In realtà la stagione è finita. In realtà avrei dovuto realizzare questo articolo molto prima. Ma il tempo è tiranno e non aspetta certo i tuoi spazi o le tue ispirazioni. Va contestualizzato a una settimana fa, benché i concetti rimangano attuali e di differente ci sia soltanto una cosa: la matematica salvezza dell’Avellino, che in pochi minuti (battendo il Latina) ha fatto svanire tutti gli spettri che hanno preso possesso nelle menti dei tifosi giunti in riva al Tirreno. Resta la festa dei padroni di casa e con essa il racconto di quello che rimane uno degli appuntamenti più belli e attesi dell’intero campionato di Serie B.

 

Il sentore della giornata semi estiva pervade le mie narici appena il treno arresta la sua corsa. La banchina è nera di gente pronta ad iniziare il suo viaggio verso Sud. Tanti turisti si presentano invece in bermuda e infradito per “assaltare” i convogli diretti in Costiera Amalfitana.

Il mio terzo Salernitana-Avellino comincia così. Con la certezza che questo periodo dell’anno riesce a sposare due aspetti a dir poco fondamentali per la serenità della mia esistenza: il bel tempo e le partite decisive. Perché decisivo lo può essere questo derby, dove sebbene la Salernitana sia salva e ormai fuori dal discorso playoff, si gioca qualcosa di molto più importante a queste latitudini: la dignità davanti a un pubblico che spesso ha puntato il dito nei confronti dei calciatori granata, rimproverandoli per prove “molli” e occasioni mancate per spiccare il volo e condurre il club al di là degli obiettivi prefissati a inizio stagione.

Ma ancora più decisivo, questo scontro, rischia di esserlo per l’Avellino. Le ultime prestazioni degli irpini li hanno lentamente spinti tra le sabbie mobili della zona retrocessione e quello dell’Arechi rappresenta ora un crocevia delicato, dove è ovvio che non troveranno un avversario pronto a farsi da parte perché senza motivazioni.

Gli ingredienti per rendere il “piatto” succulento ci sono come sempre tutti. Quello tra granata e biancoverdi è diventato – negli ultimi anni – il derby più giocato a livello regionale. Disputarlo con una certa continuità ha messo in moto il meccanismo degli sfottò, accendendo ancor più una rivalità che ormai si trascina da decenni. In tempi dove è difficile assistere a partite incandescenti, anche a causa della relegazione in serie infime di antichi blasoni, questo resta sempre un porto sicuro per chi vuol assistere a una bella manifestazione folkloristica e passionale del popolo calcistico.

Certo – e qua muovo subito la mia prima critica – a differenza di altre volte non c’è il pubblico delle grandi occasioni. Anche Salerno, come tutto il Paese, risente di quella disaffezione che, oltre ad allontanare i tifosi dal “tempio”, fa sì che dopo un qualsiasi obiettivo raggiunto (promozione, salvezza, scudetto), in molti finiscano per defilarsi giudicando la “contesa” fondamentalmente chiusa. Un modo di vedere il calcio che francamente non mi appartiene e che sempre più fa capolino nella mente dei tifosi del ventunesimo secolo. Ricordo con una certa nitidezza la volontà – neanche troppo lontana a livello cronologico – di riempire un settore ospiti o il proprio stadio l’indomani di un traguardo raggiunto. Per festeggiare.

Se poi parliamo di un derby, nella fattispecie, quale prospettiva più stuzzicante rispetto a quella di poter affondare definitivamente l’avversario storico? Sia chiaro, il mio appunto non è tanto rivolto ai tifosi della Salernitana, quanto a quelli italiani in generale. Ci pensavo proprio qualche giorno fa, vedendo la foto dei pochi foggiani presenti a Cosenza nella partita che li ha riportati in B dopo vent’anni. Ma di esempi ne potrei fare davvero tantissimi.

