Multe, multe e ancora multe. Questo è il leitmotiv che continua a imperversare nella Capitale quando si parla di stadio. Il perché una città piena zeppa di problemi irrisolti e (apparentemente) volutamente irrisolvibili abbia deciso di incentrare le proprie politiche repressive e di controllo sociale in un luogo che ormai da anni non produce più violenze, e anzi da qualche mese è tornato a far battere in maniera prepotente i due cuori curvavioli (giallorossi e biancocelesti), appare attualmente inspiegabile.

“Adesso multateci tutti”. Questo è lo striscione esposto nella parte bassa della Curva Sud all’inizio della partita tra la Roma e l’Udinese. Un messaggio che si riferisce agli ennesimi provvedimenti amministrativi piovuti in settimana su molti ragazzi che domenicalmente si issano sulle balaustre dell’Olimpico per coordinare il tifo e aiutare la squadra a spingere la palla in rete. Uno striscione “preannunciato” dal seguente comunicato:

Stiamo scrivendo questo comunicato per avvertire tutti della situazione che si vive in Curva Sud nelle partite all’Olimpico. Continuano ad arrivare multe da 167 euro a persona per i ragazzi del nostro gruppo che si mettono in balaustra a lanciare i cori. Non faremo lo sbaglio di rinunciare al nostro ruolo, ma anzi nella partita odierna daremo una risposta ancora più decisa. Siamo dell’opinione che Roma non può essere un laboratorio sociale per sperimentare nuovi metodi repressivi, per vietare ciò che dappertutto è scontato e consentito.
Se cantare ed avere una passione deve essere sottoposto ad una sanzione allora oggi…MULTATECI TUTTI!

ROMA

167 Euro di sanzione relativi alle gare contro Internazionale e Atletico Madrid. Partite dove non solo non è successo nulla ma dove la Sud è apparsa rigenerata, gettando le basi al ritorno di quella marea passionale che – prima dell’apposizione delle barriere – ha per anni reso il settore popolare romanista celebre in tutto il mondo. Niente di letale quindi. Ordinarie scene di tifo che si svolgono tutte le settimane negli stadi del Belpaese.

Pensavamo di aver chiuso definitivamente questa pagina e di trovarci finalmente in una situazione di relativa tranquillità, mentre ancora una volta dobbiamo discorrere di un’insensata e ottusa mannaia repressiva laddove non ce n’è assoluto bisogno. Oltre al colpo basso dal punto di vista economico: in un periodo fortemente recessivo come questo 167 Euro rischiano – per molti – di rappresentare buona parte del proprio stipendio. Se si pensa poi alla ragione che produce simile sanzione la cosa è quanto meno assurda e inquietante. Senza ovviamente dimenticare che alla seconda multa scatta direttamente il Daspo. Potenzialmente diffidati per aver incitato (e fatto incitare) la propria squadra del cuore. Con tutto ciò che ne consegue a livello di restrizioni nella vita quotidiana e lavorativa. Se per qualcuno è normale alzi la mano e ce lo motivi.

È una condizione anomala. Persino più anomala del periodo delle barriere. In estate, infatti, con la sottoscrizione del nuovo Protocollo da parte di Lega, Federazione e Ministero dell’Interno, il vento sembra aver cambiato direzione. Lo dimostra il ritorno in quasi tutti gli stadi degli strumenti di tifo (tamburi e megafoni) e la riapertura di molte trasferte a tifoserie storicamente non tesserate (es. napoletani a Ferrara, doriani a Torino, bergamaschi a Firenze). Perché, se nel resto d’Italia tutto sembra voler portare a una riapertura di credito verso le tifoserie e alla volontà di rivedere i nostri stadi caldi e colorati, a Roma si agisce in maniera diametralmente opposta?

Con le barriere, probabilmente, si è voluto far pagare (in maniera sbagliata e fuori luogo, come ha dimostrato la parziale retromarcia, figlia anche di una netta presa di posizione della società giallorossa e di molti media) passati comportamenti sopra le righe da parte delle due tifoserie. Oggi qual è la motivazione?

Il problema sono una masnada di ragazzi che salgono in piedi sulla balaustra della Sud per dirigerne il tifo?

Qui non si tratta di far rispettare le regole, ma di volersi scagliare sistematicamente contro una precisa categoria di frequentatori dello stadio. E – ripeto – a oggi non ce n’è davvero motivo. Anzi, paradossalmente il motivo non ci sarebbe neanche se una settimana fa i romanisti si fossero resi protagonisti di incidenti. Perché? Sarebbe ora di finirla con le punizioni/rappresaglie postume, in stile nota scolastica. Si hanno tutti i mezzi per individuare eventuali colpevoli di azioni illegali e questo  – nella normalità delle cose – non può produrre l’uccisione sistematica del tifo allo stadio Olimpico.

La massaia di Voghera (che forse per quando è stata sollecitata in tema stadio/ordine pubblico comincia anch’essa a nutrire dei dubbi) potrebbe dire che in fondo, se un regolamento impedisce di sostare sui percorsi gialli o sulle balaustre, tali sanzioni sono sacrosante e a beneficio di chi fruisce costantemente dello stadio. Ma la massaia di Voghera, che nel 2017 comincia a esser meno ignara del mondo che la circonda, spesso si esalta per il tifo che la curva produce.

