Oltre alla sua sfrenata rappresentazione commerciale, la Coppa “dalle grandi orecchie” finisce sovente per essere la tomba del bel tifo. Questo perché le squadre che vi prendono parte sono le più blasonate d’Europa e, di conseguenza, quelle con il tifo più variegato, ormai sradicato dalle proprie tradizioni e attento solo al “prodotto” anziché al cuore.
Per questo motivo l’aver pescato il Porto agli ottavi non è una cattiva notizia. Il Portogallo è una terra dormiente, tranquilla e umile. Un’umiltà che, in ambiente curvaiolo, ha sempre strizzato con ammirazione l’occhio all’Italia. La Torcida Verde, la Mancha Negra, la Furia Azul, il Collectivo, i Super Dragoes e le Panteras Negras sono tra i principali emuli del nostro movimento. Ancora oggi ricordo con simpatia i loro annunci sul vecchio Supertifo. Vogliosi di scambiare materiale e conoscere il nostro modo di vivere lo stadio.
Ok, magari non parleremo dei Grobari o dei Delije, ma quello lusitano è comunque un movimento di tutto rispetto. Sicuramente più sviluppato e vivibile rispetto al triste melange presente nei vicini spagnoli. E stasera ne avrò una prima conferma, in attesa del match di ritorno al mitico stadio Do Dragao.
L’Olimpico presenta un colpo d’occhio di tutto rispetto. I presenti sono 51.000, di cui 3.500 nel settore ospiti. Un dato che – va detto – è anche rinfoltito dalla massiccia comunità portoghese sparsa nel Vecchio Continente.
Le ultime prestazioni della Roma, culminate con l’umiliante 7-1 di Firenze, vengono parzialmente accantonate per una serata, sebbene la Sud – imbandierata per l’occasione – ci tenga a ribadire il proprio pensiero in vari modi: sul balconcino dei Fedayn viene esposto lo striscione “Rispettate la maglia” mentre a più riprese la curva ribadisce di tifare solo la casacca e durante il match verrà esposto uno striscione contro Kolarov, reo di aver ripetutamente mancato di rispetto ai supporter giallorossi.
Un rapporto, quello tra tifosi e calciatore serbo, che malgrado i suoi trascorsi laziali si era sempre mantenuto indifferente, salvo cominciare ad incrinarsi con alcune dichiarazione in cui lo stesso invitava la gente a non parlare di calcio in quanto “incompetente”. Prima di partire per Firenze l’episodio che ha definitivamente rotto gli argini: alla Stazione Termini un ragazzo invita la squadra a “svegliarsi” e, per tutta risposta, Kolarov gli dice “Sveglia tua madre”. Se ci si mette che poche ore dopo lui, assieme ai suoi compagni, sarà il protagonista di una delle pagine più vergognose della storia romanista la frittata è fatta.
A prescindere da tutto poi mi chiedo: se l’episodio fosse accaduto al contrario? Probabilmente qualcuno ci avrebbe fatto titoli a dieci colonne parlando di “agguato dei tifosi alla Roma in partenza”.
Purtroppo i giocatori sono diventati delle star intoccabili e anche solo pensare di contestarne l’operato equivale a bestemmiare sull’altare di San Pietro. Sono molto lontani i tempi in cui il rispetto della maglia e della gente faceva inconsciamente parte del contratto firmato. Anche perché oggi esiste una fetta di pubblico pronta a vendere la madre al Diavolo in cambio di promesse – anche solo di queste – di successi e prosperità.
Una cosa è certa: a fine carriera il signor Aleksandar Kolarov da Belgrado con tutta probabilità non metterà più piede nella Capitale. I suoi atteggiamenti e le sue scelte sono riuscite a mettere d’accordo ambo le sponde del Tevere!
Tornando all’ambiente di questa sfida, durante l’inno tutto lo stadio si esibisce in una bella sciarpata, con la Sud che si colora di qualche torcia cautamente gettata in terra. Se l’impatto iniziale è molto bello, va detto che soprattutto il primo tempo non è all’altezza delle aspettative, con il tifo che sembra un po’ in affanno e stenta a decollare. Mentre nella ripresa, anche grazie alla squadra che segna in pochi minuti due gol, il ritmo dei cori prende vigore salvo poi calare nuovamente nel finale, dopo il gol del Porto che fissa il risultato sul 2-1.
Ma a prescindere dal giudizio sulla sola Sud, oggi mi preme sottolineare un qualcosa di più complessivo, che va ben al di là dell’Olimpico: il latente imborghesimento del pubblico italiano. Al di fuori delle curve si assiste ormai, quasi sempre, a tribune dalla scarsa partecipazione. Sembra a volte di trovarsi di fronte un pubblico da balletto classico (con tutto il rispetto per questa nobile arte). Ed è un dato abbastanza incontrovertibile, che trova conferma in tutta la Penisola e in particolare nelle grandi città e nella massima categoria.
Questa sensazione, poi, esce fuori venendo a contatto con realtà straniere. Ripenso alle tribune di Lione, a quelle di Mosca, a quelle di Rotterdam o a quelle di Francoforte. Un pubblico normale, senza pretese di tifo organizzato, in grado però di creare un catino coinvolgente.
Mettiamoci pure che il folle incremento dei biglietti (anche oggi una curva in vendita libera costava ben 40 Euro) ha per forza di cose allontanato tanti habituèe e tanti appartenenti alla working class in cambio di occasionali da poltrona e “turistoni” in gita a Roma più per vedere il Colosseo e i Fori che per tifare una squadra di calcio.
Per quanto riguarda il settore ospiti, i portoghesi si presentano con i vessilli dei due principali gruppi: Super Dragoes (addirittura con striscione da casa, se non erro) e Collectivo Ultras (questi ultimi accompagnati dagli amici doriani dei Fieri Fossato). Complessivamente offrono un bello spettacolo, dando dimostrazione di aver appreso molto bene il nostro modus vivendi ed averlo importato fedelmente – e anche con delle migliorie – in riva all’Oceano Atlantico.
Si mettono in mostra anche per qualche esuberanza di troppo, dopo il vantaggio romanista. Dieci minuti di scaramucce con gli steward che richiamano sotto al settore ospiti gran parte del servizio d’ordine a disposizione. La situazione va lentamente calmandosi, lasciando però almeno la sensazione di aver di fronte una tifoseria vera, fatta di sentimenti e reazioni e non solo di smartphone e sciarpe legate sulla fronte.
Come detto la Roma in campo vince per 2-1, grazie alla doppietta di Zaniolo, il diciannovenne che ha deciso di dedicare tutte le sue esultanze alla Curva Sud. Pugno alzato e corsa d’altri tempi. Chissà quanto durerà in un calcio che tende sempre più a sopprimere questo genere di spontaneismo. Chissà quanto durerà in una società che – negli ultimi anni – ha regolarmente venduto quasi tutti i suoi perni e i punti di riferimento per la tifoseria.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr.