Quando con la bicicletta mi avvicino allo stadio, il Lungotevere è insolitamente sgombero e silente. Giocare in serale di fine agosto ha anche i suoi vantaggi: trovare una città vuota dove gli unici superstiti sono probabilmente i tifosi che hanno rinunciato a qualche giorno di vacanza o hanno modulato le proprie ferie in base al calendario, per non perdersi neanche questa seconda partita di campionato.

L’affannoso respiro dell’Olimpico – stretto dalla morsa della canicola capitolina – si ode subito dopo aver imboccato Viale dei Gladiatori. Sede storica dell’impianto eretto nel 1960 in occasione delle Olimpiadi. Ed è un fruscio sonoro che di volta in volta mi riporta un po’ a casa. Un qualcosa che continua ad accomunare centinaia di malati, che anche in età adulta riescono a trovare nello stadio quel lato infantile e visceralmente passionale necessario a ingannare storture e amarezze quotidiane.

Bando alle ciance, si gioca Roma-Monza. E l’Olimpico registra l’ennesimo tutto esaurito con oltre sessantamila spettatori presenti sugli spalti. Da Monza sono giunti circa trecento supporter. Tanti? Pochi? Non voglio entrare nel merito, ma da più parti ho sentito e letto toni e giudizi di scherno nei confronti della compagine e della tifoseria brianzola. C’è chi li ha paragonati al Chievo e al Sassuolo e chi, ancora, ne spera la lenta dipartita in cadetteria a causa della coppia gestionale Berlusconi/Galliani.

In tal senso mi sento di dire la mia: da un punto di vista ultras magari i biancorossi non avranno i numeri di piazze metropolitane, ma se si guarda anche indietro hanno una tradizione di tutto rispetto. Ci sono stati anche quando il Monza annaspava tra i dilettanti, così come in B e in C. A differenza di tante altre curve decantate e blasonate, aggiungerei. E a memoria ricordo anche che quando hanno avuto l’occasione di confrontarsi con tifoserie rivali non hanno fatto poi figure barbine. Pertanto direi che a livello ultras parliamo di una Curva che nel panorama nazionale si è sempre ritagliata uno spazio.

Inoltre andrebbe sempre ricordato che Monza è una città a due passi da Milano, che dalla stessa rischia dunque di esser fagocitata. Un tessuto urbano in cui trovano spazio tantissimi meridionali e stranieri di seconda generazione, che giocoforza sono più portati a sostenere le big del calcio italiano, non avendo ovviamente radici nel centro urbano lombardo. Per la Curva Pieri non dev’essere una passeggiata barcamenarsi tra queste oggettive difficoltà sociali e sicuramente non ha neanche la possibilità di contare troppo sull’aiuto della provincia, sempre per le ragioni di cui sopra. E chi fa paragoni inappropriati o le ignora – queste difficoltà – oppure giudica con poca obiettività.

Si vuol paragonare il club a Sassuolo e Chievo? Beh, chiedo venia ma non mi trovo proprio d’accordo. Monza e il Monza non navigano nel professionismo calcistico dall’altro ieri, ma da sempre. Negli anni ottanta i brianzoli andarono più volte vicini alla promozione in massima divisione e se questo fosse avvenuto – lo dico sinceramente – oggi probabilmente in molti ne avrebbero la percezione che si ha per il Como, l’Avellino, l’Ascoli, il Pisa, il Catanzaro, etc etc. Oppure, andando ancor più indietro nel tempo, del Legnano e del Lecco.

Ma forse il Monza non si è costruito ancora una sufficiente retorica per essere giudicato “come si deve”. Capisco che Berlusconi possa togliere l’obiettività a molti. Eppure sono gli stessi che ce l’hanno avuto al Governo per oltre vent’anni (o si è votato da solo?) e che ne hanno applaudito le parabole calcistiche con il Milan. Parabole che hanno profondamente cambiato il nostro pallone, dando vita a quello che in tanti chiamano “calcio moderno”. Ma che io mi limiterei a definire “calcio contemporaneo”. Al Monza manca quindi quella retorica della “nostalgia”, quella dell’ormai stucchevole mantra “ai miei tempi era meglio”.

Io resto convinto che il problema della Serie A non sia l’approdo di club come quello biancorosso. Semmai è la permanenza di società e tifoserie senza alcun retroterra storico ad annacquarne l’essenza. Senza uno stadio, senza un attaccamento al territorio. In quei casi si dovrebbe costantemente gridare al pubblico ludibrio e rimanere basiti. E chi scrive è alquanto selettivo in fatto di promozioni nelle due maggiori serie italiane. Oltre al chiaro riferimento al Sassuolo, credo ci siano altri club che davvero poco c’entrino con queste categorie e che rappresentino – da un punto di vista storico e di immagine – una pessima pubblicità per il nostro già derelitto sport nazionale.

Fatta questa dovuta constatazione, posso passare all’aspetto ambientale: rispetto alla precedente gara con la Cremonese, la Sud sembra avere una marcia in più e sin dal prepartita riesce a coinvolgere un pubblico chiassoso ed esuberante. Al momento dell’inno come sempre tutto lo stadio si colora con una bella sciarpata, mentre nello “spicchietto” sopra Nel Nome di Roma vengono srotolati una sorta di tirantes con i colori social e la frase ripresa da Sora Rosa di Antonello Venditti “Se c’hai un core tu me puoi capì, se c’hai n’amore tu me puoi seguì”. Menzione anche per il muretto dei Fedayn che si presenta con diverse torce accese, sventolando “stilose” bandierine recanti lo storico simbolo della morte incappucciata. Notevole anche il Distinto lato Tevere, ormai ben rodato e partecipativo al tifo.

Durante i novanta minuti il sostegno degli ultras romanisti raggiunge ottimi picchi, alternando lo sventolio dei numerosi bandieroni a manate eseguite dall’intero settore con tutti i vessilli abbassati. L’entusiasmo del periodo è tangibile e malgrado in qualche occasione il potenziale vada un pochino dilapidato (anche a causa della difficoltà nel coordinare praticamente ventimila persone, se si contano anche i Distinti) il risultato a livello d’impatto visivo merita assolutamente una promozione a pieni voti.

Nel settore ospiti i monzesi fanno il loro, tifando per tutta la partita, colorando il proprio spazio con alcuni bandieroni e mettendo in mostra una sciarpata a inizio secondo tempo. Una buona prova malgrado in campo gli uomini di Stroppa dimostrino serie difficoltà nell’approccio alla categoria.

Dopo i primi minuti di titubanza, la Roma prende il comando delle operazioni e regola facilmente gli avversari grazie alla doppietta di Dybala e al gol di Ibanez. Il pubblico giallorosso esulta e acclama i propri giocatori al triplice fischio, sulle note di Grazie Roma.

Lo stadio si va man mano svuotando, con le strade che questa volta si riempiono. Ingorghi, traffico e centinaia di clacson che suonano all’impazzata, un po’ per la vittoria e un po’ in pieno spirito goliardico romano. Fa ancora molto caldo e serate come queste non meritano di essere sopite nel letto a dormire, meglio concedersi un sano giro in bicicletta per le vie del centro. Anche perché pure i turisti sembrano latitare, il che non può che essere un valore aggiunto!

Simone Meloni