprescindibili se si vuol analizzare la situazione attuale. Anzi, penso che con quanto perpetrato ai danni del pubblico romano (che oltre al “classico” inasprimento ha dovuto sorbirsi pure barriere, divisioni e multe a raffica) sia quasi un miracolo che in 50.000 abbiano deciso di alzare il sedere da casa e arrivare nei pressi del Foro Italico. E ripeto: scordatevi che la capienza dell’Olimpico sia ancora di 82.000 come riportavano i nostri vecchi album Panini negli anni ’90. Attualmente la capienza ufficiale è di 70.000 con ampie zone che, come detto, vengono lasciate invendute. Si arriva quindi ben al di sotto dei 65.000.

Parlando della sfida in oggetto, è il classico derby con una squadra che ha già quasi (o tutto) da perdere come la Roma e un’altra che (come detto) attraversa un buon momento di forma.

Gli Irriducibilicome da comunicato emanato in settimana – entreranno dopo il fischio d’inizio, mentre sin dalla fase di riscaldamento si intuisce che la Sud inscenerà una coreografia composta perlopiù da bandieroni. Il cuore del tifo giallorosso presenta ormai l’intera balaustra ricoperta da striscioni (da segnalare quest’oggi la new entry di Insurrezione) e, assieme alla balconate superiori, produce un ottimo colpo d’occhio dopo anni di vetrate lasciate vuote o piccole pezze sparse qua e là.

All’ingresso in campo delle squadre, come preannunciato, si leva al cielo la scenografia romanista: un mare di bandiere giallo ocra e rosso pompeiano riempiono la Sud, con alcuni fumogeni accesi che completano l’opera. Uno spettacolo semplice ma al contempo davvero ben riuscito. Esempio di come spesso le cose più “facili” da realizzare siano anche le più belle. La bandiera è, assieme alla sciarpa, per antonomasia il simbolo distintivo di ogni tifoso. Farne una scenografia al derby è pertanto fortemente identificativo.

Di contro, a livello canoro la Sud parte con il freno a mano tirato. C’è un’evidente tensione mista a paura di perdere, figlia dell’avvio di campionato tutt’altro che positivo. Il tifo giallorosso stenta a decollare, e l’ambiente almeno inizialmente è un po’ moscio. I laziali (che dal 5′ possono contare anche sulla presenza degli Irriducibili) si esaltano con un paio di tormentoni e sembrano maggiormente fiduciosi nei confronti di una squadra che, nella prima mezz’ora, tiene in mano il pallino del gioco spaventando i dirimpettai.

La musica è destinata a cambiare sul finale del primo tempo, quando un clamoroso errore della difesa biancoceleste permette al neo entrato Pellegrini di realizzare di tacco a porta sguarnita: boato e delirio in Sud, delusione in Nord. È il derby, partita in cui gli umori e le sensazioni sovrastano tutto e tutti. E, sempre onestamente parlando, sono davvero poche le stracittadine in cui ricordo un tifo perfetto da ambo i lati. Ma questo dato non va neanche interpretato negativamente: il trasporto per l’evento sportivo è parte integrante del modus vivendi del supporter italiano.

Nella ripresa il pubblico romanista può liberarsi della zavorra iniziale e cominciare a macinare tifo con maggiore costanza. Ciò si concretizza in varie manate di ottima fattura e alcuni cori eseguiti davvero bene da tutta la curva, mentre costante resta lo sventolio dei bandieroni.

In campo è la Roma a comandare le operazioni ora e a dar l’impressione di poter raddoppiare. E invece, come da migliore tradizione calcistica, al 67′ un marchiano errore di Fazio spalanca un’autostrada a Ciro Immobile. L’attaccante di Torre Annunziata non si fa pregare e in diagonale trafigge Olsen correndo ad esultare sotto la Nord. 1-1 sia nel punteggio che nelle fesserie difensive.

Ma il pari laziale è destinato a durare poco. Qualche minuto dopo infatti è l’ex per eccellenza, Kolarov, a trafiggere Strakosha con una punizione facilitata dalla pessima barriera disposta dall’estremo difensore albanese. Roma di nuovo in vantaggio ed esultanza rabbiosa della Sud. Nel finale Fazio riscatta l’errore e chiude i conti con un colpo di testa che sigla il 3-1.

Come immaginabile le due reti pesano come macigni sul morale degli ultras laziali, i quali faticano a riprendere vigore. Gioia irrefrenabile, invece, sulla sponda giallorossa del Tevere. La Sud è chiaramente in fermento e finisce la gara nel migliore dei modi, trascinandosi dietro buona parte dello stadio, ben lieta di esultare e ricacciare indietro i fantasmi di una crisi annunciata in caso di sconfitta nel derby.

Le ultime schermaglie svaniscono con il pubblico che sfolla lentamente. Al di fuori è un tripudio di clacson che annunciano il passaggio di tifosi romanisti. La stracittadina a Roma è proprio questo: il voler festeggiare 3 semplici punti che fino al ritorno potranno rinfacciare all’avversario. Sarà un atteggiamento provinciale, saremo noi romani degli schizofrenici umorali capaci di suicidarci il giorno prima e voler andare in paradiso il giorno dopo. Ma essendo la follia e l’imprevedibilità parte integrante delle teste di chi segue questo sport, cosa si potrebbe desiderare di meglio?

Testo Simone Meloni
Foto di Lello Onina

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