L’ultima volta in cui ho messo piede allo Stadio Olimpico la ricordo perfettamente. E come potrebbe essere diversamente. Era un Roma-Lazio, la Sud aveva organizzato una coreografia che coinvolgeva anche i distinti– e questo, a memoria, non avveniva da un decennio – e poco dopo la fine della partita ricevemmo la notizia della morte di Kobe Bryant a causa di un incidente aereo.  

E per chi vive l’amore per la propria squadra alla Febbre a ’90, un anno e mezzo abbondante di assenza forzata dagli spalti non è cosa semplice da digerire, quindi un’amichevole di sabato 14 agosto diventa l’appuntamento di questo mese, in attesa dell’inizio del campionato.  

Per meglio dire, l’attesa di conoscere in che modo avrebbero riaperto gli stadi e che tipo di vita sarebbe stata garantita ai tifosi all’interno degli impianti era spasmodica.  

Punto primo, il Green Pass. Prerogativa prevedibile. Punto secondo, la capienza. Ad oggi, 15 agosto, concessa al 50% effettivo in tutti gli impianti italiani. Punto terzo, i regolamenti dei singoli stadi, aggiornati per l’occasione. 

In settimana si sono susseguiti i comunicati di decine di tifoserie italiane che annunciavano la propria assenza, chi per il Green Pass obbligatorio chi per la capienza ridotta, mentre il panorama ultras romanista si è diviso, con la maggior parte dei gruppi presenti con striscioni e pezze e i Fedayn assenti per protestare contro la capienza ridotta. In realtà, per quanto mi è stato possibile osservare, anche i ragazzi di Nel nome di Roma non erano presenti all’Olimpico (ma sembra che lo saranno a partire da Roma-Fiorentina), e mi scuso se ho dimenticato  l’assenza di qualche gruppo, ma la visuale dall’interno mi impediva di osservare la vetrata bassa. La Tevere invece era spoglia degli striscioni dei Roma Club, un evento più unico che raro di cui non conosco  le motivazioni, mentre in Nord (e in misura minore in Monte Mario e Tevere laterale) si sono sistemati i tifosi del Raja Casablanca, in grandissimo spolvero come era facile prevedere. 

Occorre però fare un passo indietro. Dopo che per settimane le autorità si sono dette brave da sole per l’organizzazione delle partite dell’Europeo a Roma, i giornali sportivi e non hanno annunciato in pompa magna che  per le partite all’Olimpico di Roma e Lazio sarebbe stata applicata la stessa formula vincente per l’afflusso dei  tifosi.  Sarebbe interessante porre una domanda diretta a questi geni contemporanei dell’organizzazione di eventi e ai giornalisti che ne elogiano l’operato: “A livello pratico, in cosa consiste questa ricetta miracolosa?”. Rispondo io: a nulla. 

Chi non ha dimestichezza con la frequentazione degli stadi necessita di alcune istruzioni per l’uso per poter tradurre in termini pratici le vagonate di cliché e inesattezze che gli esperti di mercato(scusate, l’ho detta grossa) utilizzano quando loro malgrado sono costretti a scrivere dell’argomento che meno conoscono: la vivibilità  degli  stadi. Quindi se sentite parlare di formule vincenti, modelli, ricette, sistemi o protocolli significa che non è cambiata una virgola rispetto al passato. Anzi, è assai probabile che qualcosa sia peggiorato rispetto alle  condizioni precedenti. È un assioma, certo come la morte. E se non fosse che anche in quel campo non ne azzeccano una neanche per scherzo, si potrebbe invitare la pletora di Gianni Brera che non ce l’hanno fatta a tornare ad occuparsi di calciomercato. 

Date  queste  premesse, le aspettative rispetto ad una organizzazione umana dell’afflusso di tredicimila anime per una partita insignificante alla vigilia di Ferragosto non raggiungevano certo vette himalayane, ma la speranza è l’ultima  a morire – dicono  – quindi mi avvio verso i preflitraggi dell’obelisco. Faccio la breve fila, arriva il mio turno e mi viene detto che qui non entra chi ha il biglietto  di Curva Sud. Strano, ho pensato. Sopra la testa del perentorio steward campeggia una scritta in maiuscolo discretamente grande che recita “CURVASUD”. Deve essere un nuovo gioco per rendere più frizzante e meno scontato l’ingresso, daje.

Invece è tutto serio. Mi comunicano che sul biglietto è disegnato il percorso che devo fare e che “il cartello è sbagliato”.

La farsa, as usual, è iniziata. Ma se mi fossi aspettato qualcosa di diverso sarei stato io il cretino.

Giro l’angolo e ai piedi del centralino del tennis c’è un enorme assembramento, privilegio esclusivo di chi deve entrare in Sud. Tutti accalcati, bambini schiacciati senza possibilità di muoversi autonomamente e persone che tra mascherine e caldo torrido rischiano di soffocare. Il solito, insomma. Ci sarebbe da ridere se non fosse che i nuovi protocolli, le nuove ricette magiche di chi dovrebbe garantire la mia sicurezza in tempo di pandemia espongono tutti i malcapitati di quella calca indegna al contagio, e questo non può essere ammissibile.

Sono probabilmente una delle persone che più si è tutelata nell’ultimo anno e mezzo, che ha evitato assembramenti, cene con amici, locali affollati e non ho alcuna intenzione di sentirmi in pericolo per la straordinaria incapacità e negligenza di chi non riesce ad organizzare una amichevole con lo stadio deserto. Questo è il tema.

