Il tram numero 2 cammina stancamente verso il capolinea di Piazza Mancini. Tanti ragazzi sono al suo interno per raggiungere lo stadio. Ormai non ci faccio quasi più caso, anche se stavolta mi soffermo a sentire un loro discorso. Sperano che l’Inter – nel frattempo impegnata con l’Atalanta per il posticipo delle 12,30 – riesca a pareggiare. In maniera da poter riscuotere la schedina giocata.

Poco importa che i nerazzurri siano, teoricamente, una diretta avversaria della Roma. Poco importa che essi siano anche una “nemica” storica dei giallorossi. Dal “picchetto” al fantacalcio, ormai le esultanze sono indirizzate quasi esclusivamente verso questi aspetti commerciali ed astratti del calcio. Un po’ come quando, durante le partite, si sentono grida di gioia o disperazione all’arrivo dei parziali di altri campi. Sensazioni che variano in base al giocatore che si ha sulla Fantagazzetta o all’X2 che sta saltando per colpa di una data partita.

Penso che allora non ci sia molto di cui sorprendersi quando si osservano le curve e si pensa al loro imborghesimento, alla loro bassa voglia di rendersi ancora parte integrante dello spettacolo e a quell’indolenza che troppo spesso ne contraddistingue i comportamenti.

È tutto strettamente legato.

Questa corsa al “nulla” è incredibilmente avvilente.

La curva ancora una volta mezza vuota durante l’inno. I buchi vistosi in determinate zone del settore e un tifo che sovente, almeno nel primo tempo, si fa sovrastare dai circa cento doriani presenti nel settore, sono segnali che non andrebbero sottovalutati. Ma presi in considerazione e analizzati con dovizia. Se non altro per un retaggio storico che dovrebbe far leva su un settore che rappresenta il cuore pulsante di un universo, quello giallorosso.

Si è persa la cultura delle gradinate, con tutta probabilità. La colpa va ricercata in tutti. Ultras e non. Se oggi qualcuno pensa di sottoscrivere un abbonamento per venire quando gli va allo stadio o se qualcun altro pensa sia sufficiente entrare nel settore per poi non aprire mai bocca, vuol dire che nel corso degli anni non si sono instillati nella mente di questi ragazzi i giusti criteri aggregativi e con i quali chiunque dovrebbe andare in curva solo se disposto al sacrificio.

Ma invece è proprio il sacrificio a mancare. Quel “dare di più” quando la squadra è in sofferenza o, peggio ancora, in piena apnea. Certo, lo so perfettamente: la Roma di questi anni farebbe passare la voglia anche al più ardente dei tifosi. So bene che i campionati fotocopia, i risultati sportivi latitanti, il non lottare quasi mai per un traguardo, appiattiscono la voglia di far baldoria.

So bene quanto la folle repressione romana abbia freddato tanti bollenti spiriti. Così come so quanto il rientro post-barriere sia costato in fatto di forze mentali e umane.

Ma dipende davvero solo da questo?

Un potenziale come quello della Sud sa esprimersi soltanto al 10%? Non ci credo e non ci voglio credere. Proprio perché conosco la materia in questione.

Tirar fuori l’abito buono soltanto in rare occasioni, solo nelle serate di coppa o nei match di cartello (e questo comunque non avviene sempre), è un atteggiamento che a queste latitudini si è sempre rimproverato ad altri. A quelli che sostenevano la squadra solo nel bene. Ovvio che, almeno a livello numerico, a Roma le cose non stiano ancora così. Ma la strada intrapresa è pericolosa e pericolante. Se non si prende coscienza dei propri limiti e delle proprie carenze, credo che il declino sia inevitabile e irreversibile.

C’è bisogno di interessamento, di metter da parte le piccolezze e tornare di nuovo a ragionare in grande. Perché un luogo come la Curva Sud è un pezzo di storia del movimento ultras internazionale.

Infine sui doriani: apprezzo sempre il loro modo di approcciare lo stadio. Belli da vedere, con tante bandiere e le mani sempre in movimento. Tuttavia mi si lasci dire che per una partita disputata di domenica alle 15 ho trovato la loro presenza un tantino risicata nei numeri. La Samp non naviga certo nei quartieri alti della Serie A e il settore ospiti dell’Olimpico presenta sempre prezzi allucinanti, ma la distanza tra le due città non è proibitiva e da loro è lecito aspettarsi qualcosina in più.

Simone Meloni