Come da classico costume italiano, l’allarmismo abbraccia sempre alla grande questo genere di eventi. Per l’occasione, ancora un volta, gli incolpevoli cittadini salernitani debbono rinunciare a un integrale servizio di pubblica utilità come la metropolitana, limitata alla fermata precedente a quella di Arechi: Arbostella. Questo – va detto – perché proprio a ridosso di suddetta stazione passano generalmente i torpedoni delle tifoserie ospiti. Rimane tuttavia irrisolta una domanda: possibile che non si possa almeno chiudere temporaneamente senza bloccare l’intero servizio dalla mattina alla sera? Fino a quando, con l’ordine pubblico, vogliamo continuare a giustificare le negligenze di istituzioni che spesso non sono in grado di garantire alla popolazione i servizi basilari?

A rimetterci ovviamente sono anche io. Ma fondamentalmente per uno abituato a fare chilometri e chilometri a piedi, raggiungere lo stadio da Arbostella – per l’appunto – non è la peggiore delle punizioni.

Ovviamente, a questa limitazione si aggiungono anche la chiusura di alcuni baracchini e il divieto di vendita per le bevande alcoliche: in pratica l’idea è che siccome i tifosi di calcio sono animali, vanno trattati esattamente come tali quando vengono rinchiusi nelle stalle. Del resto è sempre più facile vietare e limitare rispetto al consentire facendo sì che tutto fili liscio.

I pullman degli avellinesi raggiungono il settore ospiti una mezz’ora prima del fischio d’inizio. Dietro ai Distinti si consumano le classiche scaramucce verbali, prima che tutti entrino sulle gradinate per dar vita a questo derby di fine campionato.

Sui numeri dei granata abbiamo detto, per quanto riguarda gli ospiti invece ufficialmente i biglietti venduti sono 2.000 (la capienza totale del settore ospiti). Man mano che si avvicina il fischio d’inizio, si comprende che da ambo i lati verranno realizzate delle coreografie, mentre non mancano le scaramucce tra Distinti e settore ospiti. Diatriba che si protrarrà anche a partita iniziata e che vedrà termine solo dopo l’intervento (tutto sommato tranquillo, va riconosciuto) della polizia.

Alle 15 in punto le due squadre scendono in campo e dai settori popolari si levano le scenografie. Gli ospiti dividono il proprio spazio in quattro quadranti, alternando le bandierine bianche a quelle verdi. Un buon impatto sebbene forse sarebbe stata necessaria qualche bandierina verde in più nel quadrato dove gli ultras irpini hanno deciso di mettere il proprio striscione. Il tutto viene “concluso” dalla bella fumogenata biancoverde “andata in onda” alla metà del primo tempo.

Per l’occasione la Sud avellinese ha divulgato un comunicato in settimana, invitando tutti i tifosi a non portare bandiere o stendardi a due aste. Una scelta che inizialmente – devo dirlo – non ho ben compreso, credendo che una “auto-eliminazione” del colore risultasse nociva, ma che alla fine forse ha dato una mano sia alla coordinazione del tifo che alla compattezza dello stesso. Il settore ospiti di Salerno, infatti, presenta un problema non indifferente quanto a riempirlo sono tifoserie numerose: la divisione centrale che mette in seria difficoltà i lanciacori del caso, finendo spesso per isolare il tifo in uno dei due spicchi.

Questo non è avvenuto, anche grazie alla presenza del megafono in tutte e due le parti. Fondamentalmente la prova degli irpini è più che buona, e si capisce come i presenti cantino letteralmente spinti dalla forza della disperazione di chi sa che può giocarsi davvero tanto della propria recente storia sportiva: tantissime le manate, i cori a rispondere e quelli tenuti a lungo, ben ritmati dall’incessante battito del tamburo.

