Ho affrontato diverse volte l’ormai annoso problema della desertificazione dei nostri stadi. Numerose volte ho sottolineato come nella fattispecie dell’Olimpico esista ormai un certo malcostume nel sottoscrivere abbonamenti e poi scegliere le gare a cui presenziare in base all’importanza delle stesse.

Assodato questo è anche giusto puntare il dito contro la particolare gestione degli spazi e della capienza che si è venuta a creare a Roma nel dopo-barriere. L’innalzamento delle stesse portò a un’eliminazione di parecchie centinaia di seggiolini, probabilmente poi mai ricollocati al momento dell’abbattimento.

Tuttavia, a mio parere, questo non giustifica comunque i tantissimi posti non venduti perché, apparentemente, “sold out”. Un tutto esaurito che, peraltro, si configura solo in campionato, dove è impossibile acquistare biglietti di curva. Nelle coppe, infatti, quando i tagliandi vengono messi in vendita liberamente, la Sud difficilmente presenta tali e tanti “buchi”.

La domanda, dunque, è: perché?

Dalle celeberrime frasi di Gabrielli – che parlava di “migliaia di scavalchi ogni partita” – sono passati diversi anni e persino l’attuale capo della polizia si è reso conto dell’eresia detta. Non esiste un problema di sovraffollamento, anche perché gli accessi dell’Olimpico sono ormai regolati in maniera molto severa e selettiva. Perché, dunque, ridurre oltremodo la capienza di un settore popolare? Qual è il rischio di ordine pubblico che si corre nel vendere tutti i biglietti corrispondenti ai seggiolini esistenti?

Rispetto a qualche decade fa in ogni stadio nostrano la capienza è stata ridotta e, se la si vede da un punto di vista logico e della sicurezza, ci può anche stare che in uno spazio limitato non entrino troppe persone ammassate. Ce lo insegnano diverse tragedie (soprattutto d’Oltremanica) che hanno alla base una noncuranza e un non rispetto di questa basilare logica. Ma esisterà una via di mezzo, o no?

Non si tratta solo di un fattore estetico (anche se oggettivamente la curva con i buchi non è un bel vedere) ma anche e soprattutto un discorso di vivibilità e accessibilità. Se non sottoscrivo un abbonamento non posso assistere – almeno in campionato – a una partita nel cuore del tifo giallorosso, malgrado i posti ci sarebbero eccome. Perché?

È chiaro che un titolo annuale presuppone – dal punto di vista societario – una forma di fidelizzazione continua. Ma è altrettanto vero che non tutti possono avere l’opportunità di versare “a occhi chiusi” 3/400 Euro in estate e magari più di qualcuno sarebbe felice di frequentare la Sud, anche attivamente, ogni qual volta la disponibilità economica glielo permetta.

Non penso neanche che a questo punto si possa fare tanta differenza tra un certo tipo di abbonati e i cosiddetti occasionali. Chiaramente mi riferisco a tutti quelli che sottoscrivono un titolo annuale per poi – come accennato in precedenza – scegliere le partite a loro più congeniali. Qual è la differenza con chi potrebbe acquistare un ticket una partita su due? Anzi, aggiungo pure che per contrastare questa triste usanza sviluppatasi negli ultimi anni (di pari passo con l’imborghesimento del tifo italiano) i club si dovrebbero muovere e farsi garanti della continuità.

Già si deve fare i conti con una bigliettazione tutt’altro che semplice. Oltre agli esorbitanti prezzi, infatti, va ricordato che (almeno a Roma su sponda giallorossa) per fare un semplice cambio nominativo relativo a un titolo annuale si deve per forza disporre di una tessera del tifoso, altrimenti l’abbonamento deve restare inutilizzato anche in mancanza del proprietario.

E pure su questo ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, perché quando si parla di “superamento della tessera del tifoso” si dovrebbe tener conto proprio di siffatto genere di problematiche. Eliminarle sarebbe solo un passo avanti per invogliare le persone a tornare sulle gradinate. Ma per raggiungere tali obiettivi c’è bisogno della collaborazione di tutti: dalla Lega alle società, passando per una “coscienza di classe” in seno ai tifosi. Utopia?

In chiusura un piccolo commento alla sfida del tifo: la Sud si mostra in buona forma e offre una bella prestazione per tutti i ’90. In un match contraddistinto da un forte acquazzone, gli ultras capitolini sembrano quasi trarre vantaggio dalle pessime condizioni meteo e fomentarsi. La squadra lotta e alla fine un gol di Dzeko sbroglia la contesa.

Va segnalato lo striscione in ricordo di Coca Cola, storico megafonista del Commando. Per qualche minuto si leva al cielo un celebre coro del CUCS, seguito da tutti i presenti. Una dimostrazione di come fondamentalmente quasi nessuno abbia dimenticato un gruppi che negli anni e ben oltre i confini del Grande Raccordo Anulare ha scritto importanti pagine per il movimento ultras.

Nel settore ospiti (quest’oggi arrabattato in Tribuna Monte Mario) un centinaio i tifosi udinesi. Molto buona la loro prestazione canora, con voce e mani che non si fermeranno praticamente mai .Tanto colore con le bandiere del Friuli, una bella sciarpata nel finale e il continuo sventolio dei propri vessilli. Bello vedere parecchie facce “attempate” tra loro.

Simone Meloni