Finché eravamo costretti a fare una fila stronza per entrare, lo accettavamo. Ma se ora per l’incapacità di questi individui viene messa addirittura in pericolo la nostra salute, che vadano a farsi fottere.

Ad onor del vero, la Roma non c’entra con tutto questo. E un funzionario della società fuori la Sud, sommerso dalle proteste dei tifosi, annuiva e imbarazzato ripeteva che se ne stavano occupando. Si spera, quindi, che per Roma-Fiorentina della prossima settimana – dove saranno presenti il triplo delle persone di ieri sera e si registrerà un tutto esaurito (al 50%) – la situazione sia migliore e più sicura.

Dentro lo stadio non è cambiato nulla, letteralmente. Era circolata la voce che non avrebbero permesso  l’ingresso  di  bandiere e striscioni ma fortunatamente non è stato così. Quindi eccezion fatta per il muretto dei Fedayn e l’angolo in basso a sinistra occupato solitamente da Nel nome di Roma, entrambi rimasti spogli,la curva si presenta  vestita delle sue sigle ultras. Complice la data, le assenze di chi protesta e il disorientamento per la nuova situazione, sono presenti molti occasionali ma, nota più che lieta, una marea di bambini che – guarda un po’ – si sono divertiti a cantare i cori per tutta la partita, in barba a chi li vorrebbe lontani dagli stadi a causa degli ultras e non degli orari indegni e delle partite in serale di lunedì.

Il  gruppo  Roma lancia i cori e la gente che si è presentata ha voglia di cantare dopo la lunghissima assenza quindi, tutto sommato, la prestazione canora della Sud è stata buona, considerando  le  innumerevoli  problematiche del  momento. Notevole il Forza Roma, Roma Campione ripetuto  due  volte,  che  ha  fatto  rimbombare  il  suono  come  ai  vecchi  tempi.  Da segnalare uno  striscione  dei  Boys in  memoria  del  compianto  Roberto  Scotto,  storico  ultras genoano pianto dai tifosi di tutta  Italia.

Sugli ospiti che dire, prestazione ultras di altissimo livello. Sono circa 2500, vengono da tutta Europa e alcuni addirittura dal Marocco e ci tengono, si vede, a mostrare il loro volto ultras nel paese da cui traggono ispirazione a livello di tifo. Tre striscioni  in italiano, la pezza ‘eagleseurope‘  e due torciate vecchia maniera per mostrare al mondo che non esiste solo l’Europa dell’est o del nord come nuova frontiera del mondo ultras. Il gruppo più compatto  segue la partita a torso nudo e, soprattutto  nel secondo tempo, fornisce un’ottima prestazione con  cori potenti che arrivano fino alla Sud e provocano la reazione canora dei giallorossi.

Triste che a fine partita i giocatori del Raja si siano fiondati da Mourinho per chiedere una foto dimenticandosi di salutare i propri tifosi giunti in massa.

Ciò detto, anche se è oramai pleonastico parlarne, è incredibile come le regole dell’Olimpicoidiote, se parliamo ad esempio del divieto di introdurre e usare fumogeni e torce – vengano fatte rispettare solo ed esclusivamente ai tifosi di casa. Se la Sud avesse messo in scena una torciata come quella dei nordafricani sarebbero fioccate denunce e diffide, si sarebbe attivata la macchina del fango e a farne le spese sarebbero stati dei ragazzi il cui unico intento è quello di colorare la curva. Agli ospiti è tutto permesso (vivaddio!), ai locali nulla è concesso. E come fa a risultare credibile chi in modo così palese utilizza due pesi e due misure? Rispondo sempre io: non può esserlo.

E a causa dell’ormai trentennale narrazione distorta  sugli ultras e più in generale sui tifosi da stadio, chi è posto a tutelare l’ordine pubblico pensa a contenere i tifosi e non ad agevolarne la vita e garantirne la sicurezza. Se mi è vietato accendere un fumogeno (innocuo, cazzo) ma vengo costretto ad accalcarmi ad altre cinquecento persone in tempo di Covid c’è evidentemente qualcosa che non funziona ed è un problema culturale più che pratico.

E l’ingresso organizzato in modo incivile allo stadio non è l’unico sintomo di questo errato modus operandi. Basti pensare che gli schermi led pubblicitari posti sulla linea di fondo campo, impediscono la visuale della stessa linea di fondo a più di metà curva, tifosi che hanno pagato un regolare biglietto esattamente come tutti gli altri. Vi immaginate se dalle prime cinque file di una sala cinematografica si potesse vedere solo tre quarti  dello schermo?  Chi comprerebbe anche solo un’altra volta un biglietto per quella sala?

Per non parlare dei posti vista vetrata, dove è assolutamente impossibile vedere più di metà del terreno di gioco.  Ma queste storture  insopportabili sono diventate prassi. A nessuno interessa metterle in luce e i tifosi, soggiogati dall’amore che impedisce loro di mandare a fare in culo il baraccone calcio, sono tristemente abituati a questi piccoli soprusi.

Quindi il discorso andrebbe ribaltato: come è possibile che circa trentamila persone (in tempi pre Covid) sottoscrivano un contratto che le lega a partecipare ad eventi che si svolgono allo Stadio Olimpico una volta ogni due settimane e che nonostante tutto (ed è un tutto tutt’altro che retorico) mantengano un altissimo grado di civiltà, sopportando in silenzio di essere trattati da cittadini di seconda serie? In questo caso, la risposta non la ho.

Niccolò Mastrapasqua