Che da una parte ci sia la voglia di infierire sportivamente sull’avversario e dall’altra la paura di ricadere nel baratro della Lega Pro si capisce lontano un miglio, così credo che sia più che normale il calo fisiologico dopo il raddoppio della Salernitana, nel secondo tempo. Ho spesso elogiato questo aspetto dei tifosi italiani, perché non sono macchine da guerra ma ragazzi e ragazze con i loro sentimenti, in grado di esaltarsi a una vittoria e deprimersi in caso di una pesante sconfitta.

Si è vero, la mentalità ultras (chi ha inventato questa parola meriterebbe un’eterna damnatio memoriae) in questi casi imporrebbe di cantare “oltre il risultato”, ma chi segue il pallone in maniera viscerale conosce anche gli stati d’animo che una partita impone con il susseguirsi degli eventi. Ergo: dovremmo fare (e farci fare) meno morali su come si tifa e tornare a badare alla sostanza delle cose.

Ovviamente se da un lato la depressione e il malcontento crescono minuto dopo minuto, dall’altro l’euforia dei granata a fine partita sarà incommensurabile. Granata che aprono la giornata con una coreografia volta a sbeffeggiare i dirimpettai, sfruttando la classica contrapposizione tra “pisciaiuoli e pecorari”. Voglio spendere qualche riga per commentare il lavoro fatto dalla Sud, premettendo che una coreografia del genere, di questi tempi, richiede tempo, soldi e passione e solo per questi fattori personalmente ritengo meriti rispetto.

Tuttavia proprio in virtù delle capacità di una curva che negli anni ci ha abituato a scenografie maestose ed originali, credo che il rimarcare così tanto uno stereotipo, di solito “urlato” attraverso gli striscioni o scandito nei cori, rischi di castrare un pochino l’originalità della scenografia stessa. Così come – va detto – il fatto che l’anello superiore non sia del tutto pieno ha forse un po’ pesato visivamente sul risultato finale.

Ma sono critiche “tecniche” mosse, come detto, a una curva da cui ci si aspetta sempre il massimo sotto questo punto di vista. Nel 2017 realizzare una coreografia è ormai prerogativa per pochi.

Ciò che invece resta del tutto invariata è la passionalità con cui il pubblico di casa partecipa alla partita. C’è chi inveisce e chi anche dalla tribuna centrale cerca di provocare gli avversari con gestacci e parole “a modo”. Mentre la Sud granata recita il suo ruolo canoro, sostenendo la squadra in maniera continua nell’anello inferiore, mettendosi in mostra con ottimi picchi dopo i gol sulle note dei due cori che hanno caratterizzato gli ultras salernitani in queste ultime stagioni: “Jamm a vrè” e “Despacito”.

Come sempre molto movimentato anche il gruppo dei Distinti che – oltre a scambiare “pirotecniche” vedute con i vicini biancoverdi – si mette in mostra di tanto in tanto con striscioni, cori e manate.

La contrapposizione massima degli animi presenti all’Arechi in questo caldo pomeriggio di inizio maggio, si ha ai due gol che decidono la sfida. Coda e Improta fanno letteralmente esplodere la Sud. Esultanze che rimandano ai tempi belli del calcio italiano, condite da torce e fumogeni sparse qua e là. Euforia che ovviamente fa da contraltare alla delusione avellinese e mette ancora una volta in chiaro quanto questo sport sappia essere spietato e al contempo generoso.  È un gatto che si morde la coda, una sorta di feticismo a cui il tifo non sa proprio sottrarsi.

Intanto arriva il fischio finale dell’arbitro e con esso le reazioni delle due fazioni, che continuano a beccarsi per diversi minuti.

Mi avvio verso la stazione con motorini e macchine festanti, che suonano i clacson in segno di giubilo. “La gente del Sud ha un qualcosa di particolare nel seguire il calcio, per loro è una vera e propria messa dalla quale non poter uscire prima della parola amen”. Questo mi disse tempo fa un amico straniero, stregato dalle curve italiane.

Lo sposo appieno.

Testo di Simone Meloni.
Foto Simone Meloni, Salvatore Izzo e Giuseppe Scialla.

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