Solo per il fatto di aver acceso una quantità indefinita di torce e fumogeni, i leccesi meriterebbero la palma della migliore tifoseria italiana vista all’Olimpico negli ultimi anni. Non me ne voglia nessuno e premetto che rispetto veramente in maniera ossequiosa la scelta della maggior parte dei gruppi di non rischiare diffide “solo” per aver portato della pirotecnica allo stadio, ma al contempo va riconosciuto ai salentini il coraggio di provarci (e riuscirci pure). Un qualcosa che nasce da lontano e in cui non sono mai cambiati in questi anni. Un marchio di fabbrica della mentalità di un gruppo che – piaccia o meno – ormai da anni frequenta gli stadi seguendo coerentemente la propria linea di pensiero. E pagandone sovente dazio.

Ho visto gli Ultrà Lecce “accendere” settori ospiti in C come in B. Facendo colore alla loro maniera e sfidando apertamente uno dei divieti più stupidi, insensati e pretestuosi del calcio. Soprattutto di quello italiano, che ormai da anni ha bandito la pirotecnica comminando sanzioni pesantissime a chi – nel Paese che in Europa è famoso anche per i fuochi d’artificio – tenta ancora di creare un sussulto nel grigiore generale.

Sì perché a differenza di altri Stati, dove in un modo o nell’altro si è arrivati a legalizzare ufficiosamente torce e fumogeni, nel nostro il loro utilizzo rimane forse il più grande atto di ribellione e non rispetto di futili regole all’interno di uno stadio. Colorare con la pirotecnica è praticamente l’ultimo atto puro e visivo di cui il mondo ultras può disporre. Non a caso quello più pericoloso in termini di repressione, se parliamo di organizzazione del tifo.

Penso a questo mentre un Vigile del Fuoco si adopera in uno dei gesti più romantici, la cosa a cui tante generazioni sono state abituate e che rimanda la mente agli spettacoli di fumo e fuoco cui le curve nostrane erano solite: raccogliere una torcia, darle l’ultima spinta vitale agitandola verso il secchio pieno d’acqua, dove verrà spenta.

Gli ultras leccesi hanno fatto il loro ingresso qualche minuto dopo il fischio d’inizio, con la Sud ancora in silenzio e spoglia di striscioni per solidarietà viste alcune diffide arrivate nelle ultime settimane. Un silenzio che viene rotto al 15′ da un “Lecce, Lecce vaff…” che sembra esser seguito da tutto lo stadio e che getta la maschera su quanto il pubblico romano poco tolleri il comportamento spavaldo in casa propria. Non a caso questa è una signora sfida, con protagoniste due tifoserie ruvide e poco inclini a lasciar correre ciò che non amano. Peraltro tra le due fazioni ormai esiste una datata rivalità, che affonda le proprie radici a inizio anni 2000.

Le due curve tornano a fronteggiarsi all’Olimpico dopo diversi anni. Nell’ultimo Roma-Lecce, infatti, il contingente ultras leccese non arrivò a destinazione a causa degli ormai celebri incidenti verificatosi in autostrada con i baresi. Quella, peraltro, fu l’ultima partita prima delle chiusure Covid. Sempre a causa della pandemia ai giallorossi di Puglia fu interdetta la trasferta di Coppa Italia, nel gennaio dello scorso anno.

Stimolata dall’ottima prestazione dei dirimpettai (che oltre alla pirotecnica si mettono in mostra anche dal punto di vista vocale: tante manate e cori tenuti con una certa costanza), anche la Sud si prodiga in una buona prestazione di tifo. Va detto che rispetto alle partite europee (non ultima quella con il Betis Siviglia di tre giorni prima) la composizione del pubblico sembra essere differente, con molti meno spettatori ad appannaggio di tifosi veri e propri, che hanno voglia di farsi sentire e condurre la squadra alla vittoria.

In campo è la squadra di Mourinho a conseguire i tre punti, vincendo per 2-1 e rimanendo attaccata al gruppone di testa.

Da segnalare, a partita terminata, il fitto lancio di torce e oggetti tra settore ospiti e Curva Nord. Uno scenario molto simile a quanto visto qualche giorno prima in Europa League, segno di evidente fermento e riottosità su ambo i fronti.

Simone Meloni