Torno all’Olimpico per un Roma-Napoli a distanza di otto anni dall’ultima volta. Una scelta ben precisa la mia, relativamente a una gara che – nel suo contesto stadio – ormai da anni non può considerarsi completa, vera e realmente interessante. Manca la controparte, manca il tifo, manca l’aspro confronto e, di conseguenza, manca la base di qualsiasi partita abbia come protagonisti gli ultras. Certo, non parliamo di una rivalità qualunque, inutile girarci attorno. Lo storico – soprattutto quello recente – parla chiaro. E con tutta probabilità questa resta davvero l’unica partita in Italia con una soglia di pericolo ben al di sopra della norma. Tuttavia, fedelmente a quanto detto e pensato sempre, continuo a sostenere che il divieto non possa e non debba essere sempre e comunque l’unica soluzione. E che dietro a esso le autorità continuino a nascondersi per giustificare la propria negligenza e la propria incapacità di fare prevenzione.
Gli esperti soloni saranno testé pronti a tirar fuori – ultimi in ordine cronologico – gli incidenti dello scorso febbraio in autostrada. Eppure, svanita la coltre di sensazionalismo e accanimento mediatico, la domanda che andava fatta allora e che andrebbe ancora fatta oggi è: com’è stato possibile far incontrare due tifoserie che, si sapeva già da tempo, viaggiavano sulla stessa strada in direzione dei rispettivi settori ospiti? Ci voglio mettere il carico da undici: io sono convinto che – al netto di non condivisibili esagerazioni delle due tifoserie – si sia arrivati a un livello così alto di tensione anche grazie a tutta la sequela di divieti ed esaltazioni esercitate ad arte attraverso media e social. Non che permettere le trasferte avrebbe sicuramente scongiurato eventuali tumulti, ma sicuramente avrebbe in parte funzionato da valvola di sfogo. Contestualmente mi rendo conto che per il Paese timoroso e timorato che siamo diventati, prendersi una simile responsabilità sia a dir poco da escludere. Ragione per il quale sono sufficientemente convinto che non rivedremo mai un Roma-Napoli e Napoli-Roma con i vicendevoli contingenti ultras. Diciamo pure che nel mare magnum dell’utilizzo “sciocco” dei social network, come sempre, anche parte delle tifoserie ci mette del suo, laddove il silenzio sarebbe davvero d’oro.
So di poter far storcere il naso a qualcuno, ma vi rammento che anche sfide a dir poco calde come Genoa-Milan sono tornate a giocarsi a porte aperte per tutti (ovviamente sottintendo il “tutti” del 2023, vale a dire quello con tessera del tifoso e limitazioni varie). Il contesto sociale delle due città è diverso anche in ottica di una trasferta? Vero, verissimo. Ma personalmente credo che restino sempre scuse. Scuse per non permettere una fruizione quantomeno “normale” degli stadi.
Sta di fatto che in virtù di tutto ciò, la mia scelta di non assistere a questa sfida è stata dettata proprio della mancanza della sua anima. Come non andrei mai a un derby vietato agli ospiti, non posso andare allo stadio in occasione di una delle principali rivalità per ambo le fazioni e non poter “godere” del dirimpettaio. Ripeto: è un’inimicizia particolare, ben diversa da tutte le altre. Sicuramente oltre all’odio calcistico entrano in gioco tanti altri fattori, che fanno passare in secondo piano anche molte dinamiche legate alla cosiddetta “mentalità”. Eppure, da ingenuo che vuol vedere ancora la parte “normale” in tutto, non posso abituarmi a insulti e provocazioni contro un settore ospiti vuoto (al San Paolo) o popolato da improbabili personaggi provenienti da tutte le zone d’Italia tranne che dalla Campania (all’Olimpico). E io in fondo credo che chiunque, almeno una volta, abbia fatto una trasferta a Napoli o a Roma al seguito di giallorossi o azzurri, capisca ciò che sto dicendo. Al netto dell’acredine ormai ampiamente diffusa anche nei non tifosi, non poter vivere appieno nei novanta minuti questa sfida è un handicap troppo forte per il sottoscritto. Dispiace che ci sono e ci saranno intere generazioni impossibilitate a vivere questo match in trasferta. È stato un qualcosa di formativo per chiunque l’abbia provato!
Attenzione: con questo non sto assolutamente dicendo che anche per gli altri 65.000 spettatori presenti sia o debba essere così. Anzi, a giudicare dall’ambiente, ormai la partita col Napoli è interpretata alla stregua di un derby, ancor più che nel passato. Tanto è vero che all’Olimpico in questa giornata pre natalizia ho davvero poco da recriminare: tutti i settori bravi nel partecipare spontaneamente al tifo (sempre notevole la quantità di fumogeni accesi in zone dove generalmente siede gente che additata come “tranquilla”), una Curva Sud davvero in ottima forma e il muretto della Nord come sempre notevole in intensità e partecipazione. L’andamento del campo, con la Roma che alla fine regolerà i partenopei all’inglese grazie ai gol di Pellegrini e Lukaku, accende ancor più il pubblico capitolino, regalandogli un Natale coi fiocchi e ricevendo in cambio numerosi scoppi di petardi (si vede che il capodanno incombe). Da sottolineare, inoltre, la piccola coreografia composta da bandierine giallorosse realizzata dai “Boys” a inizio partita (che ormai si dimostrano muretto rodato e sempre attivo), l’esposizione nel Distinto lato Tevere dei due bandieroni che sui social, nell’immediato pre partita di Bologna-Roma, erano stati dati per sottratti dai felsinei, e diversi striscioni esposti per incoraggiare ragazzi attualmente soggetti a restrizioni.
In merito a quanto succede ogni volta nel post partita, vorrei ribadire quanto – a mio avviso – il saluto dei giocatori romanisti potrebbe essere più empatico nei confronti del proprio, instancabile, pubblico. Difficilmente si vede la squadra portarsi vicino ai settori, preferendo un tiepido applauso da centrocampo e, addirittura, “dimenticando” a volte persino quello verso la Nord, dove comunque ormai è consolidato il sostegno costante di oltre centocinquanta ultras. Per carità, scene di gente che catechizza la squadra o che pretende i ringraziamenti in quanto “tifoso di curva” non mi hanno mai aggradato, ma penso che anche in una categoria plastificata come la Serie A, almeno nelle piazze ancora minimamente legate alla propria gente, i calciatori debbano avere considerazione di chi si sbatte dentro e fuori per non fargli mancare mail il sostegno. Terminata questa ennesima – e forse futile – polemica, posso dichiarare chiuse le ostilità.
Ci rivediamo tra altri otto anni (sic!)!
Simone Meloni