Appena sceso a Salerno vengo investito da un vento gelido: di mare. Tutte le mie certezze vengono liquidate in un attimo: da nordico tontolone pensavo che da Roma in giù non esistesse il concetto di freddo. Il clima della costa campana smentisce subito questa mia idea.

La città mi ricorda tantissimo quelle della costa ligure, che ho visitato di recente sempre per motivi calcistici (in particolar modo La Spezia): solo che qui non si parla un genovese già infarcito di toscanismi, ma napoletano duro e puro. O meglio: quello che alle mie orecchie sembra tale, ma che in realtà è tutt’altra roba. Meglio non farlo notare in giro, visto il rapporto di inimicizia con il capoluogo.

Un grande promontorio, infatti, separa Salerno da Napoli: come a dire, manteniamo le distanze, qui si tifa granata. Lo si capisce subito dal tunnel che porta al centro: tantissimi murales, scritte di ultras, e via dicendo. Stavolta, l’idea che avevo in mente viene subito confermata: Salerno è davvero la città della Salernitana. Si vede il granata ovunque. Sui muri, nei bar, per le strade. Anche sui taxi.

Tra l’altro, la mia dimora è proprio di fianco all’impianto Donato Vestuti, che dopo una breve ricerca scopro essere il vecchio stadio: iper-razionalista, ma anche con dei difetti. Un’enorme striscione simboleggia la rinnovata alleanza tra tifoseria e squadra, allenata adesso da Nicola e rivoluzionata a gennaio da Walter Sabatini.

Per la Salernitana è una partita da dentro o fuori, per il Bologna un’allegra scampagnata, essendo di fatto il suo campionato già finito. La mattinata poi non è clemente dal punto di vista del clima: pioggia, pioggia e ancora pioggia, con la situazione che peggiora mano a mano che ci si avvicina al fischio d’inizio: quando alle 14 vado a prendere il treno per arrivare allo stadio, una vera e propria bufera si abbatte su Salerno.

L’arrivo del mezzo mi salva, e come me gli altri tifosi granata bardati fino al collo. Una ragazza capisce che è il giorno della partita, e che dovrà prendere il treno con una mandria impazzita.

“Oh no, ci sta la partita: sarà pieno di cafoni…”

Sul treno invece, nel viaggio che dura venti minuti e poco più, il rispetto è reciproco, e l’educazione impeccabile: “cafona”, caso mai, è la traversata dal binario allo stadio. Una secchiata si abbatte infatti sull’Arechi, e per entrare non si può fare a meno di immergersi in una pozzanghera oceanica.

Vento, acqua, freddo: le condizioni perfette per giocare. Poi, come per un miracolo del cielo, al fischio d’inizio tutto finisce. E finalmente, ci si può concentrare sulla partita. Allo stadio ci saranno circa 15mila spettatori, con una giornata di sole probabilmente sarebbero stati anche di più: l’ambiente sprizza Sudamerica da tutti i pori.

Pubblico in piedi anche nei distinti, struttura a forma di palazzo sul campo. Non so, ma a primo impatto sembra quello del Boca Juniors. Del resto, parlando dell’Arechi, trattasi del principe degli stadi. Sul campo la storia è nota a tutti: domina la Salernitana, ma passa avanti il Bologna. Poi, nel secondo tempo, il pareggio granata, che però non porta a una vittoria. Alla fine, in poche parole, sono scontenti tutti. Ma piovono lo stesso applausi.

Prima di congedarmi da Salerno, faccio in tempo ad assaggiare la mitica Pizza Carmine, vero e proprio vanto da queste parti. Torno a Bologna con una speranza: di tornare qui anche l’anno prossimo. Perché in città che vivono di calcio, è sempre un piacere passarci.

Stefano Brunetti