Così come i dirigenti e i calciatori, i quali dal ritorno della Sud hanno spesso sottolineato l’importanza del sostegno tra le mura amiche. Possibile che questa città debba rimanere perennemente indietro su tutto? Ormai l’ha capito pure la Questura più integerrima che il tifo organizzato è radicalmente cambiato rispetto a 15 anni fa. Gli ultras, e chi per loro, non sono idioti (li vorrebbero far passare così ma, purtroppo per lor signori, non lo sono) e hanno capito che determinati comportamenti ormai costituiscono dei veri e propri suicidi. Quindi cercano almeno di fare il tifo. E la cosa è socialmente accettata oggigiorno. Ovunque ma non a Roma evidentemente.

Per questo motivo c’è bisogno di una linea di pensiero e concezione del calcio, dello stadio e dei tifosi, che verta sempre più a condannare simili decisioni. Questo deve partire anche dai protagonisti del pallone. Una, due, tre, dieci, cento società che piano piano cominciano a evidenziare quanto le curve migliorino il calcio e quanto dei ragazzi in piedi che mandano i cori non uccidano nessuno, in questo momento sarebbero di vitale importanza.

Mi permetto di dire che, dal canto suo, il tifo romanista (e non solo ovviamente) non deve mai abbassare la guardia e dare sempre risalto mediatico a questo genere di avvenimenti. Il comunicato di cui sopra evidenzia come non ci sia la minima volontà di lasciare la propria “casa”, malgrado gli ennesimi tentativi di “cacciata coatta”. Il momento è delicato e, rispetto a quando la Sud disertò giustamente per le barriere e tutti gli aspetti annessi, assumere un simile comportamento ora rischierebbe di rompere un equilibrio ritrovato tra tutte le componenti del tifo. Ecco, queste componenti debbono invece comprendere l’importanza le une delle altre e darsi una mano affinché sanzioni di questo genere vengano scongiurate nel futuro prossimo. Fare tifo non è reato e le continue strumentalizzazioni e repressioni dello stesso debbono trovare l’opposizione di un movimento coeso e intelligente. Che vada oltre anche a eventuali diffamazioni mediatiche.

Del resto le recenti assoluzioni per le contestazioni di Roma-Fiorentina (Europa League 2015) dimostrano come troppo spesso si alzino polveroni foraggiati da giornali e piattaforme mediatiche, andando avanti per mesi (per anni) e gettando benzina sul fuoco in determinati periodi di repressione massima (durante i mesi delle barriere ogni tanto l’inchiesta per le presunte minacce ai giocatori veniva tirata sistematicamente fuori), salvo poi rivelarsi veri e propri buchi nell’acqua. È un giochetto che hanno capito in tanti.

IL TIFO

È una giornata particolare, perché cade proprio in corrispondenza del compleanno di Gabriele Sandri. La Sud lo ricorda con diversi cori, dimostrando come quel filo invisibile che lega e ha legato intere generazioni di ragazzi sparsi per lo Stivale sia ancora pienamente intatto. Quello di Badia al Pino è stato forse lo spartiacque definitivo tra il “vecchio” mondo ultras e quello arrivato ai giorni d’oggi. Nessuno lo ha dimenticato. Come nessuno ha scordato la vita un ragazzo spezzata in maniera infame.

Come sempre dal suo ritorno, la Sud accoglie l’ingresso delle squadre con una fitta sbandierata, in grado di produrre davvero un effetto notevole. Si notano diversi spazi vuoti e, se da una parte si tratta di vere e proprie assenze fisiche o biglietti non venduti (il che rappresenta comunque una notizia per un settore popolare) dall’altro è ancora una volta accentuata la cattiva abitudine di lasciare invenduti interi lotti di biglietti per fantomatiche ragioni di ordine pubblico.

Inoltrandomi in un commento “tecnico” sulla prestazione (nell’era dei tecnici in ogni settore della vita anche noi abbiamo deciso di diventarlo, almeno in un campo dove possiamo permettercelo) mi sento di dire che paradossalmente la Sud di questo inizio campionato è nettamente superiore a quel del periodo pre barriere.

Le ragioni sono molteplici. Di certo il rientrare in un posto che sembrava ormai perduto e i 19 mesi di protesta hanno fatto capire a molti che la curva non è un qualcosa di scontato o di dovuto. Come ogni spazio socialmente aggregativo va difeso con le unghie e con i denti. Fisicamente, invece, il ripopolamento delle balconate superiori ha reso desta e rumorosa una zona che sembrava ormai esser ridotta a propaggine delle Tribune.

Ottimo il movimento nella parte superiore delle Nord, dove i due gruppi presenti si danno spesso da fare.

Nel settore ospiti sono una cinquantina gli udinesi presenti. È vero che il sabato alle 15 non aiuta e che la distanza è tanta, ma i numeri rimangono una loro pecca. Mi permetto di aggiungere che anche i campionati “fotocopia” dei friulani non contribuiscono certo ad accendere l’entusiasmo. A livello di tifo fanno il loro fino al primo tempo, quando la loro squadra rientra negli spogliatoi con il pesante passivo di 3-0 per la Roma. Nella ripresa ritirano le pezze e la buttano sulla goliardia, contestando i propri giocatori nel finale.

Testo Simone Meloni.
Foto Cinzia Lmr.